Nel 2016 è uscita una raccolta di lettere di Rimbaud alla famiglia che ha fatto scuola: In questi deserti senza strade. Ora, Rimbaud è un autore disarticolato, forse è il prodromo e lo stendardo dell’artista novecentesco, votato a scompaginarsi nella società tecnica, a lasciare le parole per una presunta “azione” – se non altro per riconfigurare una vita, abbandonare il già detto e il ripetuto. Questa è la sensazione che si ricava, per lo meno, a sfogliare le sue lettere tra i venticinque e i ventinove anni, in viaggio tra Cipro e l’Abissinia. Nulla di estetizzante, nessuna estasi, solo una voglia di viaggio sconfinata, senza fermarsi mai, nemmeno (e soprattuto) per il matrimonio.
Prima ci sputa sopra a ventisei anni: “Quanto all’idea di sposarsi, quando non si hanno soldi né la prospettiva di poterne guadagnare, non è un’idea miserabile? Per mio conto, qualcuno che mi condannasse al matrimonio in circostanze simili, farebbe meglio ad ammazzarmi subito. Ma a ciascuno la sua idea…”. Poi, sulla soglia dei trenta, scrive che gli spiace non essere sposato (con un filo di ironia fatalista).
Leggere i testi di prima mano, insomma, consente agli amanti di Rimbaud e a chi lo conosce per interposta persona di farsi uno sguardo vergine sulla sua vicenda. Come quando l’occhio si ferma su quel biglietto del 1879 in cui scrive da Cipro: “Sono già quindici giorni che da Parigi mi si è annunciato che la tenda e il pugnale sono stati spediti, ma non ricevo ancora niente. È desolante”.
Nulla di magico dunque, nulla di traumatico. Una vita sola, allo sbaraglio. Il cuore che batte grazie al cervello in cerca di sollecitazioni, innervamenti. E il mito dell’autore cade e si sovrappone a quello dei lettori.
L’unico punto della silloge in cui pare di rivedere in faccia quella carogna fradicia della letteratura, in cui affiora il corsivo dei titoli, è un falso allarme: si tratta di una richiesta ai genitori di fare da intermediari con l’editore Lacroix di Parigi per ottenere manuali pratici. L’elenco comprende un Traité de Métallurgie (“credo che il prezzo sia di 4,00 fr.”) e i vari Hydraulique urbaine et agricole, Commandant de navires à vapeur, Architecture navale e altri consimili.
Andrea Bianchi
Jean Thial & Thial figlio
Imprenditori
Larnaca (Cipro), li 15 febbraio 1879
Cari amici,
non vi ho scritto prima, perché non sapevo da quale lato mi avrebbero fatto girare. Tuttavia avrete ricevuto una lettera da Alessandria, nella quale vi parlavo di un prossimo impiego a Cipro. Domani, 16 febbraio, saranno esattamente due mesi che sono impiegato qui. I padroni sono a Larnaca, il porto più importante di Cipro. Io sono sorvegliante di una cava nel deserto, in riva al mare: si costruisce un canale. C’è anche da caricare le pietre sui cinque bastimenti e sul vapore della compagnia. Abbiamo inoltre un forno a calce, mattonificio, etc… Il primo villaggio è a un’ora di marcia. Qui abbiamo soltanto un caos di rocce, il fiume e il mare. C’è una sola casa. Niente terra, nessun giardino, nemmeno un albero. In estate, ottanta gradi di calore. Adesso, ce ne sono spesso cinquanta. È l’inverno. A volte piove. Ci si nutre di selvaggina, galline, etc… Tutti gli europei si sono ammalati, tranne io. Qui, al campo, siamo stati al massimo 20 europei. I primi sono arrivati il 9 dicembre. Tre o quattro sono morti. Gli operai ciprioti vengono dai villaggi dei dintorni; ne abbiamo impiegati sino a sessanta al giorno. Io li dirigo: calcolo le giornate, dispongo del materiale, faccio i rapporti alla compagnia, tengo i conti del vitto e delle altre spese; e preparo la paga; ieri ho fatto una paga modesta, di cinquecento franchi, agli operai greci.
Io vengo pagato al mese, centocinquanta franchi, credo: per il momento ho ricevuto soltanto una ventina di franchi. Ma presto mi pagheranno interamente, e credo, anche, che mi licenzieranno, perché verrà un’altra compagnia a insediarsi al nostro posto e si accaparrerà tutto il lavoro. In questa incertezza ritardavo a scrivervi. In ogni caso, dato che il vitto mi costa soltanto 2,25 al giorno, e poiché non devo niente al padrone, mi resterà sempre abbastanza da poter aspettare un altro lavoro, e per me qui a Cipro ce ne sarà sempre. Si dovranno costruire porti, ferrovie, forti, caserme, ospedali, canali, etc…
Il 1 marzo saranno distribuite concessioni di terreno, senza altra spesa che la registrazione degli atti. Cosa succede da voi? Sareste più contenti se io tornassi? Come vanno i vostri affari? Scrivetemi al più presto.
Arthur Rimbaud
Fermo posta Larnaca
(Cipro)
Vi scrivo dal deserto, non so quando spedirò.
Mazeran, Viannay & Bardey,
Lione-Maviba-Marsiglia
Harar, li 6 maggio 1883
Miei cari amici,
il 30 aprile ho ricevuto allo Harar la vostra lettera del 26 marzo.
Dite di avermi spedito due casse di libri. Ne ho ricevuta una soltanto, a Aden, quella per cui Dubar diceva di aver risparmiato 25 franchi. L’altra probabilmente è ormai arrivata a Aden con il grafometro. Infatti, prima di partire da Aden, vi avevo spedito un assegno di 100 franchi con un’altra lista di libri. Dovreste averlo incassato, e avrete probabilmente acquistato
i libri. Insomma, qui ormai non sono più al corrente sulle date. Prossimamente vi invierò un altro assegno di 200 franchi, perché avrò bisogno di specchi per la fotografia. Questa commissione è stata eseguita bene, e, se voglio, recupererò in fretta i 2.000 franchi che mi è costata. Qui, tutti vogliono farsi fotografare; mi offrono perfino una ghinea per ogni fotografia. Non sono ancora ben sistemato e nemmeno abbastanza istruito, ma lo sarò presto, e vi manderò cose curiose.
Accludo due fotografie di me stesso, fatte da me stesso. Sto sempre meglio qui che a Aden. C’è meno lavoro, e molta più aria, verde, etc…
Ho rinnovato il mio contratto per tre anni, ma credo che l’azienda chiuderà presto i battenti, le entrate non coprono le spese. Insomma, si è stabilito che il giorno in cui sarò licenziato, mi daranno tre mesi di stipendio come indennità. Alla fine di quest’anno avrò tre anni di servizio in questa ditta.
Isabelle fa male a non sposarsi, se si presenta qualcuno di serio e di istruito, qualcuno con un futuro. Questa è la vita, e quaggiù la solitudine è una gran brutta cosa. Quanto a me, rimpiango di non essere sposato e di non avere una famiglia. Ma per il momento io sono condannato a errare, legato a un’impresa lontana, e di giorno in giorno perdo il gusto del clima e la maniera di vivere, e persino della lingua d’Europa. Ahimè! a che servono tutti questi viavai, e queste fatiche, e queste avventure presso popoli strani, e queste lingue che ti si affastellano nella mente, e queste pene senza nome, se non mi è concesso di potermi sposare un giorno, dopo qualche anno, in un posto che mi piaccia quasi, e trovare una famiglia, e avere almeno un figlio, che per il resto della vita io possa crescere a modo mio, e corredare e armare dell’istruzione più completa che si possa avere ai tempi nostri, e vederlo diventare un ingegnere famoso, un uomo potente e ricco grazie alla scienza? Ma chissà quanto potranno durare i miei giorni tra queste montagne? E posso anche sparire, in mezzo a queste tribù, senza che mai si venga a sapere.
Mi parlate di notizie politiche, se sapeste come mi è indifferente la politica! Sono più di due anni che non tocco un giornale. Tutti questi dibattiti mi sono ormai incomprensibili. Come i musulmani, so che quel che accade accade, ed è tutto.
La sola cosa che mi interessa sono le notizie di casa, e sono sempre felice di riposarmi sui quadretti del vostro lavoro pastorale. Peccato che da voi faccia così freddo e lugubre in inverno! Ma adesso siete in primavera, e in questo momento il vostro clima corrisponde a quello che abbiamo qui nello
Harar.
Queste fotografie mi rappresentano l’una in piedi sulla terrazza della casa, l’altra in piedi nel giardino di un caffè, e la terza a braccia conserte in un giardino di banani. Però sono diventate chiarissime per via delle pessime acque che mi servono per il lavaggio. Ma in seguito farò un miglior lavoro. Questo è solo per ricordarvi la mia faccia, e darvi un’idea dei paesaggi di qui.
Arrivederci,
Rimbaud
Ditta Mazeran Viannay & Bardey
Aden