14 Dicembre 2019

“Ho suonato sull’Isola di Pasqua, nel chiasso del pubblico, in mezzo a cani e tacchini. La mia missione è accorciare le distanze tra compositore e ascoltatore, tra privilegiati e svantaggiati”. Francesco Consiglio dialoga con Gloria Campaner, pianista giramondo

Alcuni musicisti pop hanno dedicato parte della loro carriera a diffondere valori sociali: la pace, la fratellanza, la difesa dell’ambiente. Madonna ha creato la fondazione Raising Malawi per aiutare i bambini rimasti orfani causa dell’Aids. Elton John raccoglie offerte per la Elton John AIDS Foundation. Sting ha creato il Rainforest Foundation Fund per salvaguardare la foresta amazzonica e proteggere le comunità locali. Da Bob Geldof a Paul McCartney, fino a Bono degli U2, le pop star impegnate nel sociale sono personaggi così popolari che ogni loro azione viene amplificata dai media. È un peccato che, nel mondo della musica classica, i nomi degli artisti che fanno bene al mondo sono così poco pubblicizzati (unica eccezione, negli anni scorsi, il Pavarotti & Friends, frequentato però quasi esclusivamente da popstar). A causa di questa sorta di damnatio memoriae in vita, il grande pubblico rischia di immaginare che i musicisti classici siano individui isolati e scarsamente votati alla solidarietà. Fortunatamente non è così, e la brava e affascinante pianista che state per conoscere dimostra il contrario.

Gloria Campaner è coinvolta in progetti di beneficenza, educazione e consapevolezza musicale in tutto il mondo. Durante i suoi tour internazionali incontra studenti e bambini poveri, visita ospedali, scuole e orfanotrofi, cercando di condividere i valori umani, musicali e sociali con coloro che normalmente non avrebbero questa opportunità o privilegio.

Nella sua ancora breve ma intensa carriera, ha suonato nelle più prestigiose sale da concerto d’Europa e del mondo, quali la Salle Cortot di Parigi, la Wiener Saal di Salisburgo, la Cadogan Hall di Londra, la Carnegie Hall di New York e tante altre. Ha ottenuto diversi riconoscimenti in concorsi pianistici nazionali e internazionali tra cui la Medaglia d’Argento al II Concorso Internazionale Paderewski di Los Angeles, l’International Ibla Grand Prize 2009, il premio CIDIM Nuove Carriere 2011 e una Fellowship del Borletti Buitoni Trust 2014, prima pianista italiana ad ottenere questo riconoscimento. Nel 2018 ha ottenuto una cattedra di pianoforte presso la Nelson Mandela University di Port Elizabeth in Sudafrica.

Nel Gennaio 2013 è uscito il suo primo album Piano Poems, per l’etichetta EMI, dedicato a Schumann e Rachmaninov. Del 2017 un secondo CD/DVD registrato dal vivo con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Juraj Valčuha nel Concerto no. 2 di Rachmaninov per Warner Classics e, sempre per la stessa etichetta, l’album HOME uscito a novembre 2018 e dedicato interamente a Robert Schumann.

Gloria Campaner alla “Fenice” di Venezia, durante le prove di un concerto, nel 2017. Photo Walter Garosi

Lei ha portato il pianoforte nelle favelas di Rio, tra gente poverissima che non potrà mai permettersi di comprarne uno. Ho visto foto di bambini che ascoltavano con gli occhi pieni di gioia e di stupore. Crede che bisognerebbe privilegiare la funzione sociale della musica, oppure coltivare l’idea, per me comunque affascinante, di un musicista esclusivamente dedito alla pratica della bellezza, come se il mondo tutto intorno non contasse nulla?

La musica, in particolare quella dal vivo, è un bene preziosissimo. Ha una sua durata finita, unica e irripetibile e regala a chi l’ascolta – e a chi la suona – istanti indimenticabili di rara bellezza, anche per la sua intrinseca capacità espressiva e taumaturgica. La musica è un codice, un linguaggio universale che è a disposizione di tutti e chi suona diventa portatore di un determinato messaggio. Io ad esempio ho capito presto che la mia missione era quella di cercare il più possibile di accorciare delle distanze: tra compositore e ascoltatore, tra passato e presente, tra privilegiati e svantaggiati, tra chi non c’è più e chi è in vita. Quando suono per i bambini che non possiedono nulla e mi accorgo che, anche grazie a qualcosa che so fare e che posso fare per loro, non hanno perso né la capacità di gioire né di sorridere, mi sento viva e so di essere nel posto giusto. Più viaggio e osservo il mondo in cui viviamo, più mi accorgo che c’è davvero bisogno di maggior consapevolezza e di aiuto da parte di ognuno di noi.

I luoghi dell’ascolto – i teatri, gli auditorium, le eleganti sale da concerto – sono ricchi di storia e d’immortale bellezza, eppure costituiscono una sorta di prigione confortevole della musica, poiché artisti e pubblico finiscono per coabitare lo stesso spazio in nome di una stessa sensibilità. Perciò quando ho letto in una sua intervista al Corriere della Sera che ha suonato sotto un tendone all’isola di Pasqua, con il sottofondo di cani che abbaiavano e svolazzi di pennuti, mi sono detto: che forza ammaliatrice, e che coraggio! Come si fa a incantare un pubblico poco abituato alle esperienze di ascolto silenzioso e convincerlo a immergersi nella profondità e nel tormento di una partitura di Schumann?

Suonare in parti del mondo diversissime tra loro, in luoghi disparati e a volte anche poco convenzionali, mi ha insegnato che la ritualità di un ascolto quasi religioso di fronte a un concerto di musica classica è una prassi prettamente occidentale. È vero che il silenzio che si crea prima e dopo ogni nota o ogni frase musicale ha a sua volta un ‘suono’ bellissimo che è un privilegio poter assaporare; permette infatti ampia concentrazione e quiete. Ciò detto però, la condizione di rigidità che talvolta si crea durante questi silenzi – in cui il musicista sente che il pubblico è quasi teso perché ha paura di applaudire nel momento ‘sbagliato’, di muoversi, di dare un colpo di tosse – non fa che portarci lontano dalla giusta dimensione che dovrebbe crearsi. Ci sono posti in cui l’ascolto della musica tradizionale è accompagnato da cibo, bevande, parole, conversazioni, movimenti, perfino rumori. È un silenzio oserei dire ‘diverso’, basta solo capire il contesto in cui ci si trova e abituarsi a una differente fruizione dell’evento. Il concerto che feci sull’Isola di Pasqua aveva in effetti incuriosito l’intera isola: non solo i suoi abitanti, che continuavano ad avvicinarsi senza mai smettere di parlare, ma anche gli animali: cavalli, cani, tacchini. Non ho fatto altro che sorridere tutto il tempo pensando: ‘questo sì che è un successo!’.

Assunto come vero che la musica risponde a un bisogno insopprimibile dell’uomo (e non solo: sarebbe impossibile privare gli uccelli della possibilità di ammaliarci con il loro canto), mi domando cosa spinge un musicista a cercare ogni giorno nuove combinazioni di note senza farsi intimorire dai tanti e giganteschi capolavori che sono alle sue spalle. C’è forse chi compone per soddisfare una brama dell’intelletto e chi lo fa perché desidera un puro e libero divertimento. Qualcuno cerca di avvicinarsi a Dio con la musica, mentre altri scrivono e suonano per scacciare i propri demoni.

Per rispondere a questa domanda mi viene in mente che nessuno penserebbe di non scrivere solo perché prima di lui l’ha fatto, ad esempio, Marcel Proust o di non ballare perché è esistito un grande danzatore come Rudolf Nureyev. La bellezza non procede in modo lineare nel tempo e ogni artista rappresenta un diverso ‘mondo’, una diversa epoca, sensibilità, visione, tradizione. Esprimersi attraverso l’arte è un diritto, talvolta un’esigenza o addirittura un credo, e penso che poterlo fare sia un privilegio. Io mi sento enormemente fortunata.

Per la scuola italiana, tutti i poeti, anche i minorissimi, sono degni di essere ricordati più di Beethoven e Chopin, e l’ultimo dei pittori vale più di Mozart. Contro ogni evidenza, si continua a negare la forza della Musica come linguaggio in grado di spiegare le mutazioni dei tempi. Uno studente di liceo mediamente preparato sa che Fleming scoprì la penicillina quando si accorse che la coltura batterica che stava osservando era stata uccisa da una muffa blu-verdognola che si era sviluppata sul vetrino. Ma non provate a chiedergli di quel musicista che dedicò una sinfonia a Napoleone e poi se ne pentì perché non approvava la deriva autoritaria dell’imperatore. L’assenza della storia della musica alle superiori è uno scandalo inaudito.

Concordo sulla preoccupante negligenza nell’affrontare il tema dell’inserimento della musica, con la sua storia e letteratura, nel sistema scolastico a tutti i livelli. Penso peraltro che incrociare i saperi, più che isolarli in materie separate, sarebbe molto utile per raccontare a tutto tondo un certo periodo storico-artistico. Mi riferisco ad esempio all’utilità di studiare Robert Schumann quando si affronta l’epoca romantica, o Ludwig van Beethoven mentre si impara chi fosse Napoleone Bonaparte, o ancora Giuseppe Verdi quando si approfondisce la storia del romanzo. Viviamo in una società in cui ad ogni click sul web corrispondono vari links che portano ad informazioni correlate. Gli studenti di oggi vivono e ragionano in questo modo, studiano ‘aprendo varie finestre’, creando una ‘rete’, quindi una scuola pensata ‘per compartimenti stagni’ credo che difficilmente funzionerebbe.

Navigando sul Web, nello sconfinato oceano digitale, ho trovato questa frase attribuita a Mozart: “Tre cose sono necessarie per un buon pianista: la testa, il cuore e le dita”. Posso chiederle di classificarle in ordine di importanza?

I giapponesi hanno una bellissima parola, kokoro, che significa indistintamente cuore, mente e spirito. Direi quindi che le dita vengono appena dopo il kokoro, inteso anche come soffio vitale e quindi forse anima, ma sono importantissime perché rappresentano il nostro ‘strumento’ per la trasmissione musicale. Durante il mio workshop di creatività chiamato C# / See Sharp, per giovani musicisti e artisti dello spettacolo, dico sempre ai ragazzi che quello che serve veramente è un ‘cuore buono’ e un’ottima tecnica. Il talento, ove presente, va solo innaffiato ogni giorno con disciplina e coraggio.

Infine, la più classica e inevitabile delle domande: progetti per il futuro?

Mentre rispondo a queste domande mi trovo a New York, dove sto provando un programma con una cantante specializzata in Raga indiani e Sikh per un tour di concerti in India tra dicembre 2019 e gennaio 2020 (Nuova Delhi, Mombay, Calcutta e Jaipur per il festival internazionale della letteratura) dedicati alle poesie di Rabindranath Tagore musicate da Alain Daniélou. Il 2020 sarà inevitabilmente un anno che omaggia Beethoven, durante il quale eseguirò molti cicli di sonate per pianoforte solo, il Concerto n. 5 ‘Imperatore’ e il Triplo Concerto con violoncellisti come Giovanni Sollima, Camille Thomas, Erica Piccotti. Tornerò al Gran Teatro la Fenice di Venezia ad aprile e chiuderò la stagione della IUC alla Sapienza a Roma proprio con l”Imperatore” di Beethoven. Poi mi esibirò per la prima volta in Namibia al Teatro Nazionale e in Perù. Mi dedicherò anche al nuovo workshop di creatività musicale C# / See Sharp che ho creato per i giovani talenti e avvierò una serie di concerti sul tema dell’acqua con le video proiezioni di Luca Scarzella e le pietre sonore di Pinuccio Sciola.

Francesco Consiglio

*In copertina: Gloria Campaner fotografata da Andrea Basile

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