09 Novembre 2024

“Gli rubai la spada, l’ho decapitato”. Catabasi nella sapienza del Salmo 151

Tra i salmi extracanonici più affascinanti spicca il 151. Dichiarato autografo (ἰδιόγραφος) di Davide, questo salmo è assente dal testo masoretico della Bibbia ebraica: appare in molte copie della traduzione greca dei Settanta e nella Peshitta, la Bibbia siriaca. La scoperta a Qumran di un frammento del testo, con varianti, presente nel rotolo dei salmi (11Q5; in calce all’articolo abbiamo tradotto le due versioni) ne ha rilanciato, per così dire, antichità e autorevolezza. Il Salmo 151, fuori dal canone biblico ebraico e cattolico (extra numerum), è accolto dalla Chiesa ortodossa orientale, ha particolare rilievo in quella armena e copta. Nella lettera a Marcellino “sull’interpretazione dei Salmi”, Atanasio di Alessandria ne scrive come del salmo “specialmente di Davide”, da “cantare” quando “fragile come sei, sei scelto a ricoprire una posizione di autorità tra i tuoi fratelli”. Insegnerebbe – scrive il dottore della Chiesa – a non “ritenerti superiore agli altri, a non gonfiarti di boria, ma a glorificare il Signore che ti ha eletto”.

Davide e Golia secondo Guido Reni

Il Salmo “specialmente di Davide”, “scritto di suo pugno”, come dice la Vetus latina (hic psalmus proprie scriptus David), riassume, in forma lirica, cioè sapienziale, l’episodio mitico del duello contro Golia, narrato nel capitolo 17 del Primo libro di Samuele. È un salmo insolito, nel tono e nel ritmo, privo di alture morali. Davide è presentato fin dalla prima parola del primo versetto del Salmo come un contro-eroe, l’eletto che spiazza le attese: egli è il mikròs, il minimo, il minuscolo, il piccolino (pusillus) tra i figli di suo padre. Tutti i figli di Iesse, tranne Davide, sono “belli e grandi” – alti e dai bei capelli, rimarca la versione di Qumran – eppure, “Dio non ha eletto loro”. Davide, “l’insignificante tra i figli di mio padre”, non ha destino da guerriero: è pastore del gregge di famiglia. In realtà, pur così giovane, pur tanto minimo, ha ruolo regale: presiede alla ricchezza della casa, le bestie. Per questo il padre lo nasconde al profeta: vuole per sé quel figlio che sa dialogare con le bestie, le sa orientare e proteggere. Latte della genia è quel ragazzo, prediletto virgulto.

In Davide sono chiari i simboli della profezia cristica: egli è l’ultimo, cioè il primo, e incarna la figura del “buon pastore”. Quando chiede di poter scendere in lotta contro il Filisteo, Davide dice di saper vincere il leone e l’orso (1 Sam 17, 34); dice di inseguire la belva che ha azzannato “una pecora del gregge”, di saperla afferrare per le mascelle, “l’abbattevo o la uccidevo”. Nel Salmo 154, apocrifo, Davide ringrazia il Signore perché lo ha aiutato ad uccidere “il leone e il lupo”.

Come l’agnello e il pastore, anche il leone, l’orso e il lupo – pari, se volete, alle tre bestie dantesche a principio del viaggio ultramondano – sono simboli di una ascesi alla sapienza. Davide, ci basti questo, conosce il ferino e sa sopirlo; più che con gli uomini, ha destrezza nel vivere con le bestie. Questo è il suo addestramento.

Già qui vengono alla luce gli aspetti femminei, ambigui di Davide: il ragazzino, il minuscolo “di bell’aspetto” (1 Sam 16, 18), né donna né del tutto maschio, sa piegare le fiere. Soprattutto, il suo particolare talento è connesso alla musica, alla poesia. L’ulteriore attributo di Davide – oltre alla piccolezza e al ruolo di pastore – è lo strumento musicale. “Le mie mani hanno fatto un flauto/ dalle mie dita sorge un salterio”, dice il Salmo 151. Sembra un idillio, un’Arcadia: il pastore costruisce flauti nei campi e quei suoni – libagione d’uccelli, a incantare le belve feroci? –, sappiamo, curano dal male. Invitato a corte come musico, “Davide prendeva in mano la cetra e suonava” quando Saul era roso dall’incubo, “e lo spirito cattivo si ritirava da lui” (1 Sam 16, 23).

Lo strumento musicale è un’appendice fisica del corpo di Davide, “la lieve lira/ ch’era incarnata nella sua sinistra/ come tralci di rosa nel ramo dell’ulivo”, scrive Rilke di Orfeo (in: Orfeo. Euridice. Hermes). Davide presiede la danza e la musica, che nel mondo ebraico biblico – secondo l’esempio di Miriam, la sorella di Mosè e di Aronne, che guidava un tiaso di “donne con i tamburelli e con danze”, Es 15, 20 – sono appannaggio della sapienza femminile.

Davide e Golia secondo Guido Cagnacci

Lo scontro con Golia – quando Davide volta la cetra in fionda e la dolce sonorità si fa sibilo di ruinoso dardo – ha tensione simbolica prima che letteraria. Con estenuata precisione il cronachista biblico descrive le dimensioni del filisteo – “era alto sei cubiti e un palmo”, cioè, leggo nella Tob, “più di due metri e ottanta” – e la fattura della sua divisa: elmo, “corazza a piastre”, “giavellotto di bronzo”. Di ogni oggetto è segnalato il peso, la possanza, non per magnificarne la forza, ma per dettagliare un magistero. Le armi – si leggano gli omerici – testimoniano un lignaggio, una pretesa nel potere.

Golia chiede sfidanti, ha forza nell’insulto e nella loquela – “dai suoi idoli disarciona maledizioni” dice il Salmo 151 – reca la mostruosità della Sfinge più che quella di un Ciclope. Golia non è banale emblema della forza bruta: qualcosa di raffinato – la bella corazza, la brava lingua – alligna in lui. Golia urla e pretende sfidanti “per quaranta giorni”; seminagione di verbi nel deserto. Egli sa parlare ai suoi idoli, è l’eroe dei Filistei non soltanto per supremazia fisica, ma per sapere. Tuttavia, la destrezza di Davide, il ragazzo che rifiuta la corazza – “non posso camminare, non sono abituato”, non è abbastanza maschio – lo sovrasta, lo sorprende.

Davide scende in lotta per gioco, per eccesso d’infanzia, si direbbe. Non gli interessa abbattere Golia – lui che abbatte leoni, orsi e lupi – per “estirpare l’obbrobrio d’Israele” (come dice il cronachista e l’autore del Salmo 151), ma per il premio in palio, per metrare il proprio stare al mondo: “a chi lo abbatterà, il re lo colmerà di ricchezze, gli darà in moglie sua figlia ed esenterà la casa di suo padre da ogni gravame” (1 Sam 17, 25). Davide ama bambinescamente la sfida di per sé, scevra da sacri paramenti. Suo strumento, “le lisce pietre del torrente”, riposte “nella bisaccia da pastore”: gli elementi tratti dal fiume, dalla cruda natura.

Due sapienze si contrappongono, qui: Davide, l’efebo “fulvo di capelli”, nudo d’umane armi, versato nella poesia e nel dire delle bestie, nella vita tra i pascoli, contro Golia, il ben corazzato dalle ben forgiate lance, maestro della guerra, capace nell’incutere terrore, nella parola che fende.

Davide e Golia secondo Andrea Vaccaro

Vinto il mostro, Davide, impugnando la sua spada, lo decapita. Lo spoglia delle armi, che serba per sé, e porta a Gerusalemme “la testa del Filisteo”: segno che Golia non è avversario qualsiasi, segno che Davide deve incorporare la sua sapienza, serbarla a monito. Come Perseo decapita Medusa, come Erode fa decapitare Giovanni.

Eliàb, fratello maggiore di Davide, cinge con la parola “malizia” il genio del futuro re (1 Sam 17, 28). Ancora una volta, un attributo femmineo, da chi mette tende tra sussurri e fraintesi, di chi sa ordine di re e organza di belato di bestia: così, il Seicento ci ha abituato a quella smaliziata iconografia, il Davide giovinetto, smerigliato corpo, il Davide donna, il Davide fanciulla, che ha ragione del mostro, lo calpesta, maneggia una spada più grande di lui, si riflette nel faccione di Golia, appena spiccato. In alcune raffigurazioni, un Davide Narciso sembra baciare la sua icona in Golia.

Dice il testo che Davide salmeggiava ascoltando gli alberi, dando voce alle valli. La sua storia – riassunta con dote di grazia nel Salmo 151, espulso dal salterio – reca tracce di conturbante ambiguità. Per questo affascina.

***

Salmo 151

Questo salmo è autografo di Davide, escluso dal canone, scritto quando combatté Golia

Minuscolo ero tra i miei fratelli
il più giovane nella casa di mio padre
di mio padre le pecore portavo ai pascoli

forgiarono un flauto le mie mani
le mie dita sfociavano in un salterio

e chi lo annuncerà al mio Dio
il Dio che tutto ode ed esaudisce

lui ha mandato il suo messaggero
mi ha tolto dagli armenti del padre mio
mi ha unto con l’olio in misericordia

belli, grandi i miei fratelli
ma Dio non li ha scelti

sfidai lo straniero
che dai suoi simulacri
distilla maledizioni

ma gli rubai la spada
io l’ho decapitato
io ho sradicato l’obbrobrio
dai figli d’Israele

*

Salmo 151 nella versione di Qumran

Halleluya di Dawid figlio di Yisay

Il più piccolo dei miei fratelli
il più giovane tra i figli di mio padre

Mi mise pastore del gregge
un signore tra i cuccioli

Le mani fecero uno strumento
le dita erano una lira

Resi gloria a Dio
perché mi dissi:

le montagne non gli danno testimonianza
a lui non inneggiano i colli;
gli alberi avranno cura delle mie parole
le greggi delle mie opere.

Chi dirà chi dichiarerà
chi racconterà le azioni del Potente?
Dio vede tutto

Ogni cosa ode
di ogni cosa si accorge

Egli ha mandato il suo profeta a segnarmi
Shemuel mi ha reso grande

I miei fratelli gli andarono incontro
belli nell’incedere di bell’aspetto

Alti nella postura
mirabili i capelli

Dio, il Potente, non preferì loro
ma ha preteso me che andavo dietro al gregge

E mi segnò con il sacro olio
mi rese re sulla sua gente
guida sui figli del patto

Inizio del potere di Dawid
dopo che il profeta di Dio lo ha segnato

Allora vidi il Filisteo

Gettava insulti dalle fila nemiche

*In copertina: Davide e Golia secondo Tanzio da Varallo

Gruppo MAGOG