Noi siamo gli orfani del libro.
A noi è data la liberalità nel libro – la libertà di scomporlo, di farlo scomparire. Noi abbiamo le labbra tumefatte da un vocalizzo eccessivo. A noi il libro si rivolta: non è più un tempio, ma il muso di uno sciacallo, fameliche le mascelle.
Per gli ebrei il libro è tutto: lo apri e si scatena un firmamento, si squadernano i mondi. La questione del ‘credere’ è secondaria: il libro ti mette al giogo di Dio, ti allaccia. Le lettere sono nastri, i versetti briglie. Il libro è una tenda ed è un forziere. Dio parla in ebraico – per questo, la traduzione in greco del libro, quella detta ‘dei Settanta’, è avvenuta sotto aura di miracolo: Dio sottomette a sé il linguaggio, ne soffoca le serpi, lo industria, lo soffia come fosse vetro. A loro – non a noi – non resta che infrangerlo: pezzo di libro confitti sotto la pianta dei piedi.
Leggere il libro: perpetuare il patto con Dio – o meglio: raffinarlo. “Lesse alla loro presenza tutte le parole del libro dell’alleanza, trovato nel tempio del Signore” (2 Re 23, 1 ss.).
Anche per i musulmani il libro è sacro. Il Corano va pronunciato in arabo – “Noi abbiamo fatto un Corano arabo, perché possiate comprenderlo” – perché quella è lingua in cui ha scelto di imporsi Allah. La traduzione è pallido riflesso, sacrilegio.
Imparare a memoria, senza capire: questo è lo stigma del libro sacro. Il libro agisce, è farmaco e bestia. Non serve capire: sormontare, semmai; inoltrarsi tra i picchi del libro. Valicare tra le ombre del libro. Le lettere: tracce sulla neve – bisogna ripercorrerle con cruenta esattezza, perché si tacciano. Il grande silenzio di Dio – l’antro della Sua presenza – l’androne.
Jorge Luis Borges era affascinato dalla potenza teurgica del Corano. Gli piaceva che il libro, fenice di carta, vomitasse fuoco, remunerasse i buoni, resuscitasse i morti. In una lezione sulla Cabbala – ora in: Sette sere, Adelphi, 2024 – il grande scrittore dice, tra l’altro:
“Nel capitolo che dedica alla cultura magica in Der Untergang des Abendlandes, Spengler considera il Corano il prototipo del libro magico. Per gli ulama, i dottori della legge musulmani, il Corano non è un libro come gli altri. È un libro (è incredibile ma è così) anteriore alla lingua araba; non lo si può studiare né storicamente né filologicamente perché è anteriore agli arabi, anteriore alla lingua in cui è scritto, e anteriore all’universo. Non lo si concepisce nemmeno come opera di Dio; è qualcosa di più intimo e misterioso. Per i musulmani ortodossi è un attributo di Dio, come la Sua ira, la Sua misericordia o la Sua giustizia. Il Corano stesso parla di un libro misterioso, la madre del libro, che è il suo archetipo celeste, sta in cielo ed è venerato dagli angeli”.
Il concetto replica quanto Borges ha scritto in un saggio raccolto in Altre inquisizioni (1952; qui cito la traduzione di Francesco Tentori Montalto) che s’intitola Del culto dei libri.
“Per i musulmani, il Corano (chiamato anche Il Libro, Al Kitab) non è una mera opera di Dio, come le anime degli uomini o l’universo; è uno degli attributi di Dio, come la Sua eternità o la Sua ira. Nel capitolo XIII leggiamo che il testo originale, La Madre del Libro, è depositato nel Cielo. Muhammad-al-Ghazali, l’Algazel degli scolastici, affermò: ‘il Corano si copia in un libro, si pronuncia con la lingua, si ricorda nel cuore, e tuttavia perdura nel centro di Dio e non lo àltera il passare per i fogli scritti e per gl’intendimenti umani’”.
Quello della “Madre del Libro”, il libro che precede il libro, il libro-matrice, il libro-mantice, il libro partoriente, si trova, in effetti, nella Sura XIII, Ar-Ra‘d, “Il Tuono”. Così si legge al versetto 39:
“Allah cancella quello che vuole e conferma quello che vuole. È presso di Lui la Madre del Libro”.
Ho citato la traduzione di Hamza Roberto Piccardo, che spiega, in nota: “presso Allah esiste… l’Archetipo Celeste del Libro Sacro”.
La Sura III, Âl-‘Imrân, insegna che esiste una stratificazione nel libro, un rapporto tra il libro terreno e quello celeste: “È lui che ha fatto scendere il Libro su di te. Esso contiene versetti espliciti, che sono la Madre del Libro, e altri che si prestano ad interpretazioni diverse”. Il libro è un’entità vivente, in cui siamo riassunti, che ci desume. Il libro ti caccia – del libro bisogna andare a caccia.
Altrove – Sura LXXXV. Al-Burûj – si dice: “Questo è invece un Corano glorioso, [impresso] su di una Tavola protetta”. Così Hamza Piccardo: “Secondo una tradizione questa Tavola è posta alla destra del Trono di Dio. Tabari riferì che l’Inviato di Allah… disse: ‘Allah ha creato la Tavola protetta dalla perla bianca, le sue pagine dal rubino rosso, il suo calamo dalla luce e la sua Scrittura dalla luce’”.
La matrice del libro – il libro-madre – è impresso su una Tavola: nella rivelazione ‘pubblica’ si specchia quella privata, di cui siamo privi. Dunque: quel brillio di seguaci-esegeti che scava all’ombra di ogni lettera, ne tratta il ‘negativo’, per così dire – trae dal vuoto del verso la scala celeste.
La malia del libro ‘sdoppiato’ è trattata da Edmond Jabès nel Libro della sovversione non sospetta (la traduzione è di Antonio Prete):
“Sicché ci sono due libri in uno. Il libro che è nel libro – Libro sacro, austero, inafferrabile – e il libro che si offre alla nostra curiosità; opera profana, certo, ma d’una trasparenza che a tratti lascia intravedere il Libro che in essa è nascosto: improvviso lampeggiare d’un vocabolo ispirato, talmente immateriale, abbagliante, avido di durata, che per un breve istante può farci precipitare nel cuore d’una eternità folgorante, bianca, nuda. Eternità del verbo divino, di cui il verbo opaco dell’uomo è solo l’eco disperata”.
E prima:
“Non c’è un Libro sacro, ci son dei libri spalancati sul silenzio del Libro sacro”.
Edmond Jabès s’introduce nel sacrario da poeta: in lui risplendono le due tradizioni del libro – è di origine ebraica, è nato al Cairo, “influenzato dalla cultura araba”. La Madre del Libro ha un ventre vuoto.
Qui si traducono, a tentoni, i brandelli di alcune Sure dal Corano tradotte in francese da Jean Grosjean, poeta di vagabondo ingegno. La traduzione uscì per Philippe Lebaud nel 1979, esito di un lungo innamoramento per la cultura islamica – cominciato negli anni Trenta, quando, seminarista, Grosjean fu in Libano e in Medio Oriente. Credo che nello scroscio che accade tra traduzioni di traduzioni si accenda qualche lume, il complesso accedere verso l’archetipo del libro, imperituro fuoco.
“Nessuno, nella storia religiosa dell’umanità, ci ha dato un testo in cui a parlare sia Dio stesso. L’audacia, una fondamentale caratteristica di Maometto in ogni campo, conferisce al Corano un effetto letterario diverso da qualsiasi altra cosa. Quando lo leggiamo, o lo recitiamo da soli o assieme ad altri, non possiamo mai rilassarci”: così ha scritto Harold Bloom. L’audacia del cristianesimo, invece, è di segno opposto. I cristiani sono orfani del libro, perché a loro è apparso il Verbo. Per questo, il Vangelo vacilla: la lingua in cui ci è giunto – il greco – non è lingua di Dio come l’ebraico di Mosè o l’arabo di Maometto. È la lingua dell’uomo, lingua d’uso, lingua franca – è lingua ‘inventata’, senza le vertigini letterarie, chessò, dei tragici. È lingua impura, lingua ‘pagana’. Il Vangelo non va imparato a memoria, ma tradotto: esiste perché sia trapiantato in altre lingue – malleabile è il suo seme, fa frutto ovunque. Lingua adatta a sconfinare – lingua sconfitta.
Vangelo: libro crocefisso. Verbo radicato alla sua incomprensibilità. Verbo che fa talea, Verbo tumefatto. Non ha voce, il Nazareno in Croce: ripete le parole del libro che non è più suo, ne sfibra il liturgico tarlo – l’antico patto è disfatto.
Voglio dire: il Vangelo è per latitanti e fuggiaschi, parola che si sussurra sotto scorta di candele. Il cristiano è l’apolide del linguaggio; nessun legaccio lo aggioga. L’eremitaggio esegetico, così, instaura un conforto misero su un testo di numinosa schiettezza, che fa acqua ovunque. Questa impalpabile bellezza conferisce al Vangelo – a quello di Marco come a quello di Giovanni o di Luca o di Matteo –, se possibile, una più vasta statura di enigma. Il cristiano non può ancorarsi al libro, perché il libro non dà risposta: il cristiano, come Gesù, deve ‘farsi’ verbo. Il libro-crisalide deve trasformarsi in qualcos’altro: aquila, ratto, mulo. Per questo, quando lo leggiamo non impariamo nulla, ma ci si drizzano-indirizzano i muscoli – si tratta di un addestramento.
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Sura XIII
Il Tuono
Nel nome di Dio il Misericordioso pieno di misericordia.
Alif. Lâm. Mîm. Râ. Versetti del libro. Ciò che ti è rivelato tramite il tuo Signore è la verità, ma la maggior parte è incredula. Dio ha posto in alto i cieli senza pilastri visibili e si è stabilito sul suo trono. Ha sottomesso il sole e la luna che corrono ciascuno presso un termine fisso. Governa e ordina, esplica i segni. Siate certi che incontrerete il vostro Signore.
Egli ha disteso la terra, ha pianificato le montagne e i fiumi, fa crescere a coppie tutti i frutti. Copre il giorno con il notturno vello. Questi sono segni per chi vuole riflettere. Parti differenti convivono sulla terra, giardini, vigne, campi di grano, isole di palme o cespugli. La medesima acqua si irradia su tutti, ma noi rendiamo alcuni frutti migliori di altri. Questi sono segni per colui che comprende.
Se sei stupefatto, ti stupiscano quelli che dicono: Saremo ricreati una volta polvere? Quelli non credono al loro Signore. Saranno carcati di catene. In perpetuo saranno nelle dimore del fuoco.
Ti chiederanno di aderire al male più che al bene. Eppure, pene esemplari li precedono. Sì, il tuo Signore è disposto al perdono malgrado le iniquità degli uomini, ma il tuo Signore è terribile nella punizione.
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Sura XLIII
L’ornamento
Nel nome di Dio il Misericordioso pieno di misericordia.
Hâ. Mîm. Per il libro esplicito! Noi abbiamo fatto un Corano arabo, perché possiate comprenderlo.
Egli è altissimo e saggio nella scrittura madre presso di noi. Dovremmo privarvi del monito perché siete sfrenati? Profeti abbiamo inviato agli antichi, ma nessun profeta è giunto a loro senza che lo deridessero. Allora abbiamo sradicato i più forti uomini, l’esempio degli antichi è noto.
Domandagli: Chi ha creato il cielo e la terra? ti diranno: Il Potente che sa li ha creati. Della terra ha fatto una culla, ha tracciato trame di sentieri perché possiate guidarvi. Ha fatto piovere acqua con misura perché noi ridiamo vita a un sole morente. Allo stesso modo, vi farà uscire dalle tombe.
Egli ha creato tutte le specie. Vi ha donato navi e bestie da cavalcare su cui potete assidervi. Vi ricorderete allora dei benefici del vostro Signore. E direte: Gloria a colui che tutto ci ha dato, a noi che nulla potremmo dominare. Noi torneremo al nostro Signore.
Qualcuno pensa che alcuni servi facciano parte di lui. L’uomo è davvero ingrato.