Frequentava, negli stessi anni, Henry Corbin, il grande islamista francese – di cui si dichiarava cattivo discepolo – e William Burroughs, il dissolutore del linguaggio: condividevano un piccolo appartamento a New York, alla fine degli anni Settanta. Negli stessi anni, Peter Lamborn Wilson – strana, faunesca, infida figura dall’infinita barba e dagli “occhi di bragia” – teorizzava una poetica della sovversione, usava la lirica per sobillare le menti.
Nato a Baltimora nel 1945, poco più che ventenne era stato in India, come tutti; a trent’anni si trasferì a Teheran, scoprendo la via dell’esoterismo islamico; a quaranta teorizzò le “Temporary Autonomous Zone” (TAZ), una tattica per eludere le più carogne forme di controllo statale (si legga: T.A.Z. La Zona Autonoma Temporanea, Shake Edizioni, 1993; 2020).
Si faceva chiamare Hakim Bey, tentò una fusione tra anarchia e sufismo, Caos e Eros erano le sue divinità; è morto nel 2022, in maggio, a Saugerties, un minuscolo paese nello stato di New York. Il lavoro di Peter Lamborn Wilson affascinò Elémire Zolla: per “Conoscenza religiosa” il poeta estremista scrisse alcuni articoli, fino al 1983; uno di questi è dedicato al “Vecchio della Montagna”, la guida degli assassini, gli Ḥashīshiyyīn. Le sue poesie – prima che fossero raccolte in libri dai titoli suggestivi e vaghi: Divan, Angels, Vanished Signs – piacquero a Cristina Campo; ne tradusse un mannello proprio su “Conoscenza religiosa”, nel 1977. Lo fece a suo modo: conferendo all’irruenza apocalittica di PLW una sorta di atavica eleganza.
Ad ogni modo. Peter Lamborn Wilson ha tradotto nel mondo anglofono alcuni tra i più importanti poeti islamici di ogni tempo. Lo guidava, soprattutto, l’idea del poeta-guru, della poesia come sapienza originaria, come formula che mette in scacco il linguaggio ordinario – quello della legge, dell’ordine costituito – per ‘indiarsi’. Infaticabile colono del dire inimitabile, ha tradotto – spesso, con edizioni create lì per lì, da lui, in direzione contraria all’impero editoriale dominante – Iraqi (Divine Flashes, 1982) e Abu Nuwas (O Tribe That Loves Boys, 1993), ha curato una straordinaria “antologia della poesia persiana Sufi”, The Drunken Universe (1988).
Il primo, miliare lavoro di traduzione, comunque, è nell’opera di Naser-e Khosrow, poeta filosofo persiano nato un millennio fa, in Afghanistan. Il libro – 40 Poems from the Divan, 1977 –, da cui abbiamo estratto alcuni testi, è fondamentale per chi confida nel fondamentalismo lirico, nell’arte poetica a infiammare la ribellione dell’anima. Nella poesia, cioè, non come elargizione di pie metafore e buoni sentimenti, ma come matrice, come segnavia e tratta del vivere. PLW teorizza, intanto, una via traduttiva anti-letteraria (quella, nel mondo anglofono, rappresentata dalla traduzione delle Rubaiyat of Omar Khayyam di Edward FitzGerald), scevra dalla reinvenzioni di Ezra Pound (testo-faro: Cathay). Il lavoro, compiuto insieme a uno filosofo iraniano, Gholamreza Aavani, rompe lo schema arcaico della poesia persiana (PLW traduce in versi liberi), “per non sacrificare il significato in favore della scansione ritmica o della rima”; ha l’obbiettivo, violento, di rendere Khosrow “un nostro contemporaneo”, il suo dire “attuabile oggi”.
E cosa dice Khosrow? Impone, attraverso l’audacia poetica, una morale – un’ascesi. Figura chiave dell’ismailismo, Khosrow è stato poeta viandante, autore, per lo più, di opere filosofiche e matematiche. Amministratore e teologo sotto i Selgiuchidi, mutò vita, quarantenne, sedotto – si dice, in sogno – dall’ismailismo. Nel 1046, insieme al fratello e al suo attendente indiano, cominciò un viaggio durato sette anni che lo portò dall’Iran all’Armenia a plaghe ignote dell’Asia Minore, fino all’Arabia, alla Mecca e poi al Cairo. Credeva nell’enigma, nella vita nascosta, nel significato esoterico del Corano – che ogni minuto essere del creato abbia una controparte, in ombra, il lato oscuro, autenticamente divino. In pochi capirono le sue arditezze: con scarni seguaci si ritirò nelle montagne del Badakhshan, tra Afghanistan e Tagikistan, dove morì, pare, intorno al 1072. Nei decenni della vita oscura, Khosrow scrisse il suo Divan, ciclo di poesie didattiche che alimentarono la leggenda del “poeta mago, scaturito da un racconto delle Mille e una notte… Nella sua pseudo biografia, redatta approssimativamente nel XV secolo, Khosrow ha l’aura dello stregone, impegnato in battaglie occulte con il re degli Assassini, maestro dei jinn, eremita e astrologo” (così Peter Lamborn Wilson nella lunga introduzione al canzoniere, Nasir-i Khusraw and His Diwan). In Italia, Khosrow ha avuto un antico esegeta in Pio Filippani Ronconi che nel 1959, per l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, ha tradotto Il Libro dello scioglimento e della liberazione di Khosrow, cioè “trenta domande ed altrettante risposte che si immaginano intercorse fra l’autore ed un discepolo, riguardanti questioni religiose, filosofiche ed attinenti alle scienze naturali”. Le poesie restano inattingibili; quella di PLW è la prima traduzione del Divan in una lingua europea.
Nell’opera di traduzione alchemica – la ‘modernità’ letteraria occidentale passa sempre attraverso un ‘altrove’: sia l’Islam, la Cina antica, l’arcano Giappone, sia la gnosi, la fiaba, l’apocrifo, il neoplatonismo ricreato, la Grecia reinventata –, a Peter Lamborn Wilson, traduttore bombarolo, interessa il senso del verbo di cui è intrisa la poesia senza pose di Khosrow. Cioè: l’ermetica prima dell’ermeneutica.
“La Parola, il Logos, questo è il principio di Nasir, suo compito, la chiave. Un uomo è conosciuto, ci dice, dal suo dire. In un tempo in cui il linguaggio è attaccato come facciata che cela un qualche abisso esistenziale, ridotto a semiotica e a linguistica, in un mondo in cui la parola è temuta e derisa come inautentica quando non opprimente, il lettore deve fare uno sforzo non immune da rischi per collocarsi in un cosmo dove il Logos è Fonte, dove il Nome e la cosa nominata sono, a livello di corrispondenze, identici… Nell’insistere sulla centralità della Parola, Nasir partecipa pienamente all’aspetto primordiale della Tradizione, dove rito e incantesimo combaciano con la poesia e la morale acquista un sapore trascendente”.
Poesia-teurgia. Parola che condanna – l’anatema del profeta scagliato sul ventre del re – e parola che sana. Parola che redime. In uno dei suoi poemi, Khosrow insegna che la parola poetica libera da ogni dominio – perfino dal dogma divino. Parola che s’inoltra nell’aldilà di Dio, fino a incenerirsi – da quelle ceneri consonantiche, un altro mondo verrà.
“Con i suoi versi, Nasir plasma la realtà in un modo che non possiamo che definire magico. Un buon poeta crea un mondo; un grande poeta impone quel mondo, o meglio: lo sovrappone al regno della realtà ordinaria”.
Creare un mondo – balena l’eresiarca nelle retrovie. Non è detto che oggi ci siano cattivi poeti – non profetizzano, il loro mondo non s’innalza, non è aquila né aquilone. I lettori, in bambola, non credono al vero, tanto meno alla sua sgargiante ombra.
***
Angelica presenza
Tu, il cui nome nessuno ha formato che prova di mente non può afferrare.
Atto ripugnante, descriverti: sei al di là del genere e della specie
né soggetto né attributo né Sostanza né Accidente.
Il moralista non può dettarti ordini il censore non può importi cosa dire.
La danza del Sole attraverso i cieli dipende da te, tu dai vita alle ombre
animali, tu mescoli come un pittore le sfere vorticose, confondi il cosmo
con i colori accattivanti delle stelle. Sussurrare il tuo nome nel Nido
della Gloria decapita le ali di Gabriele – nel Trono Santo la tua umiltà è pari
ai gioielli che adornano la sposa celeste. Eri prima che il mondo fosse creato
la pre-eternità testimonia la tua prestanza. Luminoso Astro, ragione di tutti gli amanti.
L’Universo è un oceano in tempesta il nostro pianeta è una barca
la Natura è la sua ancora; onde gli alberi, belve le pietre, ma tu
sei la perla, la solitaria fiera la sola dotata di parola. Qual è la fine?
Ciò che fu all’inizio. Qual è la meta? Anelare al più grande.
*
Parole di sapienza
Sapienza, vidi il mio corpo, osservai la mia anima: ho pianto sull’ombra di quella coppia di miserabili.
La tua anima è straniera al mondo mi disse: custodiscila. Il tuo corpo è a casa e può badare a se stesso.
Aiuta lo straniero: questa è la radice della nobiltà, il fiore della virtù. Soltanto un idolatra decora un dio mortale: ignora il tuo corpo.
In altri termini: il corpo è accidentale, l’anima essenziale; purifica l’anima con l’olio della religione, rivestila con la stola della sapienza.
La Ragione, nel vagabondaggio della fede, è più accurata dello Zodiaco.
Se Dio ti ha creato per essere re perché ti abbassi come uno schiavo?
Al giogo della creatura, tutte le cose sono soggette a corruzione: anela all’eterno – senza disprezzare questo mondo, perché ti è madre.
*
Divoratori di polvere
Non spende il conio dei giorni in cibo e sonno chi conosce i segreti della Ruota Turchese: soltanto lo stolto, disgraziato dall’ignavia si affida al ventre del drago ubriaco.
Sedotto dall’ozio e dall’azione del cibo non sente che il mondo lo corrompe; divoratore di Polvere, la Polvere ti divorerà.
Veleno è il suolo, il nemico è nel tuo stomaco: l’anima lo irrita, non gli importa con cosa lo cibi, ma se dimentichi di versargli la sua razione di Polvere in gola urlerà e farà razzia delle tue viscere.
Il saggio semina chicchi di gratitudine sa che la felicità ha per contraccolpo il dolore e non si flette; sa che un favore va restituito e che l’aceto non può che partorire aceto. Pensa e medita il Bene chiedi consiglio ai saggi, che premono il cuore con la mano dell’intelletto.
Sei disfatto, amico, perché credi che la fede porti soltanto rinuncia? Leggi il poema della Prova: così luciderai la tua anima, forgiata per sopportare ogni dolore.
*
Mutamento
Sono cambiato? O è il mondo a cambiare? Il mondo è lo stesso di sempre.
Un tempo rincorrevo il mondo ma ora mi ritiro. Forse siamo cambiati entrambi, io sono simile al mondo, il mondo è simile a me.
Perché gli uomini mi temono? A nessuno ho sottratto la coppa della fama; a nessuno ho strappato il pane dalle mani – non ho ingrigito le ambizioni dei ragazzi.
Perché l’Emiro mi insulta? Non bramo sangue né cadaveri. Perché gli uomini si sono tramutati in iene?
Mi rifiuto di scrivere elogi per i potenti: il Creatore del cuore e dell’anima ha conficcato il Libro della Libertà in un luogo remoto del mio petto; ho spezzato le catene della schiavitù e non abbasso più la testa.
O cercatore del mondo, non occuparti di me: con la stessa furia con cui ti precipiti tra gli uomini io li fuggo.
Il bacio del mondo inumidisca le vostre labbra: ha seccato la mia bocca con il terrore.
Di giorno, mi è fratello il pentimento di notte, mi confido con il Corano.
Vieni da me, mangia il pane della Legge ammorbidito nel latte della mia eloquenza. Diventa una spada e io ti affilerò come una pietra.
L’oratoria è la mia freccia, la penna la corda le dita l’arco. Con mille rapaci dardi ucciderò il mio nemico che giunge da Oriente.