12 Giugno 2020

Le statue sono fatte per essere abbattute. Per questo, dobbiamo custodirle, sono un monito. D’altronde, è più bello ciò che provoca rabbia di ciò che rassicura

La statua è ferma, la vita va; come puoi pietrificare un fiume? Decapitare una statua è un difetto di rabbia, prono alla frustrazione. Non puoi accanirti su un corpo, ne deturpi l’icona, bronzea. Ma se la carne soffre – e c’è chi si nutre di sofferenza – la statua non geme: alimenta un rancore ancora più arcano, profondo. È gesto malsano: non bisogna tormentare i morti, tastare le forze sotterranee. La storia si chiarifica vivendo, non è una statua: non ha rotondità, armonia, stabilità. Più che disintegrare una statua, scrivi un libro di storia.

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Le statue, d’altronde, esistono per essere abbattute. O meglio: sono fatte per essere superate. Gli giri intorno, vai via – la statua scompare all’orizzonte in cui tu sei inghiottito. Una statua non parla – a te è lecito sfotterla.

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Statua ha parentela con istituzione – una statua si crea per consolidare un istituto, uno Stato, uno stato di fatto. Ciò che è statuario, soffoca: la statua è vestigia grottesca, a volte commovente altre detestabile. Comunque, la pioggia corroderà quel viso, il vento lo levigherà in altro, un gemello inaudito. Sbaglia chi pensa alla statua come una norma – è un monito. Le statue non devono ‘piacere’: il loro compito, simili a sentinelle in pietra, è stupire – o provocare.

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Un corpo mortale tradotto in statua è un paradosso: prima o dopo nessuno riconoscerà più a chi appartiene quel viso in marmo; oppure, lo disconoscerà. La statua è lì per essere un discrimine, la scriminatura tra una idea e un’altra, tra vinti e vincitori. Nessuna statua ci raccoglie tutti intorno alla sua ombra – pietrificata anch’essa, ma mobile, unico drappo di una vita davvero vissuta.

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Una civiltà sana non erige statue: racconta fiabe, ripete miti. La parola è più mobile della pietra, ma allo stesso tempo più netta, duratura. Più che sbozzare il marmo, accendiamo un fuoco.

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Puoi abbattere una statua ma non cancellare l’atto che la ha eretta, il fatto di cui è memoria, per cui, a che pro? Non esiste una storia condivisa, ma lo sfacelo – da questi frammenti si elevano annali.

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Della statua dovremmo valutare la forma più che la didascalia. Una forma bella è intoccabile, dimostra un mistero invalicabile. In ogni caso, ogni statua ha una perfezione meno violenta di chi vuole perfezionare la storia. Dell’uomo – l’imperdonabile – dovremmo capire la caduta.

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Immutabili, le statue mutano: da elogi in bronzo, gloria imperitura, si fanno punti interrogativi, imperterriti. Più che sradicare le statue, dovremmo raccoglierle: un mausoleo delle statue dimenticate, odiate, sfregiate. È più bello ciò che provoca rabbia di ciò che rassicura.

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Una statua, per quanto equivoca, non fa la storia: eventualmente conferma il contrario di ciò che rappresenta. Sei tu, che la guardi, a essere nella spirale della storia – agisci, passa oltre. (d.b.)

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