
1917: la Rivoluzione che ha ucciso i più grandi poeti del Novecento
Politica culturale
L’altro Nabokov si chiamava Nicolas ed era più giovane di quattro anni di Vladimir, il cugino di primo grado. Condivisero un tratto di vita, Nicolas e Vladimir: entrambi figli di famiglia abbiente, dopo la Rivoluzione, nel 1918, iniziarono la lunga fuga che dalla Crimea li portò a Berlino, terra eletta dell’emigrazione russa, poi a penzolare tra Germania e Francia. L’altro Nabokov, Nicolas, capì ben prima di Vladimir che gli Stati Uniti erano patria eletta per artisti e fuggiaschi. Nicolas Nabokov atterrò a New York nel 1933, diventò cittadino americano nel 1939, al genio preferì l’impegno. Igor Stravinskij disse che Nicolas Nabokov era “il generalissimo della cultura occidentale”. Aveva ragione. Affascinante, grande oratore, Nicolas Nabokov pare uscito da un romanzo del cugino Vladimir: si sposò cinque volte, la prima con una principessa russa, Nathalie Shakovoskij, l’ultima con la fotografa francese Dominique. Ha avuto tre figli, è morto il giorno della sua nascita, il 6 aprile, nel 1978; tra i suoi cari amici va ricordato Isaiah Berlin.
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Amo le storie in cui occorre alzare la palpebra del secolo, dissotterrare l’avvenimento della tenebra. Storie, dico, che invocano come metro di giudizio la contraddizione.
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Il talento miliare di Nicolas Nabokov era la musica. Preferì abrogarlo per darsi alla lotta. Quando tornò a Berlino, nel 1944, la città era occupata e smembrata: faceva da consigliere culturale stipendiato del governo militare statunitense. Più che creare, Nicolas Nabokov preferì consigliare. I genitori divorziarono che era piccolo, gli fu data una educazione d’eccellenza, tramite precettori privati, a 11 anni parlava quattro lingue e a Pietroburgo prendeva lezioni di musica da Vladimir Rebikov. Continuò gli studi al Conservatorio di Stoccarda, poi a Berlino, con Ferruccio Busoni. Era attraversato dal genio: lo dimostrò musicando, su commissione di Diaghilev, per i mitici Ballets Russes, l’Ode: Méditation sur la majesté de Dieu. Era il 1927, Nicolas compiva 24 anni, il debutto accadde a Parigi. Nel 1930, sempre a Parigi, scrisse la prima sinfonia, la Symphonie lyrique. Per lui scrissero Archibald MacLeish (Union Pacific, 1934), Stephen Spender (Rasputin’s End, 1958), Wystan H. Auden (Love’s Labour’s Lost, 1971, su suggestioni shakespeariane); per il New York City Ballet, nel 1966, musicò un Don Quixote. Nessuno di questi lavori musicali superò la soglia della cronaca culturale, pur verticale, e dell’istante lirico, con vago magone di Nicolas Nabokov. Nelle relazioni mondane e nei progetti culturali, invece, il successo gli sorrise, gli arrise.
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Nabokov restò sempre un intellettuale in fuga: riteneva – a differenza del cugino, che si ritirò in Svizzera, in una specie di monastero dell’arte, negli ultimi vent’anni della sua vita – che gli Stati Uniti fossero la terra della libertà e la Russia quella della reclusione, dell’arte ‘di regime’, ‘di Stato’. Aveva ragione, sempre, è chiaro. Non capì – o finse di non capire –, piuttosto, che anche l’invocata libertà, se usata come un manganello, può diventare ideologia. Nel numero di “Harper” del marzo 1943 Nicolas Nabokov scrisse un articolo, The Case of Dmitri Šostakóvič, in cui dimostrava, sostanzialmente, che il comunismo tarpa le ali al talento. “Poco sperimentale ed essenzialmente conservatore… impersonale, noioso… il suo spirito utilitaristico, rivolto alle masse, in rivolta contro la grande tradizione musicale russa, tradisce, per assecondare l’impresa socialista, la nostra cultura lirica, vitale, fantasiosa, creativa”. Nel 1949 Šostakóvič atterrò al Waldorf Astoria Hotel di New York. Era marzo, Stalin in persona gli aveva intimato di volare negli Stati Uniti, la conferenza “World Peace” fu bollata da “Life” come un tentativo di propaganda sovietica, insieme al grande compositore c’erano Norman Mailer, Arthur Miller, Aaron Copland. Dopo il suo discorso fu proprio Nabokov ad affrontare Šostakóvič: lei è venuto qui a screditare il genio della musica occidentale, di Stravinskij, Hindemith, Schönberg, disse NN. Šostakóvič, sconsolato, gli diede ragione. Solo che la musica di Šostakóvič, un genio vessato da Stalin, che preferì restare in Russia, pur vivendo sotto la cappa comunista che a volte lo incensava altre lo denigrava, continua a stupire, quella di Nabokov è riposta in oblio.
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Dal 1951 Nicolas Nabokov fu segretario del Congress for Cultural Freedom. Organizzava eventi musicali, colti, nel mondo occidentale in contrasto alla diffusione dell’ideologia sovietica. All’epoca la lotta si faceva, soprattutto, nell’agone delle idee. Adorava Stravinskij, Nicolas Nabokov, e alcuni suoi progetti, planetari, come “Masterpieces of the XXth Century” (Parigi, 1952), “Music in our Time” (Roma, 1954), “Eastern and Western Musical Traditions” (Venezia, 1956), “East-West Music Encounter” (Tokyo, 1961), “European and Indian Music Traditions” (New Delhi, 1963) furono momenti di culto, con grande sfoggio di testa e di denaro. Nabokov era amico di tutti: conosceva George Balanchine e Jean Cocteau, Jacques Maritain e Prokof’ev, André Malraux, Jawaharlal Nehru, Willy Brandt, Pierre Boulez e George Gershwin. Era affidabile, sagace, di sfrontata intelligenza. Pensava di dover difendere, non a torto, forse, l’arte occidentale dall’assalto comunista. Conosceva bene ‘Jackie’ Kennedy, pare ci sia la sua mano, la sua testa dietro alcuni discorsi di JFK: “Non dobbiamo mai dimenticare che l’arte non è propaganda, è una forma della verità… Nella società libera, l’arte non è un’arma, non appartiene alle sfere della polemica e dell’ideologia. Gli artisti non sono ‘ingegneri dell’anima’, come diceva Stalin. Nella società democratica il più alto dovere di uno scrittore, di un compositore, di un artista è restare fedele a se stesso” (così JFK il 16 ottobre 1963, all’Amherst College). Poi venne fuori, appunto, che anche la libertà può essere ideologica. Il Congress for Cultural Freedom, infatti, era il braccio culturale della CIA, che per arginare l’onda sovietica, durante la Guerra Fredda, finanziava progetti e riviste di peso (“Encounter”, ad esempio, e, in Italia, “Tempo presente”, ideata da Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte). Alla scoperta fece seguito il caos e Nicolas Nabokov, nel 1967, lasciò il suo ruolo da segretario del CCF dicendo che della CIA sapeva nulla. Se i misteri dell’ispirazione restano un segreto, resta il fatto che i servizi segreti ispirarono la cultura.
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“Non ci sono stati momenti particolarmente felici nella mia vita… A volte ho pensato che la mia vita, così intrisa di dolore, fosse quella di un uomo miserabile. Ma quando ho iniziato a pensare ai miei amici, fui scioccato. Nessuno di loro ha avuto una vita facile. Alcuni di loro hanno avuto una fine orribile, di tutti si può dire che la loro vita sia stata ben più miserabile della mia. Se ricordo i miei amici, immagino montagne di cadaveri. Non esagero. Montagne. L’immagine mi colma di depressione, è come se fossi sempre in lutto”, diceva Šostakóvič. Anche Nicolas Nabokov non ha avuto una vita facile, nonostante le apparenze. Stephen Spender racconta in questo modo una visita di lavoro a NN: “A un certo punto, Nicolas spazzò via, violentemente, cibo, posate, piatti dal tavolo, chinò la testa, la seppellì tra le braccia. Bicchieri e porcellane erano rotti, disintegrati intorno a suoi piedi, ma lui non vi prestava attenzione. Piangeva. In modo incontrollabile”. Era pur sempre un artista in esilio, NN, un uomo abbandonato, in abbandono, che aveva perso la patria. Era uno sradicato, eroso nel profondo. “Nelle sue memorie, descrive se stesso e i suoi amici con la capacità sommaria di un caricaturista. Tutti, incluso se stesso, vivono in superficie, nessuno mostra i segni esteriori di una vita interiore”, ha scritto, nel 2015, sulla “New York Review of Books” Edward Mendelson parlando di lui. Sull’ultimo numero della “Los Angeles Review of Books” Joseph Horowitz ha composto un dettagliato ritratto di NN, Cold War Propagandist: Nicolas Nabokov, JFK, and the Shostakovich Wars. In qualche modo, Nabokov vinse la sua battaglia, sacrificando il proprio talento. Negli anni Settanta insegnò all’Aspen Institute for Humanistic Studies, a Princeton, alla New York University. Nel 1975 pubblicò le sue memorie, Bagazh: Memoirs of a Russian Cosmopolitan. Colpito dalla morte di Pasternak, nel 1961 musicò Quatre poèmes de Boris Pasternak – arrangiati ulteriormente nel 1969. Nel 1964 mise in musica 5 Poems of Anna Achmatova. Il suo ‘nemico’, Šostakóvič morì quattro anni prima di lui, nel 1975. Poco prima della morte, aveva musicato alcune poesie di Marina Cvetaeva e di Michelangelo. Sempre, l’evidenza della morte ci porta a precipitare nei poeti. (d.b.)
*In copertina: Nicolas Nabokov (tutto a destra) vicino a W. H. Auden, che parla con Jules Supervielle; Ischia, anni Cinquanta