
“Al centro di un mistero”. Il “mondo-altro” di Cristina Campo
Letterature
Marilena Garis
Mario Guaraldi è stato il rivoluzionario dell’editoria italiana. Intendeva il suo compito, letteralmente, in modo messianico. L’incipit della sua autobiografia, Bisonti di carta – ovvero: “Critica della stupidità capitalistica dell’editoria alle soglie dell’era digitale” – scritta nel 2021 e naturalmente inedita, dice tutto del tono e del ‘metodo’ di Guaraldi:
“Non ero editore, né figlio di editori, ero un germoglio della guerra, figlio e nipote di bancari, poco dotato in tutto e per questo fatto studiare da ragioniere. Ma il Signore mi prese di dietro i libri della partita doppia e il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo di editori, stirpe dalla dura cervice. La loro fine è vicina”.
Nato a Rimini nel 1941, bocconiano – suo vicino di banco, Fabrizio Saccomanni, futuro Ministro dell’economia e delle finanze per il Governo Letta –, Guaraldi fonda l’omonima casa editrice nel ’71, a Firenze. Pubblicherà libri anomali, di animalesca bellezza, provocatori fin dalle copertine; i testi più incisivi di Georges Bataille – L’impossibile e Critica dell’occhio –, Il mito di una donna di Lou Andreas-Salomé, l’amata da Nietzsche, Religione e socialismo di Anatolij Lunačarskij. Di Piero Meldini – tra i rari grandi scrittori italiani in catalogo Adelphi – pubblicò la prima “Antologia della cultura di destra in Italia”, Reazionaria, screanzata fin dalla cover – una svastica fatta coi fiori – e utile, per l’amplissimo repertorio antologico, ancora oggi. Per non dire di Mussolini contro Freud (ovvero: “La psicoanalisi nella pubblicistica del fascismo”) e di Rapporto contro la normalità a cura del Front homosexuel d’action révolutionnaire, del Fascismo a fumetti di Carlo Carabba (era il 1973) e degli studi, davvero miliari, di Pierre Bourdieu e di Géza Roheim.
Ma Guaraldi non è stato un editore – è stato, soprattutto, un visionario. Vedeva, cioè, sempre, nel libro una ragione di scandalo, un motivo per animare la rivolta interiore. Capì, prima di tutti, ad esempio, la stortura del sistema distributivo, che strozza i piccoli editori, il pericolo del monopolio della filiera editoriale in mano a pochissimi, l’errore micidiale nel trattare il libro come ‘merce’. Nel giugno del 1974, a Rimini, radunò una truppa di editori – tra cui: Astrolabio, Boringhieri, Marsilio, Mazzotta, Cappelli, Einaudi, Editori Riuniti e Laterza – : il convegno “Per una Editoria Democratica” stigmatizzava la “logica economico-politica delle concentrazioni, tese al monopolio del mercato e alla manipolazione del lettore”. Nel 1997 scrisse “un appello al Ministro della cultura Walter Veltroni” in cui censiva la “crisi da bulimia consumistica” e l’“anoressia culturale che investe l’intero Paese”, afflitto da libri “quasi sempre di infima valenza culturale”; nel 2011 si rivolse all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per contrastare
“l’instaurarsi di un vero oligopolio, sia a livello di gruppi editoriali che di catene distributive tradizionali, con prodotti di mass-market quasi sempre di basso profilo culturale, omologati e omologanti”.
Nessuno gli diede retta – ne paghiamo le conseguenze – nell’atavica indifferenza dei tonti e delle iene.
Surfando lungo i decenni, Guaraldi ha organizzato, nel 1983, al Grand Hotel di Rimini, la “prima” mondiale di E la nave va… A Fellini, un amico, ha dedicato una delle sue più prodigiose imprese: la digitalizzazione del Libro dei miei sogni, tradotto in più lingue, a cura di Paolo Fabbri. Nel 1992 portò a Rimini, al “Meeting per l’amicizia fra i popoli”, Eugène Ionesco con la sua ultima grande opera, dedicata a Maximilien Kolbe. Ha avuto a che fare con Martha Graham e con Kazuo Ohno – di cui ha pubblicato il catalogo-memoriale Cent’anni di danza, 2007 – a casa sua (attorno a una frittata con le verdure appena colte) ho conosciuto Monica Guerritore, Eleonora Abbagnato, Paolo Graziosi.
Ha pubblicato Umberto Eco e Antonio Spadaro – Lo sguardo presente, “una lettura teologica” sulla cinematografia di Kieslowski, nel 1999 –, ha scoperto Guido Conti, ha scommesso sul genio catatonico di Enzo Fontana. Dagli anni Novanta, ha puntato sull’editoria digitale, cioè sull’editore come pioniere dei saperi; eppure, ha ideato il facsimile del De Re Militari di Roberto Valturio, presentato con giubilo da Ermanno Olmi, un autentico capolavoro di arte tipografica.
Diceva, con enfasi quasi fanatica, che “Il mondo dei libri è un mondo di contenuti, non di forme. Non è un problema di carta e di ebook. Il libro è un servizio, non una merce”. Uomo dall’entusiasmo contagioso, non poneva limiti all’immaginare, ti portava in luoghi inauditi, vedeva ciò che era celato agli altri. La sua irruenza, spesso, impauriva – sorrideva sempre, è vero, ma era, come tutti i carismatici, una personalità difficile, spesso fuori controllo. Negli anni Novanta si era inventato la collana “Ennesima”, cioè di classici all’ennesima potenza, in nuova traduzione; cito, tra i tanti tomi, il Rimbaud secondo Davide Rondoni e Frankenstein nella versione di Alessandro Ceni. Ha ideato i “Post-Libri” – chiamati anche “Cartolibri” – cioè i libri “di buona lettura da spedire con tanto di francobollo”: uno di questi – in copertina: l’occhio-mongolfiera di Odilon Redon – era dedicato a Il tempo secondo Sant’Agostino.
Non sopportava il Salone del Libro e analoghi ritrovi che testimoniavano a suo dire moria di creatività e stupidità cronica. Così scriveva Guaraldi, nel 2012: “Fuggo da questo salone tarlato dalla crisi, da questa Fiera delle Rassegnazioni, dove solo qualche sparuta new entry paga ancora volentieri l’ebbrezza di vedere il proprio nome stampato in copertina, dove persino lo Stand di Amazon stride per il solo fatto di esserci, dove anche i cosiddetti devices di lettura, i famigerati kindle, le tristi imitazioni firmate IBS, i nuovissimi smartphone di Nokia, gli iPad appena nati, i Samsung Galaxy Note esibiti da manager, autori e pubblico, sembrano oggetti incapaci di dire il dramma da crisalide che sta vivendo l’editoria italiana e non solo”.
Era un apocalittico: insieme all’opera di Filone di Alessandria, pubblicava gli esordienti; nel suo catalogo figurano libri indimenticabili di Hans Magnus Enzensberger e di Pier Vittorio Tondelli come di Gian Ruggero Manzoni e di Andrea Temporelli. Era un uomo buono, Mario Guaraldi. In un libro del 2016, Radici di carta frutti digitali, ha messo per iscritto alcune delle sue ‘profezie’. Si diceva discepolo di don Oreste Benzi; amava i ‘perduti’ e i perdenti –; fautore di un cristianesimo anarcoide, mai ‘di parte’ perché da tutte le parti, era perfino ovvio che i poteri ‘forti’ gli voltassero le spalle. Siamo stati felici di aver raccolto le lettere di Pier Paolo Pasolini a Cesare Padovani, scrittore che dell’anormalità aveva fatto il suo scettro (Da uomo a uomo, 2014); quanto a lui, era fiero di aver riscoperto – e rieditato da par suo – “La trilogia di Giuseppe” di Lion Feuchtwanger, un tempo autore-faro della mitica ‘Medusa’ Mondadori.
Qualche anno fa, mi disse che in fondo basta leggere due libri: la Bibbia e un libro di cucina. “Il primo per il nutrimento spirituale, l’altro per l’altrettanto fondamentale nutrimento del corpo”.
Nella casa, sulle colline di Rimini, curava l’orto e addestrava le oche. Un giorno, nei suoi campi, ha messo tenda il circo. Guaraldi pareva un incrocio tra Mangiafuoco e Giovanni il Battista. Lascia la moglie, Maria, e cinque figli, di diversa età e talenti. Il corpo morto di Mario – mai così vivo tra noi – era affilato, pronto al viaggio, una vera scialuppa. I figli se lo sorseggiavano, lo accudivano, lo hanno ricoperto con regale tenerezza nel lenzuolo, che non soffra il freddo – che si rialzi, per noi, che ci innalzi.
Credeva nella vita eterna, Mario. Dovrebbero portarlo in trionfo.
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Per i suoi ottant’anni, festeggiati nel 2021 presso la comunità di Montetauro, a Coriano, dove riposerà, Mario mi chiese di stilargli una biografia ‘d’uso’. Eccola:
“Mario Guaraldi compirà 80 anni pochi giorni prima delle elezioni comunali, se ne sente a volte 8 altre 8mila, ha conosciuto e interloquito con almeno sette Sindaci di Rimini e forse è lui il rinoceronte felliniano sulla barca, simbolo dell’incongruo riminese, città della capriola e dell’assurdo. Più che un editore, Guaraldi è un profeta: è stato il primo a far “navigare” i libri in Internet. La casa editrice che porta il suo nome è nata cinquant’anni fa a Bologna, ha trasferito quasi subito la sua sede a Firenze, ha un’anima folle e totalmente riminese. Negli anni, Mario Guaraldi ha pubblicato Umberto Eco e Paolo Fabbri, Pierre Bourdieu e Baudelaire, Enzo Fontana e Gianni Rodari, Giuliano Scabia e Piero Meldini, Alberto Moravia, Eugenio Garin, Herman Melville e molti altri. In fondo, è l’esatto capovolto di Roberto Calasso: il suo catalogo – il tesoro di ogni editore – non è meno labirintico di quello Adelphi. Instabile, inquieto, malinconico, in perenne caccia di novità ha viaggiato da Tokyo al Messico: oggi abita a Covignano nella casa avita che fu anche di don Oreste Benzi; coltiva l’orto, semina libri. Tra le molte cose – troppe, deliberatamente anomale, inseguendo l’estro e una compassione esagitata – ha portato Martha Graham e Eugene Ionesco al Meeting. Nel 1983, al Grand Hotel, ha riconciliato Rimini con Federico Fellini organizzando l’anteprima mondiale di E la nave va… La sua passione per Rimini – corsara e corsiva – a volte sfiora l’odio: in fondo, amare la luce richiede la lotta”.