“Preferivo l’ostilità che qualcuno chiamava abiezione”. Storie dal Tempio. II Quadro
Letterature
Veronica Tomassini
Un poeta d’altro schianto, eventualmente canonico – a patto che esistano ancora i compilatori di antologie già postume –, Giancarlo Pontiggia, dieci anni fa, scriveva che “siamo confinati – da troppo tempo – nell’ansa di un fulminato, sospeso, stupefatto quattrocentodieci della storia del mondo; ciò che sarà, della poesia e dell’uomo, ancora non sappiamo”. Nel 410 i Visigoti, come si sa, prendono Roma, era agosto, sbeffeggiarono le statue dei Cesari, uccisero gli dèi occidentali – ma una strana paura impedì ai ‘barbari’ di predare e disintegrare i templi. Vandalica, questo libro-non-libro scritto a precipizio da Cataldo Dino Meo, in qualche modo, parte da quel “quattrocentodieci della storia” – siamo ancora qui, trapanati in una fine che ghigna, che non ci degna – per schiantare ogni afflato di verità, ogni affiliazione al liturgico, ogni fratellanza con l’uomo. Fin dal gesto ‘oggettivo’ Vandalica si pone in obliquo, a obliare la ‘cultura’, ad archiviare la ‘poesia’ come atto vacuo, arcano al niente: prodotto da Video Alok in Milano nel 2018, in copie numerate, senza prezzo, è connesso a un “Indice video” che dilata la parola scritta in esperienza musicale, catatonica, si spera. Ad ogni modo, la vandalizzazione lirica di Cataldo Dino Meo, grave di spine filosofiche (“Se proprio deve essere vita, che lo/ sia davvero, senza esclusioni/ di colpi, digrignando i denti, contro/ leggi impresse nel sopruso dalla/ mente lapidea riflettente”; “Non siamo attrezzati per/ la visione univoca, per noi è impossibile/ vedere la vita tutti quanti per/ quella che è, anche perché ciò che è,/ non sappiamo cosa sia”, è scritto in Acatalepsia, in devozione allo scetticismo di Pirrone), è buona anche da leggere, corroborante e corrosiva (gli sketch dedicati a Ipazia, Eliogabalo e alla Visione di Lev Jascin hanno stigma di bellezza). Data la visione radicale della poesia come maglio per provare la tensione dell’uomo che ne abusa, ho invitato al dialogo Cataldo Dino Meo. Ecco l’esito. (d.b.)
Intanto. “Vandalica”. Come se la poesia fosse atto vandalico, fosse la vandalizzazione della poesia, i Vandali che prendono d’assedio Roma, che assaltano l’Africa sotto la tiara di Sant’Agostino. Dimmi.
Non solo la Poesia dovrà manifestarsi come atto vandalico ma, senza farsi travolgere da facili isterismi iconoclasti, credo debba fare molto di più: creare scandalo intorno alla concezione della centralità umana a tutti i costi, affrontare a spada tratta il dogma della procreazione, il suo indiscutibile e assoluto valore nel generare morituri. La Poesia si occupi del crudele narcisismo da testosterone. Questo è il vero assedio di Roma: Consiglieresti la vita a chi ancora non è venuto al mondo? Dopo Teognide di Megara, Esopo, Erodoto, Leopardi, Nietzsche, Cioran, l’arte tutta non può continuare a eludere lo shock primigenio, deve trovare la forza e il coraggio di guardare negli occhi la nostra realtà allucinata, affrontare il mostro tremebondo che si annida negli anfratti della nostra prosopopea, penetrare con lama affilata l’assurda superstizione che la vita generi vita. Nello splendore tragico della sua totale incoscienza la vita fornisce solo animali alla greppia, produce la follia dello schiavismo euforico. Dostoevskij sostiene che “La filosofia è la stessa cosa che la poesia”. Siamo alla resa dei conti, la questione ci assedia, ci mette con le spalle al muro: è possibile vivere in questo mondo senza essere pazzi?
A proposito. Che rapporto ha la tua poesia con la Storia. Sembra scaturire dal sottosuolo del tempo presente, ma poi scrivi di Ipazia, di Pericle, di Apocalypse Now, di Lev Jascin..
La Storia è tavola apocrifa incisa dai prepotenti i quali ogni volta vorrebbero farci credere che l’umanità può trarre beneficio dall’esperienza di fatti accaduti, salvo poi ritrovarci tutti insieme senza aver capito la lezione e a commettere sempre gli stessi orrori. Io sono appassionato di personaggi. Li utilizzo a partire dalla loro biografia, intorno a questa però creo uno sviluppo inventivo tutto mio, uno spazio che possa liberare l’attitudine per la visione psichedelica, surreale, immaginifica, in cui il protagonista s’incrocia e si espande come fosse sceneggiatura cinematografica o composizione da concerto Rock.
Quale ispirazione anima il tuo scrivere, infine – e perché?
Non scrivo per ispirazione, ma per ricerca. Nel senso dei Vandali Coltivatori di Rose: creando scenari blasfemi, scongiurando imbarazzanti complicità, consapevole che la vita è cripta vuota, senza ossigeno, vivendo da disadattato. Sono bagascia beffarda infatuata d’inconcepibile. Fango su fango, senza compenso, senza ritorno. Ho fulgori onnipotenti , capaci d’aizzare il pitbull in agguato nella mia rabbia suburra. Il fine è quello di scrivere da nemico pubblico, ricreare adrenalina pericolosa sugli argomenti, diffondere sabotaggi nel prevedibile, cercare di reinventare la mente logica scagliandola nel delirio. Per me la scrittura deve creare il terrore dal punto di vista del pensiero, essere giostra di morte per pendagli da forca. Scrivere non sia più salario dei docili alla tavola del collaborazionismo culturale. Il mio scetticismo mi ha salvato da Cultura, esecutrice testamentaria d’ogni fanatismo. Nello scrivere nessun harakiri da artisti incompresi, esangui piscia letto postumi. Ma la scrittura non è l’aspetto più singolare della mia attività, molti scrivono. Dove mi distinguo invece è nella collaborazione con Video ALOK Milano, fondato e diretto da mio fratello Antonio Meo, che nel 2004, con il Video “Caravaggio“, girato a Chicago, dà inizio a una nuova possibilità per la Letteratura pur non avendo mai scritto un solo rigo, un solo verso. Egli realizza una serie di produzioni che prendono spunto dai video clip musicali inserendo nel loro specifico linguaggio la Poesia. Per cui, non più video poesie con la voce narrante fuori campo, ma il poeta prende il posto del cantante, dice il testo di persona, con musica e immagini costruite e strutturate con lo stesso criterio dei video clip musicali. Occorre sottrarre la Poesia all’insufficienza della parola stampata. L’originalità del mio libro Vandalica è quella di essere la sola raccolta poetica che contiene anche un Indice Video.Per chi fosse interessato al libro, ai video e anche alle mie esibizioni live, suggerisco di visitare, gratuitamente, il mio sito: www.cataldodinomeo.it.
Denomina le fonti. Detto di Lautréamont e di Cioran, che hai denunciato spesso, hai parlato, in altre interviste, di Benjain Fondane e di Lev Sestov. Cosa ti accomuna all’eccentricità di questi pensatore, dove li hai scoperti e sperimentati?
Impossibile elencare tutte le fonti ispiratrici di una vita lunga come la mia. Posso dire di non aver frequentato alcuna scuola. Ho conseguito la licenza media inferiore all’età di diciotto anni per manifesto straripamento anagrafico. Per cui mi sono arrangiato come ho potuto. Comunque sin da ragazzino ho sempre avuto la passione per la Letteratura e la Poesia. Ovviamente il testo letterario per me era anche la canzone, quindi Bob Dylan, The Doors, Jimi Hendrix, Billie Holiday, ma anche Leo Chiosso con Fred Buscaglione, Luigi Tenco. Nel campo letterario invece quando avevo quattordici anni una ragazza di cui ero innamorato, e che aveva più anni di me, mi mise in mano l’edizione in due volumi dell’Idiota di Dostoevskij, per non fare brutta figura con lei lo lessi tutto. Avevo rotto il ghiaccio. Anche la mia famiglia iniziò a vedere, per la prima volta, dei libri in casa. Trascorso un inutile periodo d’infatuazione per la Beat Generation, sono giunto ai Filosofi, alle Tragedie e alla Mitologia Greco-Romana, quindi Shakespeare, Jeane Genet, Sade, Isidore Ducasse, Rimbaud, Nietzsche, Leopardi, Cioran, il solo di cui ho letto tutto, e poi Pessoa. Di Benjamin Fondane non ho letto nulla, lo conosco come amico ebreo-romeno di Cioran, il quale cercò di salvarlo in tutti i modi dal Campo di Sterminio di Auschwitz. Di Lev Sestov ho letto un solo libro. Con questo capirai che non sono autori che mi appartengono. Invece mi appartengono influenze cinematografiche come il Neorealismo Italiano, il grande Cinema francese, il Cinema leggendario americano con i suoi grandi attori a cominciare da Gary Cooper, Marlon Brando, James Dean. Ma anche stimoli che potrebbero sembrare meno attinenti col plasmare una coscienza e che invece per me possiedono la medesima valenza di ciò che normalmente siamo abituati a riconoscere come formativo. La Rovesciata Cielo di Pelè mi ha sedotto più dei libri di Céline. L’epica magia di Maradona che, partendo da centro campo, s’invola verso la porta avversaria saltando tutti i giocatori inglesi è un miracolo più esaltante dell’intera Recherche di Proust. Per come la vedo io i cento rigori parati in carriera da Lev Jascin dovrebbero apparire splendenti nella volta della Cappella Sistina affrescata da Michelangelo. L’indimenticabile fremito che mi ha davvero modellato il carattere al cospetto del maratoneta Abebe Bikila che vince la Maratona a piedi scalzi nella notte romana illuminata appena dalle torce, egli avanza col suo passo felpato negli Annales di Tacito. Così come l’incedere divino di Fausto Coppi proiettato lungo le suggestioni interstellari dei bastioni di Orione. E poi come trascurare il lubrifico fervore, il brivido smisurato, la feroce idolatria, che il corpo femminile ha sempre scatenato nelle mie vene in subbuglio. Il Corpo Femminile è la sola, autentica prova che, anche privi di fede, si può assurgere a preghiera.
“Non so cosa farmene di me”; e poi “Sono equivoco impeccabile, embolia/ subdola/ abiura sfibrata/ verve/ cauterizzata nel capestro”: cosa intendi? Intendo: non c’è il rischio, in questa poesia senza scuse, della posa da ‘maledetto’, da radioso radicale, da unico che dilapida l’ego?
Come indicare con precisione il confine tra vanità, posa, radiosa radicalità? Penso di essere tutto questo e, con ogni probabilità, anche qualcos’altro. Vorrei essere Proteo che non solo cambia immagine ogni giorno, ma anche idea, pensiero, convinzione. Sono un intransigente trattabile. Pirrone di Elide mi ricorda però che non siamo in grado di stabilire e di conoscere come stanno le cose nella loro radicale, insita natura. Egli la chiama acatalepsia. Noi ignoriamo la corretta realtà, non condividiamo alcun dato pragmatico. Ciò che c’è tra di noi accade per convenzione. Ognuno osserva, vede le cose della vita dal suo punto di vista. Non ne abbiamo un altro. Per cui l’oggettivo diventa esercizio di dure controversie, sistematici muri contro muri invalicabili, sappiamo vivere soltanto asserragliati nei bunker asimmetrici delle nostre verità. È una maledizione, non sappiamo nulla di noi, di certo possiamo dire che siamo fatti della stessa sostanza dell’odio e che siamo incompatibili gli uni con gli altri, l’ambiente circostante ci è ostile, l’esistenza stessa non ci vuole. Della mia vita mi è sembrato di aver potuto percepire solamente la sua probabilità, il vago sentore. Ringraziando il cielo ho indole sgualdrina. Io vivo per sentito dire.
Che rapporto hai con la letteratura del tempo presente? Ti interessa? Cosa leggi, come ti muovi?
La letteratura del tempo presente non la cerco nei libri, la scovo nei film, nella musica, nelle serie televisive, su Internet, oppure You Tube, sui Social. Lo so molti storcono il naso quando sentono parlare di Social. Io non ho preclusioni, sono convinto che si debba sempre utilizzare qualsiasi mezzo a disposizione. Si obietta che i Social moltiplicano l’invadenza degli imbecilli. Dato che gl’imbecilli sono in maggioranza ovunque, comprese le Accademie e le Biblioteche, niente di più facile che trovarseli davanti. Anche il telefono è un mezzo di comunicazione se io lo uso per sparare cazzate è colpa del telefono o mia? Non leggo romanzi da anni, mi ammorbano, troppe parole, il prolisso mi devasta. Ho necessità di sintesi, stringere i tempi, scoccare la parola come freccia dritta al bersaglio. L’ultimo romanzo che ricordo mi abbia fulminato è stato “Il Profumo” di Patrick Süskind, racconto dall’atmosfera dark che riporta a Sade e a Isidore Ducasse. Leggo principalmente biografie. In questi ultimi tempi qualcosa di poesia. Il libro per me non ha più l’attrattiva di un tempo, proprio in questo periodo sono stato ben felice di lasciare a giovani amici i volumi accumulati negli anni. Ai Narratori chiedo la cortesia di non scrivere romanzi fiume, ma di attenersi, rigidamente, allo stesso numero di pagine che servirono a Kafka per La Metamorfosi. Se avete davvero qualcosa da scrivere sono certo che basteranno. I libri non li vuole più nessuno, serve il gesto eclatante per incuriosire, incrementare le vendite, trattenere l’emorragia di lettori in fuga: gli Autori potrebbero organizzare finte fucilazioni di massa nelle maggiori Piazze, anche i tentati suicidi in Streaming sarebbero utili alla causa.