02 Ottobre 2019

Tutti si avventano sul corpo di Pasternak: esce un romanzo che ricama intorno a “Zivago” (pagato profumatamente) e la pronipote di Boris mostra le unghie querelando l’autore. Meglio tornare alle poesie…

Boris Pasternak continua a infiammare – d’altronde, gli ingredienti sono speciali: un genio di buona famiglia, un poeta straordinario che ha conosciuto i grandi (Lev Tolstoj, Aleksandr Skrjabin, Rainer Maria Rilke), che è stato molto amato (da Marina Cvetaeva, da Anna Achmatova), che molto ha amato (il matrimonio con Evgenija, poi quello con Zinaida, infine Olga). Il poeta che resiste alle storture del regime sovietico e quel romanzo, Il dottor Zivago, che in modo romanzesco viene pubblicato, in anteprima mondiale, da Feltrinelli, che permette a Pasternak il Nobel per la letteratura clamorosamente rifiutato, che evolve in kolossal cinematografico (bruttino). Intorno, la Cia e il Kgb che sfruttano – o torchiano – il poeta, nel contesto della Guerra Fredda.

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A questa scenografia da sceneggiato aggiungo due dati, che non smettono di colpirmi. Primo: Pasternak, poeta ritirato, contemplativo, affine ai moti del cosmo più che ai tremori della Storia, diventa un ‘caso internazionale’. In effetti, disperava di veder pubblicato lo ‘Zivago’: “Tenuto conto dello spirito che anima l’opera e degli sviluppi della mia situazione qui in Russia, pubblicare il romanzo è fuori discussione”, scrive alle sorelle, nel 1948. Il secondo dato si lega a questa lettera, inviata a Oxford. Pasternak, di fatto, è solo, in Russia, dal 1921. Il padre, il pittore Leonid, così importante per la sua evoluzione artistica, coglie l’occasione di un ricovero a Berlino, per una operazione agli occhi. Non tornerà più in Russia. Porta con sé moglie e figlie: Josephine, più giovane di dieci anni di Boris, che sarà filosofa e poetessa, e Lydia, più giovane di 12 anni, che sarà chimica e devota traduttrice delle poesie del fratello (le prime poesie “scelte e tradotte” sono edite a Londra nel 1960 e nel 1963). Entrambe dotate di particolare sensibilità, moriranno a Oxford: Lydia trent’anni fa, nel 1989, Josephine quattro anni dopo. In Russia, insieme a Boris, resta il fratello Aleksandr (più giovane di tre anni), che farà carriera come architetto. Pasternak vive in Russia, nei momenti più duri, con la famiglia all’estero, in esilio, tra gli ostili ai bolscevichi.

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Detto il contesto, i fatti attuali. Lara Prescott, educata in scrittura in Texas, specializzata a Washington D.C. in “scienze politiche”, ha fatto il botto con il primo romanzo. Il libro, The Secrets We Kept, in giro da un mese, romanza ciò che si sa: la missione della Cia “per portare fuori dalla Russia Il dottor Zivago, dove nessuno osa pubblicarlo”. La Prescott s’inventa la figura di Sally Forrester, “spia glamour e sofisticata, che ha affinato il proprio magnetismo per sottrarre segreti a uomini potenti”. Lo 007 in posa sexy già mi annoia, così come la dida prodotta dall’editore: “il romanzo combina una leggendaria storia d’amore – quella tra Boris Pasternak e la sua amante e musa, Olga Ivinskaya – con la narrazione di donne abituate a vivere una esistenza tra rischi e intrighi. Dalla tenuta in campagna di Pasternak alla brutalità dei Gulag, da Washington a Parigi e Milano, il romanzo coglie un momento fondamentale della storia della letteratura mondiale”. Olè. Il romanzo sarà tradotto in 29 lingue, ne faranno un film.

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L’erede tira fuori le zanne. Anna Pasternak è la pronipote di Boris Pasternak, nipote di Josephine Pasternak. Nel 2016 pubblica un libro, che ha avuto una certa risonanza: Lara. The Untold Love Story and the Inspiration for Doctor Zhivago. Sostanzialmente, si ricama intorno alla storia d’amore tra Boris e Olga, dove c’è molto poco di untold, nel senso che quasi tutto è già stato detto e molto è stato scritto pure dal grande – e vituperato – Boris. Esempio. In una lettera del 7 maggio 1958 a Renate Schweitzer, Pasternak scrive a proposito di Olga: “L’hanno messa in carcere per colpa mia, perché secondo la polizia segreta era lei la persona che più mi era cara; ha subìto interrogatori estenuanti, è stata minacciata, e hanno cercato di ottenere da lei dichiarazioni sufficienti a intentare un processo contro di me. Al suo eroismo e alla sua fermezza io devo la vita, ed è stato solo per merito suo se in quegli anni non mi hanno mai toccato”. Bene. Anna Pasternak, che specula come può sui ricordi dei cari, notevoli avi, intenta una causa contro Lara Prescott e il suo editore, il colosso Penguin Random House. Ha accusato la Prescott di plagio. L’editore ricorda che la sua autrice, invece, si è informata leggendo diversi libri, dalle memorie di Olga Ivinskaya (pubblicate a Parigi poi tradotte a Londra, nel 1978, come A Captive of Time: My Years with Pasternak) a The Zhivago Affair di Peter Finn e Petra Couvée (2015). Da difendere, più che l’onore di famiglia, c’è il conto in banca: pare che alla Prescott abbiano dato 2 milioni di dollari per il libro su Pasternak…

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Recentemente, dalle righe del “New York Times”, parlando del tomo di Anna Pasternak, Sophie Pinkhan ha messo una pietra sul genere spionistico intorno a “Zivago”: “Gli amanti di Pasternak e gli incurabili romantici farebbero meglio a rileggere Il dottor Zivago e a scavare tra le tante memorie e le fonti che stanno alla base di questo e di altri inutili, nuovi libri”. Io aggiungo ciò che nessuno si è ancora premurato di dire. Riguardo alle “avventure editoriali del capolavoro di Pasternak”, connesse alla sua fatale storia d’amore, ha detto tutto ciò che bisogna sapere, con sfarfallio di documenti, Paolo Mancosu in un libro vasto (490 pagine) e bellissimo, Zivago nella tempesta, edito da Feltrinelli – e chi altri – nel 2015. Vi è raccolta anche quella lettera di Giangiacomo Feltrinelli, datata 5 settembre 1958: “Grazie per Il dottor Zivago, per tutto quello che ci ha insegnato. In un’epoca in cui i valori umani vengono accantonati, gli esseri umani vengono ridotti a robot e la maggior parte delle persone pensa soltanto a fuggire da se stessa e a risolvere i problemi del proprio ego affrettandosi e uccidendo quanto resta della sua sensibilità umana, Zivago ha impartito una lezione indimenticabile. Ora so che ogni volta che non saprò come andare avanti potrò tornare a Zivago e imparare da lui la più grande lezione di vita. Zivago sarà sempre accanto a me quando queste cose mi sembreranno perse per sempre, per aiutarmi a ritrovare i valori semplici e profondi della vita”. È questo – è tutto.

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Luca Doninelli ha detto che sono i versi più belli dell’ultimo ghirigoro di secoli. Ha ragione. Un brandello da Le onde. “Imparentati a tutto ciò che esiste, convincendosi/ e frequentando il futuro nella vita di ogni giorno/ non si può non incorrere, infine, come in un’eresia/ in un’incredibile semplicità”. Eccolo, Pasternak – il resto, è chiacchiera, è mondo, immondo. (d.b.)

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