28 Giugno 2018

“Caro Cortázar, un intellettuale non aspetta che sia un governo a dargli il permesso di parlare, sceglie la scomodità”

A volte il caso ha confini di cristallo. Quando sono volato a Buenos Aires, preda di emozioni capitali, con i falchi nel cuore, conoscevo già Liliana Heker. Me la fece conoscere Maria Soledad Pereira, una donna speciale, una scrittrice con la capacità di esumare dettagli infimi, per renderli splendidi. Fu lei a leggermi i racconti di Liliana Heker: ha frequentato i suoi corsi di scrittura, la ritiene la più importante scrittrice vivente, oggi, in Argentina. Liliana è davvero una donna geniale, energica. Presto tradurremo in Italia il suo libro, El fin de la historia, del 1996, ambientato durante il regime militare, negli anni Settanta. “Le risposte consensuali non hanno bisogno della letteratura. E la letteratura non ha bisogno di loro. Ciò che fa la finzione è rivelare l’occulto, ciò che disturba”, mi dice Liliana, oggi, a proposito di quel libro. Come si sa, la Heker è tra i grandi protagonisti della letteratura sudamericana del secondo Novecento, anche se non lo ammetterà mai, è bronzea nel pudore. La Heker, come si sa, ha fatto parlare Jorge Luis Borges della morte. La cosa che la Heker fa sempre fatica a ricordare è la sua polemica – davvero epica – con Julio Cortázar. Cortázar, tra i più grandi narratori del secolo scorso, era di trent’anni più vecchio di Liliana, ha lasciato l’Argentina nel 1951, diventando, di fatto, ‘un argentino a Parigi’. Durante gli anni della dittatura militare Liliana aveva 35 anni, aveva fondato, con Abelardo Castillo e Sylvia Iparraguirre, la rivista El Ornitorrinco, era già una talentuosa interprete nell’arte del racconto. La polemica tra i due si sviluppa a partire da un articolo che Cortázar pubblica nel novembre del 1978, quarant’anni fa, sulla rivista colombiana Eco, ed è un botta-e-risposta che si protrae per i due anni seguenti. “Ero una amica personale di Cortázar, lo ammiravo e lo ammiro ancora come scrittore… la sua morte è stata vissuta da me come qualcosa di desolatamente ingiusto e irreparabile”, scrive Liliana in una memoria intorno alla querelle. Cortázar muore nel 1984. “Cambiò le sue opinioni in merito a quello che chiamava il ‘genocidio culturale argentino’: ne avremmo dovuto parlare sulla rivista che dirigevo. Il dialogo non poté compiersi, a causa della morte di Cortázar”. La polemica, passata con il titolo Exilio y literatura, è interessante, proprio oggi, nell’era in cui lo scrittore è esiliato nell’impotenza, nell’indifferenza civica, per ragionare su temi apparentemente discordi come ‘arte’ e ‘politica’ – eppure, ogni atto artistico è politico. Come vive l’artista in un tempo storico avverso, sotto l’egida di un regime che opprime? Secondo Cortázar, la sola via è l’esilio; secondo la Heker, l’unica risposta è la resistenza, sonora. Qui pubblichiamo alcuni frammenti della lunga polemica. (d.b.)

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rivista
“El Ornitorrinco” (qui una copia del 1979) è la rivista che ospitò il dialogo tra Liliana Heker e Julio Cortázar

Pur nelle condizioni attuali, l’America Latina sta producendo una letteratura davvero grande, capace di trovare stimolo e senso all’atto creativo proprio nell’ostilità dell’ambiente che la circonda. E questo continuo lavoro per far prevalere la propria concezione del mondo fa sì che un intellettuale o un artista si senta culturalmente integrato nel proprio paese; in nessuna maniera un esiliato culturale. […] Parliamo della libertà: non è questo l’ambito che corrisponde all’intellettuale, al creatore? Non è questo l’ambito in cui può sviluppare pienamente il proprio pensiero e la proprio opera artistica? Senza dubbio, è così. Le restrizioni di questa libertà sono dunque una ragione sufficiente perché lo scrittore si senza obbligato a lasciare il proprio paese anche se nessuno esplicitamente lo esilia? Per quanto riguarda la creazione (indipendentemente dal processo successivo, necessario, che riguarda la pubblicazione), solo l’autore può decidere l’ambito del proprio lavoro… Turgenev scrisse i suoi libri a Parigi, Tolstoj non si è mosso da Jasnaja Poljana; Hemingway aveva bisogno di vivere i luoghi di cui scriveva; Cortázar ricorda la sua personale Buenos Aires da Parigi; Rulfo è rimasto in Messico. Solo le opere giustificano o meno queste scelte. Sono scelte egoistiche, che non hanno a che vedere con l’esilio politico; sono spiegate soltanto dalla paradossale condizione egoistica dell’atto creativo e possono essere giudicate solo valutando gli esiti di questa attitudine egoistica. Se Gauguin fosse stato un pittore mediocre, il suo celebre gesto di libertà si sarebbe trasformato in una insignificante nota biografica. […] Puoi essere un traditore dentro o fuori, un grande scrittore nel tuo paese o in un paese straniero. Si può assumere una prospettiva nazionale anche in esilio o scrivere in una torre d’avorio nel proprio quartiere. Che cosa fa uno scrittore con le sue parole, questa è la questione ultima. Sappiamo che non siamo nel migliore dei mondi possibili. Non accettiamo, da Parigi, la moda della nostra morte. La vita è la nostra, ed è nostro dovere viverla in libertà, e difenderla. Ecco perché restiamo qui, perché scriviamo.

Liliana Heker

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…ma qui, Liliana, non si parla degli scrittori, quanto dei lettori; il vero esilio si verifica quando qualcuno di noi scrive qualcosa e dopo averlo scritto non lo può pubblicare nel proprio paese. Perché, come sempre, mettere l’accento sullo scrittore, fare elitarismo sindacale, quando lo scrittore si difenderà sempre, come un gattone, dentro o fuori dal proprio paese, restando sempre uno scrittore? Il problema non è questo, ma il fatto che improvvisamente lo scrittore viene privato dei suoi lettori, che viene spaccato il ponte della comunicazione; e se è duro per noi, poco importa di fronte al fatto infinitamente peggiore che una intera porzione di lettori è priva dello scrittore. I veri esiliati sono i lettori, che ogni giorno vivono in un panorama in cui mancano la maggior parte dei libri o degli articoli che sono scritti all’estero… Naturalmente, nessuno morirà per non aver letto libri o articoli pubblicati all’estero, ma, come dire, non morirà ma si disseccherà. […] Discutere di queste cose tra noi, comunque, significa perdere tempo – un tempo che chi ci schiaccia non perde. Una volta, in un club di provincia, ho visto due boxeur che si ribellarono, insieme, contro l’arbitro, dicendo che gli avrebbero rotto la faccia se non li avesse lasciati combattere, senza interrompere il match ad ogni istante. Liliana, il ring è grande, e conosciamo molto bene l’arbitro.

Julio Cortázar

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Liliana Heker. Con gatto

No, Cortázar, un intellettuale non è così ingenuo; non si aspetta che nessun governo gli dia il permesso di esprimere le proprie idee, né che i supplementi domenicali lo invitino a manifestare il suo pensiero. Quando i mass media accettano di diffondere parte del suo pensiero, buon per lui. Ma anche se ciò non accade, c’è sempre modo per divulgarli. Ed è in momenti come questo che diventa necessario creare strade marginali e sfruttare tutte le risorse possibili – la sottigliezza, ad esempio – nonostante i decreti ufficiali.

Un’altra cosa. Da Parigi mi spieghi cosa è successo in Argentina. Mi spiace, Cortázar, che tu abbia dimenticato il fatto che alla fine del 1978 io ero in Argentina. E la mia situazione era meno confortevole di quella che avrebbe potuto essere la tua, qui. Non importa. Questa scomodità è ciò che la maggior parte di noi ha scelto. Molti di noi hanno scelto la resistenza. Altri, più tardi, verranno a fare festa.

Liliana Heker

 

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