06 Novembre 2024

“Sarai distorto fino a diventare di tutto”. Elogio di Elias Canetti

Elias Canetti (1905-1994), nato in Bulgaria da una famiglia ebrea sefardita e premio Nobel per la letteratura nel 1981, è stato una delle ultime e più alte voci di quella straordinaria cultura, raffinata e decadente insieme, nata nell’Impero austroungarico, sublime canto del cigno della civiltà europea, «Le strade di Vienna sono lastricate di cultura mentre altrove sono ricoperte d’asfalto» diceva semiserio Karl Kraus, ed è l’autore di uno dei più grandi libri del Novecento, Auto da fé, il suo primo e unico romanzo, scritto tra il 1929 e il 1931 ma pubblicato nel 1935, poi praticamente scomparso e riscoperto solo molti anni più tardi. La storia è quella del professor Kien, che vive in mezzo ai suoi 250.000 volumi che occupano l’intero spazio della sua casa di Vienna: qui, sempre più isolato e rifiutando ogni rapporto con il mondo reale, si dedica alla ricerca della verità assoluta, ma in questo disperato sforzo finisce per innescare un processo che lo porterà inevitabilmente all’autodistruzione. Kien darà fuoco ai propri libri e morirà tra le fiamme del rogo. La scena finale del romanzo è di quelle che lasciano il segno:

«Libri e libri si rovesciano dagli scaffali sul pavimento. Lui li trattiene con le sue lunghe braccia. In silenzio, perché non lo sentano da fuori, porta nell’atrio una pila dopo l’altra, e tutte insieme le accatasta contro la porta di ferro. E mentre ancora lo spaventoso fracasso gli manda in frantumi il cervello costruisce con i libri una poderosa trincea. L’atrio si riempie di volumi. Lui si aiuta con la scala… Sale fino al sesto gradino, sorveglia il fuoco e aspetta. Quando finalmente le fiamme lo raggiungono ride forte, come non ha mai riso in tutta la sua vita».

Quel fuoco che conclude il romanzo è una straordinaria allegoria dei totalitarismi e della guerra che segneranno la fine dell’egemonia politica e culturale dell’Europa e forse anche la premonizione dell’avvento di una civiltà senza libri, ma il romanzo è soprattutto un viaggio negli abissi della solitudine; una grande parabola del delirio che ha sconvolto la ragione dell’uomo contemporaneo, che incapace di vivere si riduce a essere solo una “testa senza mondo”, titolo dato da Canetti alla prima parte del libro. Anche le altre due hanno titoli più che significativi: “Mondo senza testa” e “Il mondo nella testa”. 

Siamo di fronte alla descrizione di come l’intelligenza, per paura della vita, si ribelli contro di essa, riducendo l’esistenza intera a diventare un gigantesco meccanismo di difesa e nello stesso tempo una disperata fuga dai pericoli provenienti dal mondo reale. In pratica la vita si riduce a essere una corazza che finisce per soffocare qualsiasi cosa e che, come tappa finale, non può avere altro che l’autodistruzione. 

Non si può non pensare a La fortezza vuota, quel meraviglioso libronel quale lo psicoanalista austriaco Bruno Bettelheim va alla radice della schizofrenia e in modo particolare di quella sua forma grave e precoce che è l’autismo infantile.  

Il protagonista del romanzo, il professor Kien, è il ritratto perfetto delle manie e delle fobie con le quali irrigidiamo la nostra vita cercando così di fronteggiare le paure che ci circondano. Significativo il titolo originale tedesco, Die Blendung, che significa “abbagliamento”, quello che acceca l’uomo investito e travolto dal mondo, convinto che per sopravvivere l’unica soluzione sia negarsi alla vita vera.

Autentico figlio della Mitteleuropa, Elias Canetti è cresciuto e si è formato tra Vienna, Zurigo, Francoforte, Berlino, per poi trasferirsi nel 1939 a Londra dove prenderà la cittadinanza inglese e vivrà fino al 1971 e infine tornare a stabilirsi fino alla morte nel 1994 a Zurigo, dove è stato sepolto – accanto a James Joyce – nel cimitero di Fluntern. Chi ha avuto occasione di conoscerlo di persona lo ha descritto come un signore estremamente gentile e cortese, pieno di riguardi e attenzioni per tutti, padre affettuosissimo di una figlia nata dal suo secondo matrimonio quando lui era già in età avanzata. Eppure l’impressione era che dietro questa maschera rassicurante si nascondesse un’altra identità inafferrabile, un altro Elias Canetti, quello che si era affacciato sull’abisso e aveva indagato con sguardo implacabile l’uomo di oggi, incapace di comunicare con gli altri e concentrato solo nell’ascolto di se stesso.

Anche se hanno avuto vite ed esperienze tanto diverse, ho sempre trovato molte similitudini tra Canetti e Robert Walser; tutti e due hanno osato guardare l’inguardabile e poi, atterriti, se ne sono ritratti: a quel punto Walser si è rifugiato nel silenzio, Canetti invece si è messo a parlare di altro. Obiettivo comune a entrambi: nascondersi e non svelarsi. Nemico comune per entrambi: chiunque cercasse di guardare oltre la maschera dietro alla quale si proteggevano. Non credo sia del tutto casuale il fatto che gli appunti originali di Canetti, scritti a matita con il sistema stenografico, risultino di assai difficile lettura proprio come quelli di Walser che anche lui scriveva a matita con una calligrafia quasi impossibile da decifrare. Forse un ultimo tentativo di nascondersi agli occhi del mondo. Alcune riflessioni trovate tra gli appunti di Canetti la dicono lunga a questo proposito:

«Non sfuggi a nessuna interpretazione. Sarai distorto fino a diventare di tutto. Forse sei stato al mondo solo per farti distorcere».

Auto da fé è un libro non facile, aspro, spigoloso, che per certi versi prende il lettore allo stomaco, potremmo anche definirlo la versione antipatica de Il segreto dell’Anonimo Triestino, ma chi riesce a superare il brusco impatto può scoprire che proprio la rappresentazione di un mondo folle, prosciugato di ogni desiderio, totalmente privo di amore senza possibilità di salvezza e redenzione, per contrasto fa sentire ancora più forte l’esigenza di una vita come dovrebbe essere, la necessità dell’amore e alla fine il romanzo diventa uno spietato atto di accusa contro l’istinto di morte.

La tragica fine di Kien si trasforma così in un monito che ci spinge a rispondere all’angoscia, alla paura e alla morte con la fedeltà alla vita, a ogni vita, perché, come ha scritto Canetti, ognuna è il centro del mondo.

Silvano Calzini

Gruppo MAGOG