
“La poesia è un miracolo – e io mi annoio presto”. Charles Simic parla
Poesia
Chard deNiord
Leggere i versi di Emily Dickinson con i Saggi di Emerson accanto può essere un’esperienza di identificazione. D’altronde Emerson è una di quelle ombre con cui la letteratura americana deve di continuo confrontarsi, dai vicini ‘trascendentalisti’ a Whitman, dalla Dickinson – appunto – a Eliot e Pound.
Emily legge la poesia e i saggi di Emerson molto presto. E molto presto riconosce in lui un maestro: un autore d’ascendenza quasi miltoniana, che asseconda un temperamento già spontaneamente portato alla solitudine: “Nulla in fondo è sacro se non l’integrità della propria mente”, “Nessuna legge può essere sacra per me, se non quella della mia natura” (La fiducia in sé).
Identificazione o riconoscimento, qui Man is his own star, “L’uomo è la propria stella” (citazione in incipit del saggio che chiude anche l’Honest Man’s Fortune, La fortuna dell’uomo onesto dei cinquecenteschi Beaumont e Fletcher):
Credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per voi, nell’intimità del vostro cuore, (…) questo è il genio. Esprimete la vostra convinzione latente ed essa diventerà il senso universale.
La ricorrenza della prima persona singolare, l’uso quasi costante della voce che afferma “Io” o l’“intimità del cuore” è – anche a prima lettura – evidente caratteristica dickinsoniana: 160 liriche iniziano con “I” (quasi un decimo della sua produzione). Un’autobiografia che racconta spesso però l’immaginato più che il vissuto, tensione di desiderio più che sentimenti o fatti concreti: “Quando mi pongo come protagonista dei miei versi, non intendo parlare di me, ma di una persona fittizia” scrive lei all’amico colonnello Higginson.
Emily in sostanza “adatta” di continuo la propria esperienza in meravigliosa “invenzione” (l’etimologia di “invenire” è “ri/trovare”), da cui la sintassi ri-creata, la punteggiatura casuale o deliberata, la stessa concezione esplosiva della poesia “Polvere da sparo in un Cassetto (…) Tuono appena assopito” (al giudice Lord, ca. 1883).
La poesia si fa allora magica riappropriazione dell’universo, mise en abyme dell’“anima universale” emersoniana. Con potere violento di trasformazione del reale, è “divina insania” (593) che sgretola ogni punto di riferimento condiviso: “esaltazione” e “regale ebbrezza” (383), ascolto delle cose domestiche e naturali, è anche “lettera al mondo” consegnata da “mani invisibili” (441).
Sentiamo Emerson: “la nostra vita è incastonata nella bellezza” (Leggi spirituali), “al poeta (…) tutte le cose sono amiche e sacre” perché “il vero poema è la mente del poeta” (Storia), dunque “ciò che il vostro cuore pensa sia grande, è grande. L’enfasi dell’anima è sempre giusta” (Leggi spirituali).
Abbraccio di Invisibile e quotidiano (“l’Improbabile è una dimora così radiosa”, ca. 1880), l’atto poetico di Emily si apre in canto che “frastorna” l’universo (1600): il tramonto fuori dalle finestre della Homestead, la casa dei Dickinson, ha la forza visionaria di una “rivelazione d’ambra” (552) che “passa in rivista le sue schiere di zaffiro” e poi “lascia il suo rosso addio” (666).
Convinto che l’“ambra della memoria” (Amore) riporti in vita “il senso universale”, Emerson ha per lei una dovizia di immagini capitali. Del tramonto scrive: “Somiglia a quel gioco di bambini che corrono con le pompe antincendio per spegnere l’aurora vermiglia che splende fino alle stelle” (Compensazione). Emily incalza con l’immagine funambolica del tramonto che volteggia contro l’orizzonte:
Con oro ardente, spento nella porpora,
Balzando al cielo, simile ad un leopardo…
… tocca il tetto e tinteggia il granaio
… volgendosi ai prati –
E sparisce l’acrobata del giorno! (228)
Esito di un’audace diversità, la “sincope con gli altri” (25 dicembre 1831), la “differenza data gli dei” (454) è emblema d’artista, e pertanto la poesia è “abbaglio dell’anima” (393) in “vita immortale” (549). In sostanza, eretica insegna dell’eterno.
Emerson vedeva le ore “regolate dai secoli e i secoli spiegati dalle ore. Ogni individuo è “incarnazione della mente universale” perché, conclude, “io credo nell’eternità” (Storia). Isolata, ferita dalla morte, la Dickinson comunica da oracolo sospeso contro l’orizzonte dell’Eterno:
Le sole Notizie che ricevo
Sono, ogni giorno, i Bollettini
Dall’immortalità. (a Higginson, giugno 1864)
Il “sigillo regale” (528) della poesia unisce genio, letture, incontri. Nel 1862 Emily inizia lo strano rapporto con il colonnello-scrittore Higginson, a cui per primo ha chiesto un “giudizio” sulla sua poesia: “Mr Higginson … Può dirmi se la mia Poesia è viva?” (15 aprile 1862).
Il Colonnello è tra i “Secret Six”, il Comitato dei sei cospiratori che finanzia e aiuta John Brown, quindi con Emerson e Thoreau si batte coraggiosamente per la salvezza dell’eroe imprigionato. Guerriero e poeta, sull’Atlantic Monthly pubblica delicate descrizioni di uccelli e fiori, albe e tramonti, elogiate da Thoreau e ben note a Emily. En passant, la celebre risposta in cui lui le dice di trovare il suo “passo” “spasmodico”, e lei e la sua poesia libere in modo smodato, “sfrenato”, fa riferimento non tanto o solo alla sua prosodia, quanto piuttosto al gruppo poetico “Gli sfrenati”.
Per il colonnello il tono delle risposte di Emily è sibillino: “Se la fama mi spettasse, non riuscirei a sfuggirle – in caso contrario il giorno più lungo mi sorpasserebbe mentre ne vado a caccia – e l’approvazione del mio cane mi abbandonerebbe – dunque – preferisco la Condizione Scalza”. Questi sono enigmi “Il Marinaio non riesce a vedere il Nord – ma sa che l’Ago può farlo” (7 giugno 1862). Ancora: “Forse lei sorride di me. Ma neppure questo potrebbe fermarmi. Mio compito è la circonferenza” (luglio 1862).
In effetti, Emily sta utilizzando concetti e immagini di vaga derivazione emersoniana. Higginson, che ha letto i Saggi, non comprende del tutto – ha la mente pratica dell’azione esatta – ma intuisce il fuoco dietro l’enigma. Interroga Emily, a vuoto.
E mentre lei elude con sovrana incoerenza le domande chiare e precise da esaminatore, è con Higginson che decide d’“inventare” il proprio personaggio di poeta: dama bianca e fantasma, oracolo della poesia rinchiusa nella Homestead paterna. Sostiene il ruolo anche nelle sue due brevi visite del colonnello ad Amherst nel 1870 e1873: sarò “a casa e lieta” (16 agosto 1870). Si presenta vestita di bianco, gigli tra le mani.
Dalla morte del suo cane Carlo, nel gennaio 1866, Emily inaugura il vagabondaggio senza fine nel giardino. Percorre solo con lo sguardo le curve coperte di boschi delle colline intorno ad Amherst:
Penso Le piacerebbe il Castagno in cui mi sono imbattuta nella mia passeggiata. Ha colpito la mia attenzione all’improvviso – e mi è parso che i Cieli fossero in Fiore – Poi, nell’Orto c’è un rumore fatto di silenzio – (…) Quando da bambina passavo molto tempo nei Boschi, mi dicevano che il Serpente mi avrebbe morso, che avrei potuto raccogliere un fiore velenoso, o che gli Spiriti Maligni mi avrebbero rapita, ma io non ho rinunciato e non ho incontrato altro che Angeli ancora più timidi davanti a me, di quanto lo fossi io con loro, per questo non ho la sicurezza nella menzogna che molti invece praticano (a Higginson, agosto 1862).
Il suo orizzonte fisico si restringe gradualmente alla casa paterna, al perimetro del giardino, alla sua stanza al secondo piano della Homestead. Il tempo per lei è l’ombra della meridiana che le cade sull’anima. La fede nella poesia è la sola assicurazione morale: “L’onore è pegno di se stesso” (a Higginson, 15 aprile 1862). Una volta di più ricorda Emerson: “Ogni atto ricompensa se stesso” (Compensazione).
A incidere il senso dell’Eterno in lei è il clima del trascendentalismo, la sua visione cosmica del quotidiano: dunque ancora Emerson ma anche Goethe, che i trascendentalisti ammiravano. Emily può allora unire la propria “fede nell’invisibile” (13 gennaio 1854) ai “pianoforti dei boschi”, che la “straziano” (348) perché “dentro” e “fuori” sono uno: “Se credete nell’anima – le ha insegnato Emerson – non strappate la dolcezza sensuale prima che maturi…” (Prudenza)
Quando (siamo a inizio 1884) Emily va incontro a un peggioramento preoccupante agli occhi, una forma di fotofobia che la tormenta da anni, prima di consegnarsi alle cure mediche ricopia e lega in fascicoli molti versi. Teme di perdere la vista, ed è ben consapevole dell’“esplosivo” che racchiudono:
I Poeti accendono una Lampada –
E poi – scompaiono –
Ma le scintille che hanno ravvivato –
Se vivida è la Luce
Durano come i Soli –
Ogni Epoca una Lente
Che dissemina la loro
Circonferenza – (883)
Cerchio, circonferenza, circolarità: la simbologia ricorre nel saggio Amore, simbolo dell’universo, del cuore, della perfezione:
Nel progredire dall’interno verso l’esterno, l’anima allarga sempre i suoi circoli, come un sasso gettato nello stagno, o la luce che procede da un’orbita. I raggi dell’anima risplendono dapprima sugli oggetti più vicini (…), poi sulla storia.
Anima, cerchio, universo, quasi sinonimi, per Emerson riportano tutti all’idea di perfezione: “L’universo è l’esternarsi dell’anima”.
Con gli anni, l’Invisibile di Emily diventa sempre più “intimità con il mistero”: gravita nell’al di là ma testimonia come “nei nostri momenti supremi siamo solo gli emblemi tremanti” di quanto avviene oltre ciò che siamo: “Ognuno di noi offre o riceve il paradiso sotto forma corporea, perché ognuno di noi conosce il mestiere di vivere” (alle cugine Norcross, aprile 1873). L’espressione, in Pavese, sarà più che un’eco.
Le “melodie del poeta ascendono e volano e penetrano nelle profondità del tempo infinito” scrive Emerson ne Il poeta. Melodie di lontananza, esperienze di assoluto davanti a cui ogni misura cade sono lo stato che rende possibile l’ecstasy dickinsoniana:
C’è una certa obliquità di luce
Nei pomeriggi d’Inverno –
Che opprime, come melodie
In un’austera Cattedrale – (258)
Il “paesaggio sta in ascolto” per l’“imperiale afflizione” discesa dall’aria, a metà tra felicità e strazio. Nella serie di opposizioni “Luce-opprime, Ferita-celeste, Aria-Disperazione, Melodie-Afflizione” regna la difference interiore, scarto o discontinuità di una stupenda intuizione – fatta poi propria dalla neurologia: il ricordo del presente, il rimpianto di quando si sta svolgendo: il mito del passato cambia il presente e il presente, ricordato, può a sua volta cambiare il passato, When Memory was a Boy, “quando la memoria era fanciulla” (652).
La lama di luce obliqua emana le ennesime tracce emersoniane:
Nei boschi in un pomeriggio d’inverno ciascuno vedrà immediatamente l’origine dei vetri colorati di cui sono adorne le cattedrali gotiche, nei colori del cielo occidentale visto attraverso i nudi rami incrociati della foresta. E nessuno amante della natura potrà entrare nei vecchi edifici di Oxford e nelle cattedrali inglesi, senza sentire che la foresta dominò la mente del costruttore, l’insaziabile desiderio di armonia.
Nello stesso saggio Storia troviamo l’antecendente del “Paesaggio che sta in ascolto” di Emily e degli Angeli nei boschi di cui scriveva a Higginson:
Una signora con cui stavo cavalcando nella foresta mi disse che sempre le pareva che i boschi “aspettassero”, come se i geni che li abitano sospendessero le loro opere finché il viandante non fosse passato oltre.
La luce obliqua, una delle molte visitazioni del cosmo, Emily la trasformerà in illocality, luogo non luogo. Lascito della dislocation di Emerson, “magnificenza della sfera perfetta” (Prudenza) oltre ogni tempo e spazio. Fino all’essenza della trasfigurazione: “Stiamo in silenzio, per poter intendere il bisbiglio degli dei” (Amicizia).
Paola Tonussi