Non posso nascondere la mia curiosità quando ho saputo di Conclave. L’idea di vedere Ralph Fiennes, Stanley Tucci e Sergio Castellitto nei panni di potenti cardinali mi intrigava. Ed essendo l’ennesimo film sul Vaticano, mi interessava capire come la regia di Edward Berger avrebbe evitato retorica e banalità, oltre che stereotipi e falsi storici.
Come sempre accade, c’è chi apprezza un film sulla base di quello che prova e chi lo critica sulla base di ciò che conosce e che ha studiato. Per quanto mi riguarda, le due bussole coesistono e da sempre mi accompagnano nell’analisi. Il mondo della Chiesa, fatto da labirinti senza uscita, mi seduce al punto da indagare – per quanto possibile – tra le pieghe della sua struttura escatologica. E tutti i film che si occupano di papi e di alti prelati, di congiure di palazzo e di intrighi tra porporati fino alle lotte teologiche, scaturiscono in me riflessioni che si ritrovano nei miei libri e nei miei articoli.
Conclave è uno di questi. Eccellente sotto tutti i punti di vista, finalmente propone un intreccio dinamico, alternativo, senza velleità. Sceneggiatura strepitosa, fotografia sublime, musica coerente. Interpretazioni magistrali, regia interessante. Insomma, merita di essere visto, e di questi tempi è un ottimo risultato. Ma andiamo per ordine.
Thomas Laurence (Ralph Fiennes) è un influente cardinale, nonché decano del collegio cardinalizio, che deve coordinare il conclave dopo la morte del pontefice. Sebbene in tutta la pellicola incarni il rigore morale e la necessità di agire all’insegna dell’onestà, vive una profonda crisi di fede tanto da rassegnare le dimissioni al Santo Padre, che le respinge prima di morire. I cardinali papabili sono l’italiano Goffredo Tedesco (Sergio Castellitto), conservatore intollerante e reazionario irriverente; lo statunitense Aldo Bellini (Stanley Tucci), progressista liberale, filopapale e timoroso; il nigeriano Joshua Adeyemi (Lucian Msamati), moderato e razionale, una potenziale novità nella storia della Chiesa; il canadese Joseph Tremblay (John Lithgow), un burocrate e burattinaio.
Tra sigarette (non passa inosservata quella rosa elettronica di Tedesco), caffè in cialda e dispositivi elettronici, la modernità invade il Vaticano. Come i porporati adattano i loro usi e costumi al nuovo che avanza, anche la natura più profonda della Chiesa deve fare i conti con il presente, tanto che ogni cardinale segue un preciso schieramento. Quando sta per essere eletto Adeyemi, viene a galla un impensabile segreto del suo passato e la sua candidatura svanisce; e come lui anche Tremblay è fuori dai giochi, dopo essere accusato da Lawrence di un reato gravissimo. Quindi non restano che Bellini e Tedesco, le due correnti agli antipodi: l’apertura e la chiusura; il plurilinguismo e il latino; la chiesa globale e la chiesa di Roma; il progresso e la tradizione; l’equilibrio e il furore.
Intanto Sua Eminenza Lawrence riscuote qualche voto, e sembra essere quella “terza via” necessaria ma da lui rigorosamente smentita. Nel mentre assume sempre più rilievo Vincent Benitez, cardinale sudamericano in pectore di Kabul, per la prima volta membro del conclave: un uomo autentico che ha visto la guerra con i suoi occhi e che reclama una Chiesa meno politicizzata e più vicina alla povera gente; ma nonostante questo, alcuni documenti riguardanti viaggi in Svizzera lo inabissano nel mistero.
Un ruolo fondamentale è ricoperto dalle suore. La figura femminile è predominante in tutto il film, perché, come dice sorella Agnes (Isabella Rossellini), le suore non hanno diritto di parola nelle dinamiche vaticane ma hanno occhi e orecchie. Non è un caso che Benitez ringrazi proprio loro per la cena preparata durante il conclave; e non è un caso che siano proprio le suore ad essere gli anelli di congiunzione per recuperare gli scheletri negli armadi dei porporati. Critica velata alla “misoginia” dei pontificati precedenti, che vedevano le donne come serve di un sistema fin troppo maschilista.
Non intendo spoilerare ulteriormente, tantomeno anticipare la conclusione del film. Aggiungo soltanto che dopo un attentato di matrice islamica, avvenuto nell’adiacente Piazza del Risorgimento, il conclave si spacca ulteriormente. Qui il discorso del cardinal Tedesco rinvigorisce la necessità di combattere l’Islam e di difendere la Chiesa di Roma, ormai piena minareti e di moschee, mentre disgustato il cardinal Bellini lo accusa di speculazione e lo invita a vergognarsi.
Alla fine, come sempre accade, un nuovo pontefice salirà al potere. Qui c’è l’amaro in bocca, l’unica nota dolente del film. Prima di aprire il conclave, il cardinale Lawrence improvvisa un discorso sulla certezza, la vera nemica del dubbio, perché solo il dubbio genera la fede. Se fossimo tutti certi dell’esistenza o dell’assenza di Dio, non ci sarebbe la fede. Il dubbio, come la diversità, la fragilità, l’errore sono ingredienti utili per la formazione di una religione. Ecco che il nuovo pontefice sarà sì l’essenza della diversità, della novità, ma a mio avviso per nulla coerente con la narrazione politica, teologica, storica e filosofica perfettamente proposta. Assume i tratti di una forzatura, pur di essere aderenti alla sensibilità e alle tendenze dei nostri giorni, e stride con un ambiente che non è ancora pronto a mescolarsi con un tempo che sfreccia ad una velocità insostenibile. Se il mondo evolve con l’accelerazione del ghepardo, la Chiesa evolve con l’accelerazione della tartaruga.
Quello che si deve apprezzare di Conclave è la maestria con cui si presenta la dimensione umana, che alla fine governa ognuno di noi, a prescindere dal ruolo che si ricopre. Del resto, ogni cardinale desidera diventare il prossimo papa, come sostiene Bellini, e in fondo al suo cuore conosce già con quale nome vorrebbe essere ricordato. Emerge tutta la sete di potere, il machiavellico scacchiere su cui le Eminenze muovono le loro pedine. Si capisce benissimo dal dialogo tra il cardinale Lawrence e un suo fedele alleato che i cardinali devono agire per un Ideale, ma che non sono uomini ideali. Da qui si respira la paura di fallire, l’orgoglio con cui si difende la propria ideologia, il vacillamento della fede. Si riconoscono l’ambizione, la tracotanza, l’ipocrisia, e quella maledetta predisposizione all’errore e al peccato che non si può fuggire. Si capisce benissimo come la Chiesa sia fatta da uomini, e come tali siano tanto complessi quanto semplici. Perché anche l’uomo più integerrimo nasconde sempre, nel profondo dei suoi desideri, un sogno di gloria e di infinito.