13 Settembre 2022

“Eravamo felici”. Lo scrittore senza libri. Storia di Michi Panero, un fuoriclasse della dissoluzione

Diciamolo forte e chiaro una volta per tutte. La vita di certi scrittori è meglio dei loro libri. Soprattutto se non ne hanno scritto nessuno. Valga per tutti il caso dello spagnolo Michi Panero (1951-2004), un fuoriclasse assoluto in questo campo. Il suo nome completo era José Moisés Victor Santiago Panero Blanc, ma fin dalla nascita in famiglia tutti lo hanno chiamato Michi, da pronunciare alla spagnola “Mici”.

Figlio di Leopoldo Panero, poeta di valore ma compromesso con il regime di Franco, e fratello di poeti, era talmente geniale che consacrò l’intera vita a farsi una cultura stratosferica leggendo praticamente tutto, a conquistare le più belle donne di Spagna, a sposarsi un paio di volte e soprattutto all’autodistruzione, tra eccessi vari e assortiti, con una particolare predilezione per quelli alcolici. Risultato: prima dei quarant’anni era già in avanzato stato di decomposizione.

Dopo il liceo si iscrisse a una serie di facoltà universitarie, Filosofia, Scienze politiche, Cinema, senza mai concluderne nessuna. A quel punto iniziò la sua carriera di dilettante assoluto. Negli anni Ottanta Michi Panero è stato uno dei fondatori della Movida, quella vera, quella con la “emme” maiuscola, quella che nel giro di pochi anni stravolse la Spagna dopo il lungo letargo franchista, la reinventò e, nel frattempo, stritolò moltissimi dei suoi protagonisti — scrittori, attori, cantanti, disegnatori, musicisti, registi — che morirono giovanissimi di alcol, di overdose, di Aids. Michi aveva una marcia in più e si distingueva perché non faceva niente: non scriveva, non recitava, non cantava, non disegnava, non suonava. Leggeva e beveva, ma soprattutto si annoiava.

Fin da ragazzo aveva frequentato grandi scrittori spagnoli come Javier Marías ed Enrique Vila-Matas, conquistandoli con la sua intelligenza e la genialità con cui la esprimeva. Fatto sta che tutti lo hanno sempre considerato uno scrittore e un poeta, quasi per osmosi dalla famiglia da cui proveniva e dagli amici che frequentava. Eppure, non ha mai scritto niente, nemmeno una riga. Con due sole eccezioni: alcuni pezzi in una improbabile veste di critico televisivo per una rivista spagnola, in realtà scritti solo nel tentativo di mettere un freno al suo catastrofico crollo finanziario, e qualche embrione di racconti, brillanti ma sconclusionati che aveva scarabocchiato negli anni della adolescenza e che sono stati pubblicati postumi da qualche suo falso ammiratore. I suoi pensieri e le sue riflessioni Michi invece di consegnarli alla carta stampata li regalava agli sconosciuti che incontrava nei bar di Madrid.

Avete presente la folta schiera di autori e autrici dei nostri tempi che ci ammorbano con libri insulsi spacciati per capolavori, che si recensiscono e si complimentano tra loro, che vanno a caccia di premi di ogni tipo, che si danno da fare, che collaborano, che chiacchierano, che danno interviste, che parlano a vanvera di qualsiasi cosa? Michi Panero era di un’altra pasta e, parole sue, tra la letteratura e scopare scelse di scopare. L’altro suo grande sogno è sempre stato quello di sposare una milionaria come Barbara Hutton per poi divorziare il prima possibile, vivere di rendita e ovviamente non dover scrivere. Avercene di scrittori così!

Nel 1976 Michi Panero ha partecipato al film-documentario El desencanto, scritto e diretto da Jaime Chávarri, che racconta il declino della famiglia Panero e la morte del padre avvenuta nel 1962 attraverso le testimonianze della moglie e dei tre figli. Nel corso del film Michi ripete più volte l’espressione: «Eravamo così felici», una frase che guarda indietro e spalanca un presente di desolazione. Come dicesse: «Adesso non siamo più felici». Parole che sono la confessione di una nostalgia per qualcosa di indefinito che lo ha accompagnato per tutta la vita. Ma forse la sua infelicità era già scritta, come per ogni essere umano degno di essere tale. Quanto ha detto una volta sembra mettere una pietra tombale su ogni possibilità di felicità o di riscatto:

«Ho pianto senza conoscerne il motivo, intuendo precocemente il dolore del futuro, la mia stessa immagine spezzata».

Per lungo tempo Michi ha continuato a vivere a Madrid nella vecchia casa di famiglia, sempre più vuota e in rovina. A un certo punto, non potendo più pagare l’affitto, si è trasferito ad Astorga, la cittadina nel nord della Spagna dove era nato suo padre, il poeta Leopoldo Panero, e lì visse gli ultimi anni in solitudine e in miseria, continuando ad abitare le regioni della sconfitta, dell’alcol e della noia.

Nonostante l’irresolutezza e l’apparente inutilità che hanno segnato l’intera esistenza di questo scrittore senza libri che ha fatto della sua vita la sua grande opera, ma credo sia più giusto dire proprio grazie a questa irresolutezza e inutilità, molti artisti spagnoli tuttora lo considerano fondamentale per la loro formazione. D’altra parte, i veri maestri non vogliono insegnare niente a nessuno e non fanno proclami. Quando ormai era fisicamente un rottame, quasi un morto che camminava, sentendo avvicinarsi la fine, Michi Panero pensò di scrivere la propria autobiografia, ma per fortuna si limitò a compilare l’indice, suggellando così la sua vita capolavoro.

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