19 Settembre 2022

“Tutto è vivo, tutto danza!”. L’Antologia Negra di Blaise Cendrars

All’epoca, era già lo scrittore “con la mano mozza”, l’eroe della Legione straniera, audace, pluridecorato: nato Frédéric Louis Sauser, aveva bruciato un lotto di pseudonimi – Freddy Sausey, Jack Lee, Diogène – e scritto testi rivoluzionari, Les Pâques à New York, ad esempio. Sorrideva di rado: i Dix-neuf poèmes élastiques, stampati a Parigi nel 1919, portavano in dote un ritratto di Amedeo Modigliani: Blaise Cendrars vi appare ligneo, truce, con le labbra volitive, qualcosa tra il feticcio e il vampiro.

Che personaggio memorabile, Cendrars: vitale perché vivo, sopravvissuto, senza lo sfoggio dei vitalisti per vanto, i boxeur da café. Consacrato alla vita perché assassino sul campo: “Sono il più rapido. Il più diretto. Ho colpito per primo. Ho senso della realtà, io, il poeta. Ho agito. Ho ucciso. Come chi vuole vivere”, scrive, in J’ai tué (1918), rievocando la folgore violenta della Prima guerra.

Nel 1949, introducendo il romanzo autobiografico Le Lotissement du ciel, torna al suo credo, la furibonda vitalità:

“Ho voluto mostrare ai giovani d’oggi, sotto inganno, che la vita non è un dilemma, e che tra le ideologie contrarie che sono chiamati a scegliere c’è la vita, la vita, con le sue sconcertanti e miracolose contraddizioni, la vita con le sue illimitate possibilità, le sue assurdità, ben più piacevoli delle idiozie e dei luoghi comuni della ‘politica’, e che è per la vita che bisogna optare, sempre, malgrado la seduzione del suicidio, individuale e collettivo, la sua micidiale logica scientifica. Non ci sono altre scelte possibili. Vivere!”.

Viaggiatore instancabile, tra la Russia e il Brasile, gli States e le profonde Ardenne, l’immaginato e l’immaginario, esploratore di mondi ignoti, nel 1921, per le Éditions de la Sirène di Parigi, Cendrars esce con un libro unico nel suo genere: Anthologie Nègre. Un enorme repertorio di leggende e poemi d’Africa, diviso in ventuno capitoli, dalle “leggende delle origini” ai “racconti delle meraviglie”, dalla “scienza fantastica” (esempio: Perché le scimmie vivono sugli alberi o Perché i coccodrilli non mangiano le galline) ai “racconti morali”, “d’amore”, “umoristici”. Tra l’altro, è registrato un lotto di proverbi, inni rituali, canti di caccia. Cendrars raccoglie i testi “dagli avventurieri europei” – teniamo conto che i possedimenti coloniali francesi in Africa, dall’Ottocento, andavano dall’Algeria e il Marocco fino al Gabon, il Ciad, la Guinea, il Camerun, il Senegal, Gibuti, Togo… – e li traduce secondo il proprio estro. Non è operazione meramente favolistica: negli anni di apprendistato a San Pietroburgo – in una coltre di misteri russi, tra 1904 e 1907 –, tra l’altro, Cendrars impara l’arte bibliomantica da R.R., impiegato nella Biblioteca imperiale. Così, l’Anthologie Nègre è sigillata da un immane profilo bibliografico, che accoglie i massimi studiosi del tempo: Maurice Delafosse, Frobenius, Trilles, ad esempio. È un lavoro che fonde il gesto letterario – le Just So Stories di Kipling, uscite nel 1902, riprendono gli stilemi della favolistica orientale, della leggenda pura –, a quello dell’avventuriero dei linguaggi, che precede la negritudine, va dietro alla fascinazione per l’arte africana subita, pochi anni prima, da Picasso, espansione nel cuore di tenebra del primitivismo.

In fondo, è la solita storia: da Ossian alle traduzioni di ʿUmar Khayyām alle New Arabian Nights di Robert Louis Stevenson, dai sogni polinesiani di Gauguin ai romanzi esotici di Herman Melville, dal gusto medioevale dei Preraffaelliti alle visioni omeriche di Lord Byron, dall’ingenuità di Rousseau il Doganiere alla Cina ancestrale, ricomposta da Victor Segalen all’idolo africano riadattato dall’arte parigina: il genio occidentale tenta un altro mondo, un altro tempo, traduce il tedio moderno in fuga dalla città, per snidare la polpa della vita, l’urlo.

Certo, l’antologia di Cendrars – azzardata, ardita, bella – ha pregio di preveggenza: precede i vaghi vagabondaggi di André Gide in Congo e in Ciad (il suo Voyage esce nel 1927) e la fatidica “Mission Dakar-Djibouti”, realizzata tra il 1931 e il ’33, che fornì a Michel Leiris materia per L’Afrique fantôme (1934). I grandi studi di Marcel Griaule (Dieu d’eau: entretiens avec Ogotemmeli è del 1948), di Lucien Lévy-Bruhl (L’Âme primitive è del 1927), per non dire di Claude Lévi-Strass, erano lì da venire. Con l’esuberanza dell’apocrifo, dell’apolide, del corsaro, Cendrars arriva prima di tutti, puro ispirato, e inietta, nella letteratura occidentale, già asfissiata dall’avanguardismo in marcia per marcire, la danza folle, sfacciata, delle favole “nere”.

***

“Antologia negra”, Blaise Cendrars

Come dice Cust, “Ogni tumulo, collina, montagna o vetta ha un nome, e così ogni ruscello, valle, pianura; penetrare nel senso profondo di quel nome richiederebbe la vita intera di un uomo. Non è la scarsità ma la sovrabbondanza dei nomi che disorienta il viaggiatore. La pienezza della lingua è tale che esistono decine di parole per indicare la diversità di un’andatura, di una corsa, di una fanfaronata; ogni gesto è espresso con una parola specifica”. Appleyard, Krapf e Steere sono unanimi nel lodare la bellezza e il potere plastico delle lingue d’Africa; Wilson osserva quanto siano “morbide, flessuose, flessibili in modi pressoché illimitati; i principi grammaticali sono fondati su un sistema filosofico, il numero delle parole può essere combinato all’infinito, esse esprimono le più sottili sfumature del pensare e del sentire, con una precisione tanto determinata che di rado si rintraccia in altre lingue, nel mondo”.

Questa è opera compilativa. Ho riprodotto racconti e poemi man mano che missionari ed avventurieri li hanno portati in Europa: non sempre la traduzione è fedele. È deplorevole che l’accuratezza letteraria non sia la sola preoccupazione legittima di questi esploratori. D’altronde, lo studio delle lingue e delle letterature di queste razze primitive è una delle forme di sapienza più indispensabili per la storia della mente umana”.

Blaise Cendrars

*

Leggenda sulla creazione

Quando le cose non erano ancora, il Creatore trasse l’uomo da terra d’argilla. Lo impastò con l’argilla. L’uomo era, e fu, al principio, come una lucertola. Questa lucertola il Creatore la pose in una pozza d’acqua marina. Cinque giorni: egli passò cinque giorni con lui nella pozza d’acqua. Sette giorni: vi restò sette giorni. L’ottavo giorno, il Creatore lo fissò. La lucertola uscì fuori dall’acqua. Era un uomo. E disse al Creatore: Grazie.

*

La morte e la luna

Un vegliardo vide un morto su cui era caduta la luce della luna. Riunì un gran numero di bestie: Chi di voi, valorosi, vuole trasportare dall’altra parte del fiume il morto e la luna? Si presentarono due tartarughe. La prima, che aveva lunghe zampe, riuscì a portare la luna sulla sponda opposta; l’altra, con le gambe corte, si incaricò del cadavere, e finì annegata. Per questo, la luna appare ogni giorno e i morti non tornano più in vita.

*

Il genere umano

Tre uomini andarono dal Creatore a spiegargli di cosa avevano bisogno. Uno disse: Voglio un cavallo. L’altro replicò: Voglio dei cani, per cacciare nella boscaglia. Il terzo sussurrò: Voglio una donna, che plachi la mia sete. Il Creatore li soddisfò tutti e tre: al primo diede un cavallo, al secondo un tiro di cani, al terzo la donna. I tre uomini se ne andarono. La pioggia, improvvisa, costrinse gli uomini alla boscaglia per tre giorni. La donna cucinò per tutti, anche per i due che avevano cavallo e cani. A quel punto i due uomini si dissero: Torniamo dal Creatore. Volevano delle donne anche loro. Il Creatore trasformò il cavallo e i cani in donne. Gli uomini se ne andarono.

Eppure: la donna che discende dal cavallo è avida; le donne che discendono dai cani sono malvagie. La prima moglie, quella che il Creatore ha ideato per prima, è la sola buona, è la madre del genere umano.

*

Il canto del coccodrillo

L’elefante si ritira, si ritira in un rifiuto.
L’albero pende:
sollevalo in alto.
Pende ancora di qui:
spingilo a sinistra;
pende ancora: ruota a destra.
Possa la tua forza non dimorare silente, inerte.
Giriamo qui, torniamo indietro.
Questa terra è dura
protettore dei nostri padri
non chiudere le tue orecchie.
Proteggi i tuoi figli.
Gira qui, gira di là: la trappola è pronta.
Abbiamo preparato il cibo,
la pietra nel fuoco offre un responso.
Non farci attendere il soccorso
o padre coccodrillo.
Permettici di restare sulla riva.
I nostri antenati hanno vinto.
La festa d’iniziazione
abbia luogo per i loro successori.

*

Il leopardo e il cane

Un giorno, il leopardo affidò i suoi tre cuccioli al cane: gli promise una tale quantità di carne che il cane avrebbe smesso di rosicchiare ossa.

Le cose funzionarono per un po’. Un giorno, il cane cadde in tentazione, uccise uno dei cuccioli. Non ebbe difficoltà a ingannare la madre: le diede i piccoli da allattare a turno, una, due, tre volte.

La stessa violenza capitò una seconda volta. A questo punto, il cane scappò, chiedendo protezione all’uomo. L’uomo acconsentì, a patto che il cane non abbandonasse mai la sua cuccia. Il cane accettò. Un giorno, tuttavia, scorgendo un mucchio di ossa, a una certa distanza dalla casa, vi si precipitò, rompendo la parola data. Il leopardo, che lo cercava ovunque, per vendicare la morte dei suoi figli, gli saltò addosso, lo divorò. Da allora, il leopardo non smette di fare la guerra ai cani e di mangiarli.

*

La danza degli animali

Il pesce fa…
Hip!
L’uccello fa…
Viss!
La marmotta fa…
Gnan!
Mi lancio a sinistra.
Vado a destra.
C’è chi ruota, chi si contorce, chi salta!
  Tutto è vivo
     tutto canta
          tutto balla.

L’uccello vola, plana, ritorna
      si alza, si libra, cade
                    la sua livrea è rosa.
Tutto vive, tutto grida, tutto è una danza.

La scimmia va di ramo in ramo
      corre, salta, scalcia
            con la moglie e il suo piccolo
bocca gonfia, coda che rotea:
                              ecco la scimmia!
Tutto è vivo, tutto canta, tutto è nella danza!

Gruppo MAGOG