“L’invisibile non è da qualche parte lontano da noi: ci circonda”. L’arte come obbedienza
Sacro
Isabella Bignozzi
Straordinaria l’importanza di Hakuin Ekaku nell’ambito del buddhismo zen, ineffabile la biografia, tallonata da fioritura di leggende. Per sintesi, la vita di Ekaku scollina le convenzioni monacali, è caratterizzata dal dubbio e dal male, a insidia di una pratica spesso cruenta. Nato nel 1686, nel villaggio di Hara, ai piedi del Fuji, da famiglia devota, di antica stirpe guerriera, Hakuin sceglie di farsi monaco per timore degli oltremondani inferi. Nella tonaca cerca ristoro e riparo. La via spirituale, praticata nel tempio zen del luogo natio, non lo soddisfa: il ragazzo è roso dal dubbio, pratica il vagabondaggio, perde la fede. Le pie cronache narrano in modo diverso – ma sempre fatale – il ritorno nei ranghi buddisti: è fregio di Hakuin passare di maestro in maestro, per essere impollinato da una sapienza sempre più rigorosa.
Uno di questi maestri, l’enigmatico Shoju, torchia il discepolo con pratiche che, letteralmente, lo tramortiscono: comprendono fustigazioni, mortificazione del corpo, l’umiliazione per vincere ogni residuo imbarazzo, ogni lacerto di sé. Hakuin ne è provato fino a inabissarsi in quella che lui chiama “malattia Zen”, un probabile crollo nervoso, la derisione dell’anima. Un eremita taoista lo aiuta a rinvigorirsi, a raffinare il corpo come una spada per renderlo esatto alla meditazione, bilanciato come su aghi.
Trafitto dall’illuminazione, Hakuin, poco più che trentenne, è eletto abate del tempio Shōin, dove aveva studiato da ragazzo. “A Hakuin si fa risalire la gran parte della tradizione Rinzai moderna” (Aldo Tollini, in: Antologia del buddhismo giapponese, Einaudi, 2009). Riferimenti più precisi alla storia di Hakuin si trovano in rari libri presenti in Italia: Veleno per il cuore (Astrolabio, 1998) e Yasenkanna (SE, 1994). In questo repertorio si fa riferimento all’imponente raccolta di testi di Hakuin curata da Norman Waddell come Poison Blossoms from a Thicket of Thorn (Counterpoint, 2017).
Di Hakuin, qui, interessa il vincastro lirico, necessario a guidare la pratica entro l’alveo della salvezza. La poesia di Hakuin, consustanziale al suo insegnamento – e a un’ampia tradizione che da Dōgen passa per Saigyō e Bashō – non spiega, piuttosto: disorienta. Nella sua opera, le poesie nate a supporto della ‘dottrina’ si distinguono da quelle occasionali, occasionate da un panorama, dall’osservazione di un uomo o di una bestia – poesie ‘pittoriche’, grafia in forma di libellula, mai libresca. Poiché tutto è Buddha, tutto è degno di rilegarsi in versi: la poesia è la forma naturale della meraviglia – è poesia-farfalla, poesia-fiamma, poesia-posa.
Poesia: crisalide del creato.
Poesia: riverbero della cosa pronunciata, annuncio riflesso su un lago. Il vero fine della poesia, per Hakuin, è incenerirsi. Nel cartiglio che va a fuoco, la coda della fenice.
Poesia: fiore di ciliegio.
In particolare, Hakuin ha “sistematizzato la tradizionale pratica del koan, che era caduta in disuso” (Tollini). Il koan è affine – in ambito greco – all’enigma, all’indovinello che, pena la morte, deve essere risolto, alla frase cifrata che offre, una volta dischiusa, la polpa della verità. Il gioco, sempre, sconfina nel vero (distanza e analogia tra la Pizia e la Sfinge).
Il koan – pratica verbale che, dopo costante inabissamento, permette al discepolo l’illuminazione – è sulla soglia del linguaggio: ciò che appare un nonsense è l’unico senso possibile; il detto si approssima, piccola finestra aperta, all’indicibile.
Koan: passepartout che apre il cuore del dio.
Koan: foyer della luce.
Non diversa, l’opzione del koan, l’opposizione al linguaggio istituito – di questo si tratta: penetrare l’al di là del linguaggio – dalle spirali di parole del Barocco d’Occidente, dalla cobla medioevale e dalla copla spagnola, strumenti utili a vivificare il testo, renderlo creatura che azzanna. Di qua si invoca l’illuminazione; di là lo stupore – sia il riso, sia il pianto – per il gioco di prestigio verbale.
Hakuin significa “nascosto nel bianco”. Con questo nome, il maestro zen voleva indicare il luogo del suo romitorio, celato da dirupi di nevi e dalle nubi del Fuji. Il bianco non rivela, nasconde; bisogna scemare nell’eccesso di purezza, fino a rendersi irriconoscibili, mai visti, malvisti.
***
Passato, presente, futuro: inattingibili
eppure, limpidi come cielo immoto.
A tarda notte lo sgabello è freddo come ferro
ma la finestra accesa dalla luna sa di pugna.
*
La scimmia vuole raggiungere
la luna nell’acqua – finché
morte non la coglierà
nulla la farà desistere.
Se avesse lasciato il ramo
sparire nella pozza profonda
il mondo brillerebbe
di abbagliante purezza.
*
Non appena raggiungi il grande vuoto
corpo e mente si perdono, entrambi.
Paradiso e Inferno sono paglia.
Il regno del Buddha è nel caos.
Ascolta: un usignolo urla, rasserena le nevi.
Guarda: la tartaruga estrae la spada e monta sul candelabro.
Se desideri la grande tranquillità
preparati a sudare bianche perle.
*
La forma dell’informe
Quando che comprendi che la forma è la forma dell’informe
il tuo andare-e-venire non giunge da altra parte che nel luogo in cui sei.
Quando comprendi che il pensiero è il pensiero impensato, insensato
il tuo cantare-e-ballare non è che la voce del Dharma.
Così sconfinato è il cielo del Samadhi!
Ci rinfresca con il suo chiarore la luna della Quadruplice Sapienza.
Mentre l’Assoluto si mostra davanti a te
il luogo in cui siedi è la Terra del Loto
la tua persona – il corpo del Buddha.
***
Koan
Raggi di luna filtrano tra gli alberi
una scimmia grida nel magro gelo.
Il vecchio nido trema al vento,
le gru volano e stridono.
Grappoli di nuvole, senza pensare,
occupano le feritoie della scogliera.
Avventurati alla ricerca di legna
afferrando vincastri di glicine.
*
Sollevando la pezza di seta rossa dalla punta del palo
mi rivolgo allo zio Chang e gli chiedo dei suoi denti.
Non dirmi che non riesci a dirmi nulla:
se la madre se ne è andata, i tre figli si congeleranno.
*
Chi usa la medicina cura davvero il male?
Cercare il fuoco è come cercare l’acqua.
Le zucche amare amare sono; quelle dolci sono dolci:
ieri la miseria imperava ovunque, era in parata.
*
Un vero Buddha siede innegabilmente nella stanza.
La scimmia malata morde le sue catene d’oro.
Dopo aver ciondolato dalle orecchie di Mahakashapa
ha condiviso con lui un seggio nello stupa.
*
Sono davvero tornato a casa?
Se sono tornato, non sono io.
Se non sono ancora tornato
allora sono senza dubbio me stesso.
*
La figlia del signor Chang ha denti meravigliosi e gengive sane:
rompe i gusci delle noci come se stesse masticando insalata.
Madre Li è stupefatta e ammiri una tale arma da taglio:
le offre assenzio pepato e vede le sue gengive gonfiarsi.
***
Ti alzi presto per mettere a bollire il tè
corri in cucina, lucidi le pentole
ti affretti in sala a sistemare le candele
poi affetti le radici e le verdure dei campi, gelidi.
Per onorare il defunto maestro nel grande silenzio
offri un banchetto per un ospite maldestro.
Una mente come la tua è un monito:
nessuno sa che tua è la forma del toro!
*
Hai forse la sensazione che la scarpa ti dia fastidio?
Felice del tuo misero ingaggio, sei disceso nella polvere
della città: ora ritorni, certo di esserti sottratto a quei mari
avvelenati. Ho sempre ammirato in te, Tetsu, il genuino
acciaio: ma per creare un fuoco che arde non basta la legna.
Gettati ancora nell’inferno della mia eterna oscurità:
solo una volta ridotto in cenere, vedrai i primi risultati.
Sul Grande Picco del Pruno il tuo loto si è aperto solo per metà
e i fiori effimeri non sono messaggeri di primavera.
Per fortuna, il freddo inverno ti si pianterà nel midollo
sentiremo ancora la pura e dolce fragranza del pruno.
*
Si scatena la grande terra per far naufragare il Maestro Caos.
La brezza sale dalla polvere dentro un forno incandescente:
grani viola germogliano come magnifiche gemme di luce.
Un corvo gracchia una, due volte dal fondo della valle:
una o due foglie a mezz’aria sono indizio d’autunno.
Nuvola solitaria, puoi dire alle Nove Montagne del Dubbio
che tutta la polvere è stata portata in cima la scorsa notte?
*
Appendere il ritratto del patriarca e fare nove profondi inchini.
Non c’è nulla sulla terra che il suo viso non rispecchi:
colline, fiumi, prati, alberi – tutto manifesta il suo corpo di Dharma
splende sereno alla lampada dell’inestinguibile Dharma.
Hakuin