Una “preghiera” nonsense nata e apparentemente terminata nello stesso mese, come una beffa, o una perfezione assoluta. È uscito da buco del Bianconiglio il 27 gennaio del 1832 e lì ci è tornato, ma il 14 gennaio del 1898. In mezzo, quindi durante la vita che si è ritrovato a vivere, ha fatto di tutto: il matematico (suo il geniale aforisma: “Le varie branche dell’Aritmetica: Ambizione, Distrazione, Mostrificazione, Derisione”), lo scrittore, il fotografo.
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Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson, è per tutti il papà di “Alice”. Nato a Daresbury, un paesino del Cheshire (da qui il celebre micione: in italiano gira come Stregatto, in inglese Cheshire Cat), è diventato “L. C.” a Oxford, con ogni probabilità.
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Lo scambio felpato come le zampette che sembrano fare il pane sulla tua pancia e che riscalda chi capisce che la vita è, in fondo, solo il matrimonio tra il cuore e la mente. La bimba chiede al gatto: “Potresti dirmi, per favore, quale strada devo prendere per uscire da qui?”. “Tutto dipende da dove vuoi andare” gli risponde. In fondo, è davvero così.
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“Questo ve l’ho detto tre volte, e perciò è vero”. Inutile starci su a pensare. Tantomeno contestualizzare un’affermazione del genere: è così e basta. L’ha messa in “The Hunting of the Snark”, che contiene un lampo di luce per le menti più acute. “Snark” è un suo neologismo, una crasi bizzarra che abbraccia le parole “shark” (squalo), “snake” (serpente), “bark” (abbaiare) e chissà che altro ancora (non sono inglese: non basta aver visitato Llandudno, il paesino del Galles del Nord dove Alice Liddell andava a fare le vacanze estive, e nemmeno aver visto tre volte Oxford, e nemmeno avere nella libreria di casa “Alice” in 40 lingue diverse). Tre volte. Il triangolo, la perfezione, il Divino, la forma geometrica non modificabile.
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Alice è un capolavoro. Assoluto. Se devi scegliere un libro da portare su un’isola deserta (rigorosamente in UK), devi portarti Alice. Anche perché ogni volta che lo leggi è sempre una prima volta. Prendi questo frammento. Alice chiede al Bianconiglio: “Per quanto tempo è per sempre?”. E lui: “A volte, solo un secondo”. Ci puoi stare su per almeno una vita e mezzo, se sei fortunato anche tre. Così la tua risposta è più vera.
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La trama è arcinota. Idem il significato che chi studia davvero gli ha voluto attribuire: il passaggio dalla giovinezza pura e lieve di Alice alla possibile fertilità (la regina di cuori pare sia questo). In mezzo troviamo lei che diventa piccina e poi, poco dopo, un’amazzone; Pincopanco e Pancopinco (devi avere qualcosa di unico in testa se ti viene da creare la metà di un doppio con molteplici denominazioni) e le loro storielle del Tricheco, del Carpentiere e delle ostrichette; il Brucaliffo che fuma il narghilé e che fa dire ad Alice questa battuta micidiale e rivelatoria: “So dirti chi fossi, quando mi son levata questa mattina, ma da allora credo di essere stata cambiata parecchie volte”.
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Meno arcinota è la straordinaria esperienza di Carroll come fotografo. E pazienza se è stato additato di presunta pedofilia: ai tempi tutto faceva fuoco, tutto era buono per una “fogheraccia” di libri, di persone, di parole. Fuoco purificatore per bruciare le proprie sporcizie nascoste. L’accusa? Le numerose foto a bambini, alcuni anche ritratti nudi. Entriamo nelle case delle famiglie italiane ed europee, andiamo a vedere gli album dei ricordi. Ci scappa un incendio di seppiato. (Io stesso sono stato fermato con la coda al vento, miniaturizzata per l’età).
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Un pioniere del “Nonsense” (anche se in Italia, in pieno Quattrocento, Burchiello scriveva parole come “Piovendo un giorno all’alba, a mezza notte” e di “Zaffini, e orinali, e uova sode”), uno scalatore della neonata fotografia. Carroll difatti la concepiva come uno strumento ideale per esprimere la sua filosofia personale, centrata sull’idea della divinità di ciò che chiamava “bellezza”: una perfezione morale ma soprattutto estetica. “Bellezza” quindi come tentativo di recuperare l’innocenza perduta dell’Eden (e quindi poco “Vittoriana”). Per il suo biografo Morton Cohen “rifiutava il principio calvinista del peccato originale, sostituendolo con il concetto opposto di divinità innata. Cercò sempre di avere un altro adulto presente quando soggetti prepubescenti posavano per lui”. In oltre la metà dei suoi lavori fotografici ci sono ritratti di bambine. La maggior parte delle “soggette” poi scriveva il proprio nome in un angolo della stampa. Bambine o ragazzine viste non come beneducate damigelle della buona società inglese ma piuttosto come fate, libere creature dei boschi. Pedofilia? Ne siamo sicuri?
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Colpevolmente lasciato nel dimenticatoio per circa 40 anni – dal 1920 al 1960 il “modernismo” lo ha messo al bando –, oggi il papà di Alice è stato pienamente riabilitato anche come fotografo.
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“Di solito Alice si dava degli ottimi consigli, però poi li seguiva raramente”. Quindi non leggete Alice nel paese delle meraviglie e non cercate le foto di Lewis Carroll. Non avrebbe senso. Almeno oggi.
Alessandro Carli