11 Novembre 2020

“Un poeta… ma che cos’è un poeta? Del poeta non sappiamo mai abbastanza: è un fantasma, e cammina tra di noi”

Del poeta non sappiamo mai abbastanza. Tant’è che, a ben vedere, non sappiamo proprio nulla. Un fantasma cammina tra di noi, più vivo che mai. Qualcuno parla di lui come se fosse uscito da secoli antichi; altri ne stimano l’operato, paventandone però il successo. Sembra ch’egli debba mantenere quell’anonimato utile, di per sé, come al mondo intero. Non si può fare a meno di lui, ma in troppi lo temono. Forse per questo chi va alla ribalta ‒ sapendolo o non sapendolo; accettandolo oppure no ‒ è schiavo del potere: un apocrifo.

Del poeta conosciamo qualche alchemico intruglio. L’incantatore protegge le parole, come esse amano farsi corteggiare. Poco altro intuiamo. Sfugge. Indomito. Bambino. Sognatore. Di lui non conosciamo quasi mai la vera sofferenza. O ce la sbatte in faccia con nonchalance, tant’è che non ce ne accorgiamo nemmeno; altrimenti percorre vie traverse, ai più misconosciute. La sua follia è l’eleganza del vestito che porta disinvoltamente addosso. La sua leggenda avanza passo dopo passo, facendosi strada in un’incantevole milonga. Non passa giorno ch’egli voglia dire la sua. Sempre se abbia inteso vergarla su un foglio. La pagina, dunque, è la sua casa. Dimora dove instilla ciò che un attimo prima non conosceva affatto.

Chi sarà mai la sua gente? Quella che lo accompagna tutti i giorni nella fatica quotidiana del vivere. Se dovesse dire anche in questo caso la verità, probabilmente non verrebbe creduto. Pur tuttavia, egli fa esperienza di più mondi, in un mondo solo. La gente, di par suo, mai pronta per troppa verità, o lo odia, o lo ama, o gli è indifferente. A rigor di logica, sono ben pochi quelli che amano gli assoluti. E di conseguenza il destino è bell’e che segnato.

Un poeta non si nasconde mai, ricordiamocelo. Semmai si attarda, la notte, a dare il meglio di sé, chiuso in una stanza. Un poeta ama. Eccome se ama! Ha qualcosa d’animalesco, per giunta. È un visionario…

Questa notte, per una notte soltanto, in una sua misera confidenza, sarà lui a guardare i libri della piccola biblioteca. Ha temuto di perderli. Di doverli lasciare andare. Ha avuto paura di dover gettare la spugna. Accadono di certi scoramenti a volte. Anzi, ne è pieno il mondo. Ma il poeta è un combattente. È chiamato a non dover mai rinunciare al sogno. Se lo facesse per davvero, verrebbe meno alla sua essenza interiore: al patto d’amore.

Del poeta si dovrebbe ascoltare il cuore che pulsa. Che non è il suo. Bensì quello di colei che gli dà la forza di andare avanti. L’amore lo smuove come un terremoto. Cosa farebbe un’ape senza un fiore. Parimenti lui, senza degli occhi da baciare.

In ultima istanza ‒ si fa per dire ‒ egli è quel giocoliere che controlla gli arnesi del mestiere prima di entrare in scena. Ma non lo fa per buttar giù una scaletta, o uno schema bell’e buono. Tutt’al più un poeta osserva e ama i particolari (una passione per le scarpe, come andare in deliquio per le infinite facce della luna…). E li ama così tanto, tanto da non staccarne lo sguardo magari per parecchio tempo. Dai particolari poi egli ricava frammenti di poesia; istanti di battaglie; ardori sconfinati.

Un poeta è povero, ma ricco della sua gente. Un poeta fa della solitudine un mestiere. Un poeta, a dire il vero, è il frutto acerbo di un mondo antico, dimenticato, corrotto. Non gl’importa apparire. A lui lo illumina già la poesia, quella stessa e unica che nei secoli ha fondato civiltà. E noi, questo ‒ consentitemelo ‒ l’abbiamo maldestramente dimenticato.

Giorgio Anelli

*In copertina: Georgia O’Keeffe fotografata nel 1918 da Alfred Stieglitz

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