“Tu hai mai pianto per amore? Io sì, che d’amore ho pianto, e ho gridato, e mi sono rotolata per terra, come una bestia ferita, e se qualcuno mi vedeva, non me ne importava niente. Nella vita, per amore, c’è da impazzire, c’è da ammazzare”: è così, è come diceva Anna Magnani, come sentiva e viveva e faceva lei, per un amore, o per la sua illusione, mettersi a urlare, a strisciare, per terra, a mendicare, perdendo ogni dignità. E vergognarsene, dopo, avere pena di sé, e per la rabbia, l’inutilità, sapersi una fallita. Dio, se c’è da urlare, impazzire, da ammazzare. E subito te lo dico, che qui per ‘ammazzare’ non si intende uccidere, sta per dannarsi, martoriarsi ma sul serio, fino a scannarsi l’anima, fino a perdere misura, lucidità, ogni ragione. Fino a sentire il cervello che ti va in pezzi, e ogni pezzo che ti esce fuori. L’hai mai provato? Sai, “è come alzarsi dal letto, e non avere più sangue”.
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Sì, c’è da urlare, da ammazzare. Quanto male mi ha fatto Anna Magnani. Biografia di una donna, pagina dopo pagina, son tutte spine che ti ficchi dentro, e premono, soprattutto a lettura finita. Un libro, una storia che mi ha sbranato, tanto che imputo al suo autore, Matteo Persica, ogni ‘colpa’. Otto anni vi ha messo, a scriverlo, otto anni di ricerche, interviste, setaccio delle fonti, per firmare un lavoro superbo. E sì che io sono masochista, e di biografie della Magnani ne ho lette. Ma questa di Persica è speciale perché Matteo è giovane, come me la Magnani non se l’è vissuta: otto anni per un libro che mi era pure sfuggito, accidenti a me, potevo lasciarlo dov’era, invece di afferrarlo per ripetermi, convincermi che non c’è niente da fare, quando nasci femmina e di una specie particolare, la più dannante, e Persica ne mostra le verità, che Anna Magnani non era “il core de Roma”, lei che detestava la retorica del “volemose bene”, e la faciloneria, la fiacchezza della romanità. Anna Magnani ne era il contrario, ed era una donna sola e piena di violenza, “se non fossi diventata un’attrice, avrei potuto essere una criminale”, e nulla riusciva a calmarla se non guidare, di notte, da sola, a velocità pazza, dritto per via Ostiense, quella che porta al mare. Anna Magnani disprezzava le persone deboli, stimava chi sapeva tenerle testa, combatteva ma solo a armi pari, e ogni lato della vita per lei era un affanno, e inquietudine, lei che era fervida, scattante, e si abbandonava alle reazioni degli istinti più immediati.
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C’è da urlare, c’è da ammazzare, per chiunque, il tuo uomo, l’ultimo, quello che arriverà dopo, che differenza fa, tanto non ti farà felice, non ti basterà. Non andrà bene, non funzionerà, e sarà per colpa tua, solo colpa tua, per il tuo brutto carattere, di femmina incapace di tregua, sfinita dalle tue stesse guerre. Che farci, che puoi fare, quando basta un niente per offenderti, basta una parola, un gesto, un’occhiata per ferirti, per farti disperare. Quando ti senti vulnerabile, ricettiva alle persone distruttive, e ti crei complessi, ti vengono i veri complessi, e quando sei snob dentro, gelosa, egoista negli affetti, non fai sforzi per suscitare simpatia, diffidi, ti chiudi, guardinga, e tutto di te, in te, chiede silenzio e solitudine. Urli, ammazzi, sbatti la testa al muro, perché non puoi sfuggire alla Magnani, quando ti dice che “una donna, persino una come me, desidera essere dominata. Cerco un uomo capace di domare le mie azioni, i miei sentimenti”. È vero, cerchi, vuoi ‘solo’ questo, e se non lo trovi sono dannazioni, crocifissioni, e Montanelli lo aveva capito, che Anna Magnani era “un animale selvatico, indomabile, alla mercé delle sue passioni, con le sue giornate dedicate al dramma, agli insulti, alle rotture. Anna era fragilissima, per questo faceva la prepotente”.
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C’è da urlare, da ammazzare, quando distruggi quello che ami, e vivi di eterna tensione, e ridi a bocca aperta, e sei cupa, e eccone un altro, che ti scappa via, verso ‘lidi’ più calmi, sicuri, materni, e ti lascia “un inverno di ghiaccio che ti pesa sul petto”. C’è da urlare, c’è da ammazzare, quando sei sfatta di stanchezza, dormi ma non riposi, respiri a nervi perennemente tesi. Quando sei una donna che vive, consuma rancore. Rancore, legittimo odio giurato a chi vuoi bene e tale bene ha ucciso, non capendo, non ‘volendo’ capire che esigevi lealtà, e sincerità, la più crudele. E faccio nomi e cognomi: Goffredo Alessandrini, regista, fascista, uno che ha messo le corna alla Magnani dal primo giorno, uno che le diceva, ma convinto: “Anna, non sei fotogenica, elimina il cinema dalla tua mente. Non fa per te”. E io mi domando come questo signore non si sia nascosto sotto terra, il 21 marzo 1956, la notte che la Magnani ha vinto l’Oscar. Alessandrini, uno che manco gli si alzava, sta nel libro di Persica, e non gli si è alzato la prima volta con Anna Magnani, e lei era una ragazzina non alla prima esperienza ma insomma, e giù lacrime, da giovane donna che credeva fosse colpa sua. Per lui, per ‘meritarsi’ il suo amore, la Magnani pensa di smettere, di fare la casalinga, disposta a tutto, a dividerlo con un’altra donna fissa, di giorno con lei, di notte con Anna… Dio, se può andarti in pappa il cervello, quando ami!
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C’è da impazzire, da ammazzare. Faccio un altro nome: Roberto Rossellini. È vero il piatto pieno di pasta al sugo che Anna, per rabbia gelosa, gli sbatte in testa, Persica ci mette anche il posto, erano ad Amalfi, Hotel dei Cappuccini. Eppure Rossellini è stato importante, “l’unico che sapeva prendere a schiaffi una str*nza come me!”, e quando la lascia da vigliacco, scappando, per quella “facilona” della Bergman, per Anna Magnani il suo ricordo è ossessione, dura anni, tanto a lungo che “Roma Città Aperta? Non posso più vederlo, non piango, ma torno a casa e sto male”.
Dimmi se non c’è da impazzire, da ammazzare, quando hai un carattere tutto pungoli e angoli acuti, e ti ci riconosci, “perché sì, sono eccessiva, smodata, non mi so fermare, e quando amo mi impegolo fino ai capelli. Che strazio, poi, uscirne vivi”. Ti spezza leggere che la Magnani si riteneva una donna brutta, insicura a livelli patologici, si esaminava il corpo senza pietà. Non piacersi, “è pesante per una donna”, e poi invecchiare, e farsi a pezzi, ancora, di più, perché non sei “fiera di questo mio viso che è lo specchio della mia debolezza, e della mia incapacità di diventare una donna forte. Una donna forte non denuncia, come ho sempre fatto io, tutte le offese, le amarezze, le delusioni, come fossero ferite fisiche, qui, tutte sul viso, intorno alla bocca, sugli occhi, sulla fronte. Che vergogna, in fondo”.
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E se c’è un’ultima cosa per cui impazzire, per cui ammazzare, è l’anagrafica impossibilità, per me e per Matteo Persica, di godere dell’Anna Magnani a teatro, non solo negli anni della rivista, con Totò, ma più tardi, quando dà corpo e voce e anima a La Lupa di Verga, e alla Medea di Jean Anouilh. Quando là sopra emanava sesso, disperazione, la passione vissuta. La Lupa della Magnani è tensione che diviene insopportabile, erotismo violento che non si esprime a parole, ma col silenzio. E nel silenzio la sua Medea uccide i figli, una Medea struccata vestita di stracci, che rispetto alla Lupa sta ferma, immobile sul palco, e riversa su Giasone – e su ogni uomo – cascate di parole che squarciano. Anna Magnani, appena entrava in scena, aveva già fatto l’80 per cento del suo personaggio, assicura chi ha diviso il palco con lei, ma quello che non dice, e Persica sì, è quanto la Magnani lapidasse se stessa, e processasse i suoi personaggi, e per assolverli, e per condannarli. Per vincere, legare la platea a sé, perché “quegli occhi addosso, mi servono: il pubblico è lì, pronto a dilaniarti, e che io riesca a sopportarlo, questo scontro continuo, anche con la vita, ogni volta, e ricominciare daccapo…”.
Barbara Costa