Charles Bukowski è uno degli scrittori più originali del Novecento, uno di quelli per cui si può dire veramente che scrittura e arte coincidono o sono pienamente coerenti con la vita. Sappiamo infatti che la sua esistenza fu come la sua scrittura: sguaiata, incalzante ed eccessiva, vissuta sempre al confine tra il coma etilico, l’incarcerazione e il riconoscimento letterario. La coincidenza di vita e scrittura – anche se ovviamente molte volte non è così perché manca il talento – nel suo caso risulta dirompente: il lettore tra una frase sconcia e l’altra si imbatte in perle di saggezza da filosofo esistenzialista, ma anche in grandi capacità di riflettere sulle relazioni umane e sul senso della letteratura. Per Bukowski scrivere significava mettere la vita sulla carta senza infingimenti stilistici, e si scagliava violentemente contro tutti i colleghi (anche se a lungo non fu riconosciuto nell’ambiente letterario) che usavano lo stile o la storia per sedurre il lettore, narrando di cose che non avevano vissuto o di cui sapevano poco, oppure scrivendo in un modo distante da come la realtà potevano accadere o essere esperita dall’individuo medio.
Un concentrato di questi aspetti, ossia della concezione dell’arte e della scrittura in particolare ma anche del modo di intendere i rapporti nel mondo letterario, nonché della concezione della vita come può essere vista e vissuta da un artista lo si può trovare nelle lettere che Bukowski scrisse tra gli anni Quaranta e Novanta del secolo scorso ad amici, scrittori, redattori di riviste, agenti letterari ed editori con cui ebbe a che fare nella sua carriera e che sono state raccolte in Sulla scrittura, libretto edito da Guanda nel 2020.
Da un punto di vista stilistico, nel libro emerge molto bene sia, come si accennava, la scrittura ritmata propria di Bukowski, il talento nell’uso del turpiloquio, la nonchalance nel gestire sintatticamente la frase non perdendo mai il senso del discorso, indipendentemente da chi sia l’interlocutore a cui si rivolge. Dall’altro, da un punto di vista più contenutistico, l’odio per l’ambiente letterario e la sua mediocrità, la consapevolezza del peso delle amicizie e dei legami con persone ‘che contano’ per giungere più facilmente alla pubblicazione, l’aleatorietà delle scelte delle riviste su cosa pubblicare, il carattere ridicolo dei reading poetici, la concezione dell’arte come di qualcosa che deve essere inestricabilmente legato alla vita e che perde senso se non lo è, come spesso avviene in molti scrittori troppo consapevoli di sé stessi (e che spesso l’autore denigra in modo esilarante).
Bukowski mostra di essere sempre conscio dei propri limiti e delle proprie virtù di scrittore, oltre che del modo spavaldo e oltraggioso (ma spesso ironico) con cui tratta certi argomenti, confrontandosi apertamente su questi aspetti coi propri interlocutori e mostrando una notevole coscienza riflessiva e maturità artistica fin dagli esordi, nonostante ciò che molti erano indotti a pensare soffermandosi solo sui suoi atteggiamenti, il suo modo di presentarsi e il suo stile di vita dissoluto. Soprattutto, è impressionante oggi notare quanto molte delle sue considerazioni sull’ambiente letterario e le sue intrinseche storture possano somigliare a ciò che dall’interno in molti pensano e vivono tuttora relativamente a quell’ambiente. Colpisce inoltre l’energia mentale che Bukowski metteva nello scrivere, nonostante i problemi di salute legati all’alcol (che, assieme all’ascolto della musica classica dalla sua radiolina, sarà sempre un fedele compagno nei momenti della creazione artistica) e la precarietà delle condizioni economiche e abitative che hanno sempre segnato la sua vita almeno fino al momento in cui, ormai ultracinquantenne, divenne famoso.
Proprio come la sua scrittura narrativa, le lettere di Bukowski sono autentiche e coraggiose; in esse lo stile impetuoso e volgare, come del resto nei suoi racconti, non è mai fine a sé stesso ma sempre funzionale al contenuto che deve essere veicolato. E di contenuti – la vita, i rapporti umani, l’arte, la società, la politica ecc. – benché fosse dedito alla frequentazione dei bassifondi, di bettole e ippodromi Bukowski ne aveva da vendere, e risulta spesso illuminante oltre che divertente ciò che dice, sia per chi si occupa di scrittura sia per chi da semplice lettore riflette sulla realtà che lo circonda.
Del resto, questo era il suo messaggio di uomo e di scrittore: cercare di fare ciò per cui si è portati anche a costo di dissipare la propria vita, dire la verità e lasciare un segno, sperando anche di far fare qualche risata al lettore che si imbatte nei propri scritti. Ci è riuscito.
Marco Nicastro