23 Agosto 2018

Matteo Salvini ha trovato il suo poeta. E il suo poeta annega in una tazzina di caffè. Ovvero: riflessione sui rapporti tra arte e potere

Da un paio di giorni gira in rete un articolo curioso, pubblicato, su carta, da Il Gazzettino. Titolo: “Rondoni, il poeta di Cl che piace a Salvini. ‘Siamo diventati amici grazie a Leopardi’”. Davide Rondoni è poeta tra i più riconosciuti di oggi, ha scritto libri di poesia come Il bar del tempo, l’ultimo s’intitola La natura del bastardo, stampa Mondadori. Salvini, Salvini Matteo, sapete tutti chi è. Cl sta per Comunione e Liberazione ed è il movimento laico e cattolico fondato da don Luigi Giussani. In rete, i puri di cuore s’indignano: che c’entra la poesia con la politica, perché il poeta si fa zerbino del Ministro?

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In realtà, l’intervista è l’esito di una ormai lunga liaison tra il Ministro della Lega e il suo poeta: i due s’incontrano in un convegno romano, a fine gennaio, “Oltre l’inverno demografico”, organizzato da Alleanza Cattolica e dal Comitato Difendiamo i nostri figli, si annusano, si piacciono. Salvini cita Rondoni a Pontida, davanti ai ‘suoi’; Rondoni ‘difende’ Salvini su Tempi, in luglio, poi lo invita al “Piccolo Festival dell’Essenziale”, a Milano, a metà settembre, dove, a onor di cronaca, ci saranno anche, tra gli altri, Omar Pedrini e Filippo La Porta. Ma… che c’entra un poeta con il Ministro? Abbiamo passato decenni a stigmatizzare gli intellettuali cortigiani di sinistra, l’egemonia culturale, i festival dell’Unità dei partigiani e degli amici degli amici, gli strimpellatori ‘di partito’, gli intellettuali ‘rossi’, i poeti nello stanzino del potere… e… ora? Il “poeta cristiano anarchico” – autodefinizione di Rondoni – si fa servo del potente del momento, di destra?

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Piccola parentesi personale per evitare reflui faziosi. Davide Rondoni ha il merito di aver costruito, vent’anni fa, il Centro di Poesia contemporanea, presso l’Università di Bologna, e di aver dato spazio a poeti ben più capaci di lui, Francesca Serragnoli, Daniele Mencarelli, Valentino Fossati, ad esempio. Di Davide Rondoni non mi ha mai convinto l’opera – a mio parere non è un bravo poeta – ma mi ha interessato la sua traduzione dei Salmi. Su quella ci siamo incontrati, molti anni fa, e abbiamo lavorato. Rondoni mi ha messo in contatto con il Saggiatore, permettendomi di pubblicare la “contro-antologia del Novecento” Maledetti italiani. Soprattutto, ho scelto di pubblicare con Marietti, per cui Rondoni curava la collana ‘La Sabiana’, un libro di poesie, L’era del ferro. Mi ha convinto la vitale volontà di Rondoni, e gli sono grato delle parole spese in quarta (“Qualcosa tra Lancillotto e Falstaff, tra Giobbe e Lord Jim. Il libro di Davide Brullo fa così, ci mette nel mezzo di un cerchio rimandandoci, quasi biblicamente, le stesse ossessive domande dacché l’uomo è uomo. Chi siamo? Dove andiamo? Da dove siamo venuti? Qual è il nostro compito su questa terra, in questo vento di vita? Dove sono posti i confini tra il bene e il male?”). Dopodiché, una lite piuttosto alta – colpa mia: non sono suddito di alcuno – ci ha separato per sempre, senza rancore. D’altronde, ho amici cari in Cl, mando i figli nelle scuole del ‘movimento’, perché sono le migliori del territorio in cui abito.

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Durante la fatidica intervista, il poeta Rondoni fa un commento che interesserà, forse, agli analisti politici (“se parla con le persone che ci sono in questi giorni al Meeting scoprirà che in molti hanno votato Lega”), poi ammette: “…l’amicizia con Matteo Salvini è nata in modo molto semplice, grazie a Leopardi e alla demografia… è successo a un convegno a Roma, dove per parlare di demografia sono partito da Leopardi. Salvini mi ha sentito, abbiamo preso un caffè insieme, e di lì si è consolidata un’amicizia schietta”. Rondoni, poeta che appartiene a Cl, cattolico, prende un caffè con Salvini in giorni delicati, pre-elettorali, e diventano amici.

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Poco più di dieci anni fa, nel 2007, Davide Rondoni ha la stoffa di introdurre le poesie di Sandro Bondi, pubblicate da Edizioni della Meridiana con il titolo Perdonare Dio. Parlamentare, all’epoca coordinatore nazionale di Forza Italia, di lì a poco, dal 2008, Bondi sarebbe diventato Ministro dei beni e delle attività culturali. Oltre ad avere fiuto poetico, Rondoni ha anche un certo naso politico. Ad ogni modo, nonostante le poesie di Bondi siano rigorosamente brutte (esempio: “Tenero padre/ madre dei miei sogni./ Anima ulcerata./ Figlio mio/ ritrovato”, dedicata A Walter Veltroni), Rondoni ne scrive in questo modo, “L’uomo pubblico e poeta finalmente coincidono. Dopo alcune prove sotto un nome mascherato, l’onorevole Bondi esce dall’anonimato poetico e ci offre un suo diario di uomo di pena e meraviglia, tra sospensioni e deviazioni”. Cosa significhi non si sa – la retorica ti cava sempre dagli impicci –, certo, nel corso della Prefazione, Rondoni tira in ballo “Luzi e Caproni”, anche la spudoratezza è un’arte.

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Soltanto gli ingenui pensano che la poesia sia ribelle al potere dominante – ribellione ai poteri forti si pretende, almeno, dai giornalisti. Anche il disinteressato Orazio, d’altronde, ha steso il suo Carmen saeculare per Augusto (gli pagava lo stipendio) e pure l’avventuriero André Malraux s’è fatto paladino del ‘gollismo’. Quasi sempre la letteratura è al servizio del potere, altrimenti il letterato non potrebbe garantirsi lo stipendio. Si pensava, appunto, che i nuovi venti governativi avessero cambiato il sistema, ma così non è, tant’è. Il punto, sempre, è l’opera: su di essa il poeta e lo scrittore gioca tutte le sue carte, su di essa pretende scherno o salvezza. Orazio resta un poeta di genio e Malraux uno scrittore eccellente: il problema di Rondoni non sono tanto le amicizie, quanto l’opera, che vigili su quella.

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Tornando terra-terra. Un politico non è il male, al contrario, è un uomo. Un poeta, di per sé, non è il bene: chi siamo noi per giudicare? Non mi scandalizza che un poeta prenda un caffè con un Ministro, cosa c’è di male? E un Ministro può commuoversi davanti a Leopardi: perché no? Un poeta ha il dovere di rompere le palle alla politica per garantire una vita più poetica ai cittadini italiani. Non penso che Rondoni si candidi a scrivere il romanzo epico della Lega o che – come ha fatto Vladimir Majakovskij sul dorso di Lenin – voglia dettare un poema dedicato a Matteo Salvini. Se riesce a far foraggiare la cultura, applausi: vedremo come questi soldi sono usati e a chi arriveranno. D’altronde, non vedo altra ragione per strombazzare ai quattro venti una amicizia con Salvini: o vuoi fare il cortigiano, o vuoi soldi. Altrimenti: che differenza c’è tra l’amicizia con un Ministro e quella con un muratore, con un bambino, con uno che fa l’idraulico? Un poeta non ne fa mai una questioni di ‘ruoli’.

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Ma quando un poeta, anche lui, da cui attendiamo lo sguardo astrale e astruso, parla di “cultura del fare”… Ma ‘fare’ che cosa? In sé, il ‘fare’ è un fare a casaccio, rimestare nel niente, costruire il castello di sabbia del proprio ego.

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…e qui arrivo alla cosa più urtante di una notizia francamente banale. Al poeta non chiediamo l’innocenza – inesistente – ma la dignità. Il poeta può dialogare con il potere, deve parlare a tutti. Da pari a pari, in modo impareggiabile. Il poeta cerca la vita e la purezza – formale e sostanziale – per questo incute timore. Perché, allora, il poeta Davide Rondoni sente il dovere di comunicare al mondo, a mezzo stampa, che lui, beh, prende il caffè con il Ministro Matteo Salvini? Perché? Per far vedere che ha amici potenti, per dimostrare la sua virilità culturale, perché? Questo proprio non lo capisco. Perché questa ingordigia nell’ostentare amicizie importanti? Sarebbe ragionevole il contrario, il Ministro che si fa vanto di prendere il caffè con un poeta. Ma il poeta, il poeta, che dovrebbe frequentare la merda e l’Everest, annega in una tazzina di caffè… (d.b.)

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