24 Maggio 2024

Lorenzo il Mago o dell’arte come teurgia. Storia di Lorenzo Peretti Junior, il pittore che non venne a patti con il pubblico

Nigredo

A una discendenza, per non disperdersi in essa, bisogna ascendere.

Discernere una discendenza per dissipazione. Sublimare, si direbbe, secondo volute alchemiche: dal corpo ottenere l’anima; di un’esistenza ricavare l’amuleto.

Lorenzo Peretti incorpora il nome del grande avo, cima di una dinastia di pittori, i Peretti di Buttogno, noti ben oltre i confini della Val Vigezzo. Il lignaggio lo precede, potrebbe tappargli la bocca e renderlo girifalco impagliato, un figurante abile nella replica e nella vile arte della ‘simiglianza’, mera “bestia da stile”.

I conti con la stirpe, per così dire, Lorenzo li salda con il magniloquente ritratto del padre Bernardino – pittore di vaglia che indirizzò il figlio ad altri mestieri, provando (prima che privando) la temperatura di un destino. Beata brutalità, quel ritratto: è il 1894, Lorenzo va per i 23 anni, il padre è morto cinque anni prima, dandogli, letteralmente la vita, cioè il patrimonio che gli permette di sprofondare nella ricerca d’arte. Il ritratto – realizzato da impressione fotografica – è omicidio e gesto di gratitudine; ricomposizione del corpo morto. Quasi che Lorenzo Peretti abbia intinto nell’olio santo una garza, a lucidare il cadavere del padre: che per sempre odori di rose, che sia altro da ciò che è stato, pura infiorescenza.

Lorenzo Peretti Junior, Ritratto della sorella, olio su cartone

*

Ogni ritratto è un’Ofelia: restituzione del corpo su piastra d’acqua – su tela. 

*

Il ritratto – Peretti, artista mistagogo, lo sa bene – smaschera. La maschera, in origine, non cela: dice la verità di colui che copre, è il suo autentico. Se di uccello, ne dice la natura aerea; se di cervo quella terrena, da preda.

Sono i nomi la contraffazione dell’anima: tutti i nomi devono essere esauditi – cioè: superati.

 *

Per conquistarsi la discendenza: recidere i legami parentali. La vera parentela accade per elezione, a mani giunte, sdraiati sul pavimento. Catabasi dalla mandria dei parenti – soltanto quando è solo, al fondo del lignaggio, con la cura di poter perdere il vello del nome, l’artista accende la torcia. Il rogo della parentela si fa lume.

Il ritratto della sorella – di rupestre bellezza – è già un gesto di futuro: Lorenzo Peretti indossa la stola dell’erede, ha bilanciato le vite degli avi nell’eternità. È superfluo parlare di prima e di dopo, di ascendenze e di discendenze, di nonni e di nipoti, quando si è tutti uno: un solo corpo.

A decoro dell’opera, consustanziale, la preghiera. Lorenzo Peretti – lingua che sfocia in ex voto – chiede al Supremo di proteggere i suoi, il proprio clan:

“Benedici i miei genitori: mio padre Bernardino, mia madre Maria Giustina, mio nonno Lorenzo, mia nonna Giustina, i miei nonni Francesco e Elisabetta i miei zii Antonio Carlo Giuseppe Bettina Lucia Bartolina Battista mio fratello le mie sorelle e tutta la mia famiglia viventi e defunti”.

(Si veda: In suprema identità. Invocazione metafisica di Lorenzo Peretti Junior, MmeWebb, 2011)

Il legame: non più giogo ma legge.

L’opera d’arte evoca i morti, conduce e benedice. Nella cenere dimora bava stellare.

*

Junior. Lorenzo Peretti è l’artista per sempre giovane. Per sempre Junior – un candore con la fionda. Nella rinuncia alla ‘messa in mostra’ – cioè: mettendosi ‘all’opera’ – ottiene l’immortalità. È il bambino che ride, decapita gli antichi idoli, distrugge, con svagata malizia, per ricostruire.

**

Albedo

I lavori di Lorenzo Peretti appaiono dopo lento lavacro – sono il seguito di un’abiura. Opera di sale. Compaiono, intendo, dopo consumazione. Vengono riesumati da un aldilà dell’immagine – quasi che siano l’esito, sopravvissuto, di diversi quadri, di diversi corpi. Appaiono – inchiostro simpatico – sotto altra luce; o per cancellatura.

Dunque, la Brocca con i fiori – dall’aspetto leonino –, Sottobosco, Oratorio, Ultima neve, Laghetto alpino… in un bendaggio di assoluto, dove la figura del mondo scompare: ha vigore il segno primario e ultimo, la candela prima del fuoco che tutto brucia. Si opera, sempre, sotto un flebile lume, usando la pietra, spaccando il frutto: le opere di Peretti, come le pitture a Lascaux e ad Altamira.

*

Dunque: l’assenza della data e della firma dai quadri. Esigenza di una vita fuori dal tempo – fuori di sé, secondo crisma mistico: “È fuori di sé” è il più ambiguo degli epiteti assegnati al Nazareno (Mc 3, 21), “è indemoniato ed è fuori di sé” (Gv 10, 20), precisa l’assurdo. Vivere la sacra pazzia, la sovversione dei segni, significare il punto di contraddizione, l’analogia tra miracolo e miraggio, lo scompiglio che scompone il dio in idolo.

Le opere di Peretti: vengono da un altro tempo, gettate a sasso verso un futuro di luce palustre. Perché esista l’opera, si esige il sacrificio di colui che opera, l’artista. Dunque: decapitare il nome – che è il calco di quello del nonno – e obliare la data. I giorni: calcina del sepolcro – ma l’artista non c’è, è altrove, levita.

Non esiste atto d’amore senza spargimento di sangue.

*

Dell’ultimo artista – inteso come l’artista che si occupa delle cose ultime, tra alba e abulia, sulla soglia del silenzio – Lorenzo Peretti incarna il monito, implacabile. Che rapporto trattiene l’artista con questo mondo, con il mondano, con l’immondo? L’immediatezza di Peretti – artista-taumaturgo, che tocca le cose, entra in contatto diretto – gli impedisce di stare al gioco dei mediatori, la pletora degli -ismi.

Lorenzo Peretti obbliga a una domanda zenit: che rapporto intercorre tra l’artista e il mercato, tra l’artista e il pubblico? L’artista porta il disordine o si organizza per raggiungere un ordinario successo? Ordalia, lordura del consueto, finanche del proprio – o ovvietà, burocrazia del consenso acquisito? L’artista ‘di fama’ finge di corrispondere al proprio desiderio rispondendo ai desideri altrui, del cosiddetto ‘pubblico’. Le oscenità in luogo pubblico – ago dell’arte – si mutano in messa in scena, nell’ego dell’arte in forma di pubblica utilità. L’intimo dell’artista reso all’intimidazione del tempo.

Lorenzo Peretti Junior, Brocca con fiori, olio su tela

*

Secondo Dario Gnemmi è la rinuncia a fare di Lorenzo Peretti il più eversivo dei vigezzini. All’amico Carlo Fornara non perdonerà di aver allineato il proprio prodigio all’etica divisionista, di aver liquefatto l’individuo nel gruppo – l’opera deve disorientare, non dare avvio all’industria della didascalia, degli omaggi, delle medaglie illustri.

“Se un artista può operare per sé, quasi sfidando i limiti del proprio sapere o gli steccati apposti dalla critica e dagli inevitabili giudizi a tratti severi, a tratti corrivi di un pubblico in molti casi privo di formazione e d’informazione; se un artista si contenta di scoprire e, non avendo bisogno di vendere, non mostra e non fa vedere; se un artista è talmente colto da aver scoperto l’essenza stessa della sua volontà creativa in potenza e di volerla poi tradurre in atto nella piena libertà da vincoli di poetica comune o di interventi in collettive, quell’artista, a costo di essere definito misantropo, ha forse scoperto il principio del suo equilibrio… Dobbiamo ammetterlo. Lorenzo Peretti Junior ebbe la sola fortuna che un artista può augurarsi: non venne mai a patti con il pubblico e, meno ancora, con la critica”.

(Dario Gnemmi in: Vigezzini di Francia, Skira, 2007)

*

Non mostrarsi: scelta necessaria per evitare il mostro della messa in scena di sé. L’artista non può essere qualcuno, deve sempre diventare qualcos’altro.

Benché immoto, non è immobile – muta.

*

Dipingere senza fare affari con il mondo, senza affratellarsi al mondo – dipingere come fosse fattura, anzi: fatto. Per questo: opera. L’opera d’arte mette in opera, “agisce” – Ufficio divino: Opus Dei; officina alchemica: Magnum Opus.

*

Più che altro: cosa raffiguro quando dipingo? Come rappresentare l’irrappresentabile? Come disegnare l’anima delle cose? La storia dell’arte odierna nasce dalla pia intenzione di “una donna di nome Veronica che era stata confidente di Gesù” e riceve da Cristo risorto “il panno… insignito della sua venerabile faccia”. L’apocrifo che racconta la santa scena, La morte di Pilato, dice il senso profondo della ritrattistica: “volli dipingermi un’immagine affinché, privata della sua presenza, avessi un sollievo almeno con la rappresentazione della sua immagine”. L’immagine, il ritratto – l’erta dell’arte d’Occidente, per cui l’uomo e il volto sono tutto – è lo spettro, l’ombra del corpo immaginato, scomparso; la pittura ha un significato consolatorio, reca sollievo. L’insegna di Cristo consegnata alla Veronica avrà, quasi subito, valore salvifico: l’opera viene consegnata all’imperatore Tiberio con indicazioni d’utilizzo, “se la guarderai devotamente, subito riacquisterai il beneficio della tua salute”.

L’arte occidentale: raffigurare l’invisibile; realizzare opere che sappiano sanare. Opera di teurgia.

*

Il velo della Veronica non vela: svela. È la vela per giungere al Messia.

*

Lorenzo Peretti: un artista contro la modernità. Il contrasto si configura in due modi. Intanto: il tratto pittorico che asseconda il mondo e a sé lo sussume va superato – la ‘scienza pittorica’ non estrinseca l’anima delle cose, come nel processo alchemico: riferisce i corpi, replica le superfici; le avanguardie sostituiscono l’astratto al regno degli emblemi e dei simboli, l’inconscio allo spirito, la ‘tecnica’ all’ispirazione. Tutto diventa ‘moda’: nelle mostre l’artista si rassegna a essere un ‘mostro’; anche gli estremismi – il maledetto, il folle, l’inclassificabile – sono biada, merce, entrano in classifica, ‘vendono’; lo spazio dell’arte è passato dalla chiesa al museo alla galleria all’happening. L’ultima patina sacra è tolta, stola degli ingenui: il solo metro di valore di un’opera è il denaro, chi costa di più vince. 

Esporre i quadri nella foresta, allora: troveranno la dedizione delle bestie.

*

Nuvole: albedo del cielo. Nuvole: piantagione di piogge, gravidanza di tuoni. La terra ne è turbata e verdeggiano i campi.

**

Rubedo

Lorenzo Peretti doveva essere un uomo insopportabile. Enrico Cavalli, il maestro, lo dice di “carattere misantropo e concentrato… temperamento d’artista nel vero senso”, che “non si espone e non fa vedere”. Fondamentalismo del pudore: umiltà putrefatta. L’antico compagno di studi Giovanni Battista Ciolina, nel suo diario, ne riconosce la “chiaroveggenza”, ma prende le distanze dallo “scetticismo di quell’uomo”, che gli fa “paura”: è un “buontempone”, un “sognatore”, un “indipendente”. Ciolina lo paragona a uno dei personaggi di Gabriele d’Annunzio – Giorgio Aurispa o Andrea Sperelli che sia – ma potrebbe avvicinarlo a Ivan Karamazov. Qualcosa di sottilmente demoniaco anima la vita e le ricerche di Lorenzo Peretti.

*

L’ossessione esoterica, l’appartenenza alla massoneria, l’idea dell’arte come ‘via’ non sorprendono. Lorenzo Peretti vive l’epoca della reazione teosofica al positivismo, della philosophia perennis in alternativa alla meccanica del progresso. È l’epica delle comunità di alto lignaggio spirituale: Monte Verità, Fontainebleau (ritrovo dei discepoli di Gurdjeff), Aleister Crowley e Lanza del Vasto, lo spiritismo, Madame Blavatsky, Jiddu Krishnamurti, l’antroposofia di Rudolf Steiner.

Lorenzo Peretti Junior, Donna con la gerla, inchiostro su carta

Nell’era della macchina, della catena di montaggio, della democrazia diffusa e della morte di Dio, l’arte coltiva l’idea, famelica e fatale, aristocratica, di tornare a essere l’ago della Storia, di farsi ‘atto’. William Butler Yeats, tra i grandi poeti di ogni tempo, Nobel per la letteratura nel 1923, senatore dell’Irish Free State, costruisce un sistema esoterico privato – riferito in un libro meraviglioso e sigillato, A Vision – per convalidare la propria poetica. In una poesia rivelatoria (in forma di rivelazione), The Second Coming, Yeats descrive la fine del mondo (“Pura anarchia sprigionata nel mondo,/ Marea di sangue bruno sprigiona, ovunque…/ I migliori smarriscono la verità”) con parole scure: il dio che “striscia verso Betlemme per nascere” ha la figura di una “bestia cruenta”.

Nel testamento-invocazione Lorenzo Peretti non ignora il disastro:

“Padre nostro benedici l’Umanità la quale corre alla rovina. Distogli da noi ed attenua tanta sventura ma se altro è il Tuo divisamento che la Tua volontà si fatta sia benedetta e sia glorificata poiché Tu sei l’Eterna bontà nell’Eterna Perfezione”.

*

Lorenzo Peretti non può ‘mettere famiglia’: chi si trasforma non può replicarsi in una filiera di figli. L’arte, opera di trasmutazione, chiede un artista-vestale, un artista – direbbe Scipione, il pittore – che “indossi il voto”. In una fotografia insieme alla famiglia Ciolina, Lorenzo Peretti ha il viso scalpellato, assente. Effetto del fato. Sembra di guardare una delle fotografie ‘africane’ di Arthur Rimbaud, rarissime, con il volto cancellato per sublimazione d’acido. Chissà se Lorenzo Peretti ha trovato la sua Harar.

*

A costo di forzare i cardini biografici: Lorenzo Peretti non è un mistico ma un viveur; vivacchia; pratica le oscure arti; all’accademismo predilige il divino gusto del pettegolezzo (il verbo passato al fuoco della frivolezza). Sovverte i sensi. Vive la debacle dell’artista, è un decabrista dell’io – capisce che è necessaria la rinuncia all’arte perché l’arte si riveli. Di una devozione più grande – che altri classifichino pure come sprezzo – ha bisogno l’arte.

Calafatare le voluttà in volontà.

*

Sia Carlo Fornara che Lorenzo Peretti percorrono l’arte come una via spirituale. Dipingere: stringersi ai lombi il sacro. La via percorsa dagli amici, pericolosa per entrambi, è tuttavia opposta. Fornara opta per il divisionismo perché vi riconosce una spiritualità solare, perché incarna l’elemento luminoso; il divisionismo è “una rivelazione… ha portato nell’arte un elemento che è la fonte stessa della vita universale: la luce!” (così il 19 febbraio 1952, rievocando la sua giovinezza, giustificandola, ad Amedeo Catapano; in “Su l’orlo del suo rifugio”. Carlo Fornara nelle lettere ad Amedeo Catapano, Marietti, 2010). Lorenzo Peretti opta, invece, per l’oscurità: si occulta per penetrare la via negativa della pittura. Se Fornara è il sole, Peretti incarna l’elemento lunare della pittura vigezzina.

*

L’arte: preparazione alla morte. La pittura: esperimento alchemico. I materiali, dileguandosi, raffinati, danno il colore; il colore, degnamente impastato, si sviluppa in forme nuove. Trasmutazione della materia e della forma. Resurrezione.

*

Arte-teurgia. Così Pavel Florenskij nel saggio sull’icona, Le porte regali:

“Ecco, osservo l’icona e dico dentro di me: È lei stessa! Non la sua raffigurazione, ma Lei stessa, contemplata attraverso la mediazione, con l’aiuto dell’arte dell’icona. Come attraverso una finestra vedo la Madre di Dio, la Madre di Dio in persona e Lei prego, faccia a faccia, non la sua raffigurazione… Con l’icona sempre si riconosce come un fatto di natura divina… A fondamento di un’icona sta un’esperienza spirituale”.

*

L’arte non raffigura, è – è creatura vivente. Altrimenti, è bene diventi merce.

*

Un quadro: a volte mette le zampe, si dilegua nel bosco. L’artista è il suo pastore – il suo cacciatore.

*

Pur nella rapidità del bozzetto, Davide Ramoni, nei suoi Lineamenti per uno studio sui pittori vigezzini, sintetizza tutti i ‘caratteri’ di Lorenzo Peretti, “singolare vegliardo”. La discendenza, di cui Lorenzo si sente erede diretto e ultimo uomo, colui che mette la parola fine, che sradica (“Con Lorenzo Peretti jr. si conclude la parabola di quattro generazioni dei Peretti dedite all’arte”); l’indipendenza (“Era un autocritico di levatura culturale e spirituale superiore, secondo concetti filosofici autonomi”); l’anti-professionismo, il disprezzo verso i ‘professionisti dell’arte’ da parte di un pittore ‘per diletto’, dunque autenticamente libero (“Non fece mai professionalmente il pittore”); l’opera oscura (“si diletta di scienze occulte, dedicando alla pittura solo rari momenti”); l’arte come processo alchemico, cura di morte e resurrezione:

“Curiosa e vivace una sua concezione dell’arte moderna, definita come opera satanica in quanto colle proprie eccitazioni determina reazioni malsane; trattati quindi non di elevazione ma di aberrazione. Conseguentemente riteneva che l’arte in Valle fosse al termine di un ciclo il cui fondo doveva assolutamente essere toccato prima che si iniziasse un nuovo rinascimento”.

*

Alla base dell’arte occidentale: il velo, il volto, il voto. L’opera-icona nei suoi aspetti popolari – autenticamente sacri – si sviluppa nella privata produzione degli ex-voto, nell’epica dei ‘santini’, nelle opere ‘a protezione’ e ‘per grazia ricevuta’. In senso colto: l’opera-orazione, l’opera-preghiera di Lorenzo Peretti.

Lorenzo Peretti Junior, Lavandaie alla lanca di Toceno (1894 circa), olio su cartone

*

Un solo destinatario per gli ex voto: Dio. Un solo destinatario per le opere di Peretti: l’artista che verrà.

*

I quadri di Lorenzo Peretti operano per incantamento.

Solo i rari artisti lasciano lo studio pieno di opere, ricco di primizie – non importa il giudizio del mondo ma quello degli amici; si dedicano ai posteri, agli sconosciuti –, perché tu (soltanto tu) possa abitare quello spazio e riposare sulla sedia che per te hanno scolpito. Allora, il leone divora il sole, Iddio prende vita dal corpo di una donna e la finestra sembra una fenice. Ogni vita ha il proprio equinozio. Tabernacolo va chiamata tale grazia.

*Dal 26 maggio al 26 ottobre, presso Casa De Rodis in Domodossola, è in atto la mostra “Lorenzo Peretti (1871-1953). Natura e mistero”, a cura di Elena Pontiggia

*Per altre nozioni intorno a Lorenzo Peretti Junior si guardi qui

In copertina: Lorenzo Peretti Junior, Autoritratto, olio su tela

Gruppo MAGOG