Houellebecq o della fase senile della scrittura
Libri
Luca Picotti
Guido Piovene, non ci piove, è tra i grandi narratori del secolo: alcuni suoi romanzi, “Lettere di una novizia” (1941), “Le Furie” (1963), “Le stelle fredde” (1970), scardinano il canone portando la letteratura italiana al di là dell’ovvio, oltre la palude del risaputo. Ridotto, per lo più, al pur bellissimo “Viaggio in Italia”, costantemente ristampato, Piovene è stato un giornalista d’eccezione, uno della stoffa dei Buzzati, per intenderci. Iniziato al giornalismo presso “Il Convegno” e “L’Ambrosiano”, atterrò al “Corriere della Sera” come corrispondente da Londra e da Parigi; fu, tra le molte cose, presidente di giuria alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, nel fatale 1968, edizione che assegnò il Premio speciale a “Nostra Signora dei Turchi” di Carmelo Bene e la Coppa Volpi a Laura Betti, per “Teorema” di Pasolini. Nel giugno del 1974, al fianco di Indro Montanelli, Piovene fu tra fondatori de “Il Giornale”. Ideò la ‘Terza’, la pagina della cultura, con un pezzo, “L’incensatura”, che è un vero e proprio programma culturale. Lo ripubblico su segnalazione di Alessandro Gnocchi, perché, come dire, ciò che è scritto 45 anni fa vale all’eccesso oggi. Piovene, con penna leggiadra e caustica, sbugiarda i miti della cultura fatta tramite i giornali, la critica letteraria ridotta e caramellesco (e carnevalesco) elogio, con fiotto di leccate, a velina aurea per adempiere la fama dell’amico proprio o del padrone, consapevoli che si può essere nemici di tutti ma non del ‘sistema culturale’, una specie di macchina del consenso – che dà nutrimento alla politica – che macella i non conformisti. Un dettaglio continua a commuovermi: nel luglio del 1954, nel mitico convegno di San Pellegrino “Romanzo e poesie di ieri e di oggi. Incontro di due generazioni”, in cui accorrono Comisso e Montale, Ungaretti e Cecchi, Guido Piovene presenta Enzo Bettiza, talentuoso narratore, eccelso giornalista; Bettiza è il curatore del ‘Meridiano’ Mondadori che in due volumi raccoglie le “Opere narrative” del sommo Piovene. Esiste il senso di paternità tra i grandi letterati, tra i grandi uomini. (d.b.)
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La critica giornalistica, che dovrebbe informare e guidare il lettore tra i libri appena pubblicati, è entrata in uno stato confusionale. Come tutto in Italia, è intelligente, ma di rado è utile e attendibile. La confusione si riflette nel lettore: quel libro è veramente tanto buono (o scadente) come il critico dice? Specialmente gli elogi lo lasciano poco convinto. Il critico si sente fare, a quattr’occhi, domande che in altri tempi avrebbero provocato un duello: detto tra noi, quel libro di cui ha parlato bene vale proprio qualcosa?
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Non ci sono duelli. Il critico, molto spesso, storce la bocca, alza una spalla, cerca insomma di «salvare l’anima» con una ritrattazione privata. Vi sono anche le stroncature e possono essere ingiuste. Ma l’elogio indiscriminato al buono, al mediocre e al cattivo urta ancora di più e confonde di più i valori. Possibile che a certi piaccia davvero tutto? Si direbbe di sì: da quanti anni lodano tutti i libri che passano per le loro mani! Vi è poi l’arte della riserva, la riserva di poche righe, tanto velata che il lettore non se ne accorge, insinuata in un articolo interamente elogiativo. Il critico, ancora una volta, la mette per «salvare l’anima», cioè per dire solo a se stesso che il libro gli fa schifo. Come i bisbigli che il Ferrer manzoniano faceva arrivare al Vicario (non alla folla fuori della carrozza). Così un gran numero di libri idioti, falsi o inutili riceve le sue lettere di raccomandazione. Basandosi sui giornali la cultura italiana sembra vivace, ricca; sono mascherati i suoi vuoti, il suo declino, il suo sfinimento.
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Lasciamo da parte la stampa di partito o impegnata nella lotta ideologica. Parliamo della grande stampa d’informazione, con cui tutti hanno a che fare. Per quanto possa esibire veleni, l’impressione d’insieme, che resta nei lettori più in là della lettera, è che sia un panegirico a molte voci. E che anche le critiche contrarie nascano dipendenti da quelle laudative. E che esista una mappa d’autori e di gruppi d’autori, fluida, mal definibile, di cui si dice solo bene. Lo spettacolo sembra quello di una perpetua incensatura, come nelle funzioni sacre, dove si vede sempre un prete che gira con turibolo e incensa gli altri a turno. Un tempo ogni grande giornale, per ogni ramo importante della cultura, la letteratura inventiva, la saggistica, le arti, il teatro di prosa, la musica, più tardi il cinema, aveva un critico autorevole e insindacabile, su cui nemmeno il direttore osava intervenire. La sua era una cattedra, di cui difendeva il prestigio, sostenuto dalla città intera. Oggi, in alcuni rami, al posto di quel critico ve n’è uno sciame, la cattedra è svanita, la città ha altro per la testa, nessuno vuole compromettersi in queste condizioni. Gli interessi premono. Le case editrici e i giornali sono ormai diventati vasi intercomunicanti. Il critico di giornale è autore di rubriche fisse in riviste settimanali delle case editrici, direttore di collezioni, lettore, consulente. Tutti ammirano, ne sono certo, la raffinatezza raggiunta dai «risvolti» pubblicitari che accompagnano i libri, vere e sottili critiche elogiative. L’autore è qualche volta lo stesso del libro, ma più frequentemente un critico. Nessuna meraviglia se gli articoli di giornale assomigliano poi ai risvolti. Ma non vi è solamente questo. La violenza oggi è dappertutto e la cultura ne è impregnata. Si dice che tra gli uomini primitivi, che uscivano male armati tra animali più forti, la paura fosse un segno d’intelligenza superiore. Così anche tra noi? Esiste un terrorismo culturale, e funziona. Non sono pochi i Garibaldi dei quali dire male è disonorante, specialmente nella sezione snobistica della borghesia, la più stupida della terra e la più codarda. Chi ha il coraggio di prendere una posizione critica di fronte alle avanguardie, ammettendone (con larghezza) quello che è interessante e nuovo, ma rifiutando le idiozie pure, semplici ed evidenti? Chi distingue più l’erotismo, anche sboccato, che ha la sua ragione espressiva, da quello già stanco di tanti, noioso pedaggio pagato a un rito obbligatorio? La critica dovrebbe scoraggiarlo, non la censura! Chi si oppone agli arbitri di certi registi? Bisogna accettare (o ammirare) tutto quello che avviene.
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Si ha così spesso un rifiuto di giudicare, mascherato di elogio, un elogio con fondo gelido, pieno d’indifferenza, spavento, magari disprezzo. Niente di strano. I moralisti dicono che il mondo d’oggi, per inerzia affettiva, assenza di passioni morali calde, giustifica ogni comportamento, compreso quello criminale. Il debole mondo dei libri può avere reazioni più forti, più energia nel negare, più passione morale e capacità d’amore che gli altri settori nei quali la posta in gioco è ben più grave? E perché l’Italia dovrebbe avere una critica giornalistica migliore, per esempio, della magistratura con cui ha in comune l’obbligo dei giudizi? O non uniformarsi in parte a quel sottogoverno che costituisce la norma di ogni attività del
Paese? Quella a cui diamo inizio è soltanto una terza pagina, che non vogliamo caricare di propositi troppo grevi. Noi amiamo un mondo di giudizi, chiari nel sì come nel no: è la premessa a questa e ad altre pagine affini, dove si parlerà di arti, di musica, di teatro, di cinema, di scienze. Non vi sarà una pagina letteraria, ghetto d’oro che tutti saltano. Vorremmo lodare, tra i libri, solo ciò che ha un valore, e ritentare l’avventura della buona fede, la più difficile in Italia. Nel Candide di Voltaire (1759) il senatore veneziano Pococurante pronuncia la celebre frase: «In tutta la nostra Italia, si scrive solo quello che non si pensa». Vi è una persistente tendenza a ricascarvi.
Guido Piovene
*In copertina: Guido Piovene (1907-1974) nel 1963, mentre firma una copia de “Le Furie”; photo Giorgio Lotti