La storia dei Gemelli Divini, ovvero: sul mito della Crociata dei Bambini
Sacro
Giacomo Alessandrini
«Tutto quel che è insolito, singolare, nuovo, perfetto o mostruoso […] è venerato o temuto, in virtù del sentimento bivalente provocato costantemente dal sacro». Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni.
Il contagio virale che sta braccando l’umanità ha svelato soprattutto una modernità d’accatto incapace di far fronte alle emergenze e di opporsi al dilagare del morbo. Un’affilata scure è caduta sull’uomo lasciandone ben poco o quasi nulla di riconoscibile. Ne ha fatto, diciamolo pure, un esserino docile, impaurito, misericordioso e incline alle buone maniere. Ma almeno, per quello che qui ci riguarda, il virus ha messo le cose a posto e ha ristabilito antichi equilibri.
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Un’epocale ierofania si è palesata alla dimensione catastrofica di questo tempo. Essa ha portato con sé una congerie di segni dimenticati o accatastati in un inconscio finora irraggiungibile. Nell’Occidente della tecnica, mietitrice di misteri e di saggezza, il sacro si è ripresentato al mondo sulla sedia gestatoria di un’inattesa e colossale epidemia virale. Le sue vetuste categorie, disperse e ignorate come il greco e il latino delle Scritture, finalmente si sono riappropriate di ciò che l’usura del tempo aveva tolto loro senza alcun rispetto. E così, oggi esse ostentano quell’evidenza con cui in passato si imposero alla sensibilità dei santi o dei Padri della Chiesa: affascinando e terrorizzando, ammutolendo e seducendo con superbia.
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Il mutismo panico, per esempio, quello che colpisce chi confronta la sua minuscola esistenza all’attuale pandemia, un tempo fu l’àrreton, nome con cui la mistica intese dire quello che non si può dire, l’ineffabile, quello al cui cospetto si rimaneva in sbalordito silenzio. La grandezza dell’evento virale che minaccia il mondo intero, poi, si misura con la categoria della majestas da cui scaturisce quel sentimento creaturale – ce lo insegnò Rudolf Otto – di umile e obbediente sottomissione, lo stesso che i patriarchi biblici manifestarono agli appelli o ai rimbrotti della divinità. All’ira dei, ancora, si paragona la potenza arbitraria e demoniaca che il virus ha scatenato contro l’uomo in ogni angolo dell’orbe. La sua orghé, energia violenta e repentina, è simile a quella di un dio arcigno e distruttore che agisce incondizionatamente, lontano da qualsiasi influenza morale, ex opere operato, per dirlo con la lingua che gli appartiene. In altre parole, ciò che il contagio virale ha prodotto (a prescindere dai lutti e dalle mistificazioni) non ha nulla di diverso dal volto allucinato di uno stregone, dall’ineffabilità di un sacramento, dal segno incontestabile della grazia divina.
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Nella Prima Lettera ai Corinzi Paolo di Tarso prescrive alle donne di coprirsi il capo in segno di sottomissione (1 Cor 11, 5-10); all’incirca un secolo dopo Tertulliano torna sullo stesso argomento e gli fa eco (De virginibus velandis). Alla divinità, insomma, bisogna mostrare dipendenza, subordinazione, questo, a modo loro, volevano che sapessimo. Oggi, in una frastornante omogeneità, la soggezione alla sacra idea del contagio e della malattia è esibita portando sul volto l’umiliante mascherina che dovrebbe proteggerci dal “castigo” che il virus minaccia senza tregua. Tuttavia la lingua che la cortina di tessuto sanitario storpia e confonde riecheggia di idiomi babelici, funesto presagio di altri castighi e afflizioni.
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I bollettini medici, le statistiche, i pronostici, le circolari ministeriali e i decreti legge che si susseguono con periodicità liturgica sono diventati il nuovo evangelo, la Didaché con la quale impariamo a essere ubbidienti e a temere il sacro virus. Là dove il sacro prende forma, insomma, una comunità diventa altamente morale. Ossequio incondizionato alle leggi, osservanza dei divieti, irrinunciabile rispetto dei tabù e ricorso alla morigeratezza dei costumi completano il campionario. Per contro, a officiare la santa messa, il Pontefice è malinconicamente solo. Sbalordito e incredulo, egli fa gesti vani a una piazza deserta e silenziosa mentre il Presidente del Consiglio – uno ierofante – dall’ambone del suo studio e in collegamento video con il Paese, gli sottrae più fedeli di quanti, in una sola volta, Lutero ne portò via a Leone X con le novantacinque tesi di Wittenberg. Privato del plebiscito dei fedeli, il Papa fa rimpiangere persino quello altero e borioso del preconcilio, della messa in latino e delle spalle rivolte all’assemblea. I decreti ministeriali chiudono le chiese e convertono gli interni domestici a sacre cripte. È l’abitazione ora lo spazio consacrato e isolato dal profano che staziona all’esterno. Soltanto all’interno delle proprie case si rafforza la comunione con la sacralità. L’ecumenismo religioso, dunque, è stato soppiantato da una sorta di sacro panteismo virale: tutte le cose di natura, ogni uomo, ogni oggetto recano in sé il sacro virus dal quale potrebbe scaturire il flagello della morte.
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Con il sopraggiungere caotico dell’epidemia virale, il sacro è ritornato al suo posto nella vita degli uomini, là dove sarebbe dovuto rimanere pro aeternitate. Il suo sconcertante disordine ha sottratto alle tiepide manifestazioni della religione positiva ciò che questa aveva tradotto in ragione o in credula razionalità. In sostanza esso si è ripreso un po’ di quello che la civiltà della tecnica gli aveva alienato con illusioni proditorie e fallaci, le stesse che ancora oggi distribuisce con messinscene e promesse che non riesce a mantenere. Ma dopotutto, anche una mente debole e devastata dal morbo intuirebbe che, a sipario chiuso, la commedia non avrà applausi.
Vincenzo Liguori
*In copertina: Nicola Samorì, “The Limits of Control”, 2012