24 Giugno 2020

“Dimmi, c’è ancora Bellezza da trovare? E Certezza? E qualcosa di Quieto?”. Breve storia di Rupert Brooke, il poeta amato da Churchill e da Nabokov

Il 26 aprile 1915 il Times segnala la morte per setticemia di un ventisettenne: “Morte di Rupert Brooke nell’isola di Lemno. Era poeta e sottotenente della Royal Naval Division”. Il ‘coccodrillo’ continua dando la parola a Churchill: “W.S.C. ci scrive la sua vita si è chiusa nel momento in cui sembrava esser giunta a primavera. Una voce era diventata udibile, una nota era stata lanciata: più vera, più mossa, maggiormente in grado di far giustizia alla nobiltà della nostra gioventù nella guerra di oggi, una voce meglio disposta di altre le quali invece esprimevano, chiuse in se stesse, pensieri di arresa; e la voce che abbiamo perso aveva il potere di recare conforto a chi guardava da lontano questi giovani con tanta attenzione da lontano. La voce è stata pian piano uccisa. Restano solo gli echi e la memoria: rimarranno con noi senza morire”. Fu seppellito in un campo di ulivi a Skyros. Churchill gli doveva un tributo perché aveva lanciato lui quella campagna sciagurata nei Dardanelli.

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Ma insomma chi era questa voce?

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Rupert Brooke è ricordato nelle antologie liceali italiane della Black Cat, che fa scuola, come un poeta di maggior fama tra i suoi contemporanei che non tra i posteri perché esaltava, in forma classica, i valori della guerra diversamente dai vari Sassoon e Owen, più disfattisti. Oggi la sua gloria è limitata al Regno Unito, dove si spettegola in continuazione sulla sua natura bisessuale, come una riedizione di Byron. Di lui rimane soprattutto la poesia The soldier o in alternativa Granchester the old vicarage dove c’è in effetti un’eco byroniana.

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Il punto è che Brooke fu molto di più di questo. A partire dall’edizione canonica con tutte le poesie, con questo volto giovane, da tipo interessante. A partire, poi, dal saggio che Nabokov gli dedicò da giovane quando andava in canoa a Cambridge (ora in Think Write Speak). Testo del 1921, puntuale nei riferimenti alle poesie di Brooke. Nabokov aveva 22 anni…

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“Non credo che Brooke sia stato davvero felice in amore. Possiamo immaginarcelo così, nel suo regno senza nubi con una donna, un regno in cui si è trasportato di là dai limiti terreni. Siccome amava infinitamente la bellezza del mondo, ne sentiva spesso le passioni piccine e disordinate che disturbano e lasciano la loro impronta sul chiaroscuro terreno che lui adorava, coprendone i suoni attutiti. Brooke è il poeta di questi suoni attutiti. Sentite l’incursione della prosa ochesca nel giardino della poesia:

Al sicuro nella magia dei miei boschi
Giacevo guardando la luce che moriva.
Leggeri in questo deserto pallido e remoto,
Dilavati dalla pioggia e velati dalla notte,
Argento e blu e verde fecero la loro comparsa.
I boschi neri si fecero ancor più neri;
Uccellini se ne sentivano, ovattati,
E la pace incombeva come la quiete
Che si disponeva sopra la collina. Nessun vento…
E seppi che questa era l’ora della comprensione e
Che una sola cosa eravate tu la notte il bosco,
Così che in silenzio avrei trovato la chiave nascosta
Per disfare quel che sino allora mi aveva ferito e messo nel dubbio –
E capire perché tu eri veramente così come eri,
Capire perché la notte era così gentile con noi,
Capire perché la foresta era una parte del mio cuore.
E aspettai col fiato sospeso, da solo, e lentamente voi tre,
Tu la notte la foresta cresceste in una sola cosa nell’ora della comprensione.
E improvvisamente si smosse qualcosa nella mia foresta…
Arrivasti dietro di me e dicevi La vista da qui è molto carina!
Dicevi È così bello starsene un po’ da soli!
E dicevi Come si stanno allungando le giornate!
Dicevi Non è adorabile il tramonto?

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Egoismo poetico di Brooke. Forza giovanile non raccolta, non tesa verso il suo obiettivo concreto. O meglio, se un obiettivo c’era era però troppo alto da raggiungere. Come scrive magnificamente Nabokov in chiusura saggio, lasciando stare la storia della letteratura e altre frivolezze da sordi: “Non visse lunga vita e la natura incongrua dei suoi modi è dovuta al fatto che non ebbe tempo di setacciare le sue ricchezze, davvero non fece a tempo a fondere tutti i colori del mondo in un colore singolo, di radiante bianchezza. Pure, non è difficile rintracciare la caratteristica principale della sua arte – servizio appassionato alla bellezza pura…”

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Lasciando stare per forza The soldier che ora è la quintessenza del politicamente scorretto (mentre all’epoca gli dava lustro) vediamo un’altra poesia famosa di Rupert Brooke, Granchester composta nel 1912 dopo la prima raccolta poetica. (Non aveva paura di far brutte figure con una secondo libro)

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Due parole sul contesto: Brooke si trova nel Café des Westens nel maggio del ’12, la Germania guglielmina non piace a un Inglese neanche a pagarlo e quindi il nostro si lancia a descrivere le sospese atmosfere teutoniche:

Ebrei tedeschi di buon temperamento
Bevono birra tutt’intorno – e le soffici gocce di rugiada
Stanno nascoste dietro un mattino dorato.
Qui i tulipani spuntano in buon ordine
Ma nei labirinti dei giardini fiorisce scarmigliata
E senza titoli una rosa inglese
finché non prova una fitta di nostalgia ironica per la sua ‘gentaglia’:
Oddio! Solo vedere i rami che si agitano
Verso la luna a Granchester!…
E una volta che è nata la notte,
arrivano ancora le lepri?
L’acqua è ancora dolce e fredda,
gentile e marrone, lì sopra la nostra piscina?
Ride ancora il fiume immortale
Sotto il mulino, sotto il mulino?
Dimmi, c’è ancora Bellezza da trovare?
E Certezza? E qualcosa di Quieto?
Campi profondi e fioriti, ché ho bisogno di dimenticare
Le bugie, e le verità e il dolore?

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In chiusura Brooke si chiede poi: “L’orologio della chiesa rintocca ancora alle dieci meno tre? / C’è ancora del miele per il tè?”. Miscela di Wilde e Byron con un sentore di viaggio e di guerriglia alla Patrick Leigh Fermor. L’estetica era certamente una cosa pericolosa per chi come Brooke fosse nato nel 1887, ma lui dimostra di tenersi in equilibrio.

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Passiamo alle cianfrusaglie eccitanti prima di finire con la lettura di un’altra straordinaria poesia.

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Quando nel 2015 ci fu il centenario della scomparsa uscirono due biografie ripiene di aneddoti a sfondo sessuale nell’una e nell’altra direzione. In effetti, Brooke guardava da una parte e dall’altra.

Furono riesumati memoriali della sua fidanzata storica (90 pagine!) e Guardian banchettò sui resti carnali di Brooke titolando Lettere d’amore espongono il poeta patriota. Ecco uno scambio significativo.

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Rupert a Phyllis Gardner: “Bene, stramba Phyllis, quel che volevo dirti è questo; sei incredibilmente carina quando sei nuda e i tuoi capelli meravigliosi ti si muovono intorno come per il vento. Mi passa del fuoco in corpo a pensarci, sei un diavolo. Ricordo ogni centimetro del tuo corpo in quella luce bizzarra. Ora sono al riparo a Berlino, un posto orrendo per tutti tranne che per me. Tranquillo, solo due persone mi conoscono. Voglio lavorare come mai prima per due mesi. Quando ti vedrò di nuovo? Ti lascio a capo della Poetry Review e ti accludo Beauty and Beauty. Te ne avevo parlato. La scrivo a memoria quindi potrebbe essere diversa rispetto alla versione a stampa. Ma volevo dartela. Potresti mandarmi altri dei tuoi versi. A Berlino tutti hanno i capelli del genere marrone fango. Sei una creatura gentile. Divertente pensare a come ti scompiglia il vento. Scrivimi e dimmi come stai e che succede a Londra. Ti scriverò presto. Con amore Rupert”.

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Risposta di prammatica: “Grazie caro, volevo scriverti per prima e sono contenta che tu l’abbia fatto. Grazie per la poesia. Si dice che ‘ogni donna ha un cuore selvaggio’ e a questo punto immagino che per gli uomini sia lo stesso. Amo la tua poesia Beauty, è come se squillasse dentro la testa. Sei un bravo cantante. Scrivi presto. Phyllis”.

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A questo punto, per scioccare gli sciocchi, i fatti nudi e crudissimi: la liason tra i due durò un anno e mezzo e Brooke fece a tempo ad avere un bambino da una tahitiana in un tour ante-guerra. A detta della giornalista Guardian le lettere a Phyllis emanano “luce postcoitale senza fiamma” (post-coital glow). Le lettere sono state parzialmente messe a disposizione ma serviranno altri 45 anni perché si sappia ‘tutto’ (posto che le parole qui abbiano senso…) e vengano aperti gli ultimi cassettini alla British Library.

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L’altra biografia da centenario raccontava che nella piscina di Granchester il nostro Rupert sguazzava nudo con la Woolf uscendone con un’erezione istantanea: il suo scherzetto unico al mondo, unique party trick come lo chiama la sua ganza di allora Phyliss, la quale sostiene che “non si poteva evitare di esserne impressionati”. Di qui alle chiacchiere sulla sessualità ambivalente del nostro, con la pelle di ragazza, il passo è brevissimo.

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Il circolo di Bloomsbury si riunì dopo la guerra intorno a Woolf, il biografo Strachey, i fratelli Keynes e altri ancora, tutti amanti della piscina di Brooke. Solo che Brooke era stato un neopagano, loro erano chic e basta. La cricca Bloomsbury “viveva nella terra sessuale di nessuno e cercava di ingombrare la memoria di Brooke con un’aura equivoca” (così Geoffrey Keynes). Forse aveva più classe Larkin quando recensiva le lettere di Brooke mezzo secolo fa, o anche l’anonimo articolista del New York Times che parlando di una biografia uscita nel 1964 ricordava semplicemente il testamento artistico di Brooke: “non è l’arte a renderci felici o miserabili: è la vita. L’arte è solo un’ombra, un sostituto di secondo livello e meglio di tutto è vivere la poesia. Per giunta ti mantiene giovane”.

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Aneddoto spiccio: l’introduzione di Henry James alle Lettere dall’America di Brooke è il suo ultimo scritto. E poi: immaginare Fitzgerald giovane studente a Princeton che adorava Brooke.

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Negli anni compresi tra la pubblicazione, svogliata e seguita male, delle prime poesie e la morte in guerra, Brooke fa un po’ di tutto: fondò col fratello una società intitolata a Marlowe dove erano ammesse anche le donne e avere figli prima del matrimonio era un titolo necessario per accedere al gruppo; cercò di concludere una tesi sul dramma elisabettiano e John Webster (autore di Una cura per le corna, strepitoso). In tutto ciò portava avanti la relazione con Noel Olivier flirtando con una sua sorella.

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Brooke sembra il classico tipo che una volta scrive una cosa e poi si contraddice. Segno di giovinezza? Immaturità? Non si vede bene.

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Da Berlino scriveva a Phyllis dicendole che il posto era meraviglioso mentre nella poesia Granchester ci lascia intendere che fa schifo. Allo stesso modo, in amore fa avanti e indietro con lei:  propone il matrimonio a Noel mentre a Phyllis che glielo chiede (e si conoscono da prima, dal 1911) lo rifiuta perché, le scrive per lettera: “sono un viandante che prende qui quel che vuole, dove lo trova: costruisce amicizie qui e amori laggiù, matrimoni lì in fondo, mentre da altre parti passa una sola giornata o una settimana – se possibile trascorre la vita con altri”.

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In quale caverna era sceso per trovare il quarzo della sua poesia Il grande amante? È il 1914, stesso anno di Granchester, anche qui rima baciata che proverò a sciogliere per rendere l’idea. È un’invocazione del paesaggio e degli oggetti graditi a Brooke e non si incontra una sola persona in carne e ossa. Ma non si tratta di retorica, è semmai un affronto che lui rivolge alla morte che osa portargli via anche queste cose basilari.

Sono stato un così grande amante: ho riempito i miei giorni
Così orgogliosamente con lo splendore dell’elogio d’Amore,
Con dolore, calma e stordimento,
Con desiderio illimitabile eppure contento,
E con tutti i cari nomi che gli uomini usano per evitare la disperazione,
Ché le correnti perplesse e cieche che arrivano
Per caso ai nostri cuori ci portano di sotto, al buio della vita.
Ora un silenzio impensabile si arena lungo quella corrente
E vorrei truffare la morte che ci addormenta
Perché ci si ricordi della mia notte come di una stella
Che risplendeva su tutti i soli e sulle giornate degli uomini…
Amore è una fiamma – abbiamo mandato luce nella notte del mondo.
È una città – e l’abbiamo costruita.
È un imperatore – abbiamo insegnato al mondo come si muore.
Quindi proseguo per le cose che amai,
E per l’alta causa d’Amore magnifico,
E per tener giovani le mie vecchie lealtà scriverò quei nomi,
Per sempre dorati come aquile o fiamme piangenti,
E li proteggerò perché gli uomini li conoscano,
Per sfidare le generazioni, per bruciare e soffiare
Sul vento del Tempo che brilla e scorre…
Tutto sarà svuotato quando la morte vorrà respirare e tradirmi
E spezzare l’alto vincolo che avevamo e vendere alla polvere
La fiducia d’Amore e il legame di sacramento.
Oh, su questo non ho dubbi eppure da qualche parte mi sveglierò
E darò ancora quel che è rimasto d’amore e farò
Nuove amicizie che ora mi sono sconosciute…
Ma il meglio rimane con me e cambia, si spezza, invecchia, è spostato
Dai venti del mondo e svanisce dalle menti degli uomini e muore.
Nulla resta.
O cari miei amori senza fede, ancora una volta
Vi do quest’ultimo regalo: una volta che tutti abbiano saputo,
E gli ultimi amanti si siano separati e vi abbiano elogiato,
Era tutto un amore direte, Lui amò.

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Tento una parola erudita per non piangere. Qui Brooke sta nella linea cinquecentesca prima che Eliot la spiegasse ai lettori dei giornali. Brooke adora i metafisici minori e in particolare Aurelian Townshed che inscena, come un Bergman insoddisfatto, il Dialogo tra il Tempo e il viandante (qui il testo).

Dove il viandante che parla con il Tempo scopre di trovarsi nel regno di Amore e che il Tempo può solo obbedire alle leggi del Fato, senza comandare. Esattamente come nella poesia di Brooke: ti puoi rivolgere a contemplare gli amati solo quando non ci sono più. Quando sono vivi non hai tempo. Per dirla con il viandante metafisico:

Se Lei è il Tempo, e questi fiori hanno vita,
Allora ho paura che sotto qualche lillà
Possa ora crescere colei che amo.

If thou art Time, these flower have lives,
And then I fear
Under some lily she I love
May now be growing here.

Andrea Bianchi

*le traduzioni sono di Andrea Bianchi

 

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