
“Ha sofferto il soffribile”. Per i cinquant’anni dalla morte di Guido Morselli
Letterature
Linda Terziroli
“Quanti funerali passano davanti alle nostre case? E tuttavia non pensiamo alla morte. Quante morti premature?” Così scriveva Seneca duemila anni fa. Prima di lui, Platone, discutendo della morte di Socrate, nel Fedone, affermava che “i veri filosofi sono sempre intenti alla pratica di morire”.
La morte è stata al centro della filosofia occidentale e di tutte le religioni e le mitologie. Siamo tutti gravati da un memento mori, ma la maggior parte di noi cerca di dimenticarlo, fino a quando non siamo posti, direttamente o indirettamente, di fronte all’inevitabilità della morte. In tempo di pandemia, il memento mori, assunta la forma di un virus, si è acutizzato, poiché siamo tutti ansiosi circa il nostro benessere e quello dei nostri cari. Siccome la pandemia è coincisa con una quarantena, ci siamo ritrovati con molto tempo a disposizione. Oltre alla lettura, alla scrittura, all’ascolto della musica e alla preparazione di insolite ricette di cucina, ho fatto una maratona di alcune serie televisive. Breaking Bad, che ha vinto più premi di qualsiasi altra produzione e che è stata immensamente popolare, mi è sembrato un buon punto di partenza. Ora sono in grado di affermare che può essere considerate una rappresentazione della cultura occidentale agli albori del 21° secolo.
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Vari sono i temi che ritengo emblematici. Il memento mori diventa all’improvviso molto pressante nella mente di Walt, l’insegnante di chimica delle superiori, quando gli viene diagnosticato un cancro polmonare inoperabile allo stadio tre. Circa cento anni prima, Thomas Mann aveva trattato il problema della malattia e dell’imminenza della morte ne La montagna incantata da un punto di vista metafisico e filosofico, con ogni personaggio principale nel sanatorio che impersona una diversa corrente filosofica. All’inizio del 21° secolo, Vince Gilligan e gli altri creatori di Breaking Bad trattano lo stesso tema della malattia e dell’imminenza della morte con la decisone, da parte di Walt, di diventare un produttore di metanfetamina.
Il pragmatismo americano – il non abbiente Walt intende lasciare soldi a sua moglie e ai suoi figli – al posto delle riflessioni ontologiche ed escatologiche. Per uno che ha studiato tutta la vita religioni comparate, mitologia e filosofia, una tale scelta sembra stupefacente. Ma, d’altra parte, è giusto paragonare Thomas Mann a Vince Gillian e ai suoi colleghi? L’ambiente europeo del post prima guerra mondiale agli Stati Uniti degli inizi del ventunesimo secolo? È giusto paragonare un’opera magna letteraria di immenso respiro con una serie televisiva? Considerando quanto hanno scritto di quest’ultima i critici, direi di sì, dal momento che hanno preso Breaking Bad molto sul serio. Forse perché contiene elementi di ciò che oggi passa per “literary fiction”, o narrativa letteraria (le mie opinioni a riguardo sono espresse nel saggio Contro gli scrittori che contemplano il proprio ombelico e pubblicano romanzi che sono un inventario di banalità, con la prosa di un bambino di seconda media. Ovvero: sul declino della “narrativa letteraria”). Il tempo dedicato al motivo della metanfetamina – la sua produzione e distribuzione e tutti i personaggi sgradevoli ma coloriti che queste comportano – è più o meno lo stesso di quello dedicato alle dinamiche della famiglia di Walt: la moglie, i due figli, il cognato e la cognata. E tali dinamiche sono sviluppate nello stile di quella che oggi passa per narrativa letteraria: molta angoscia suburbana e complicazioni che aspirano all’universalità di uno Shakespeare o di un Cervantes, ma posano su spalle molto inadeguate. Walt e Hank, suo cognato, non sono né Amleto né Don Chisciotte. La gente comune non è in grado di occuparsi di problemi filosofici semplicemente perché non sa che la filosofia esiste, come d’altronde la gran parte degli americani.
Ma, dopo tutto, la filosofia non è forse concepita solo per una elite? Il dramma La vida es sueño (La vita è sogno) di Calderon de la Barca fu estremamente popolare quando esordì nel 1635 e da allora è rimasto nel repertorio teatrale come un classico senza tempo. I suoi motivi principali sono distintamente filosofici: il tema religioso preponderante nella vita di allora, ovvero il libero arbitrio contro la predestinazione; e il concetto di vita come sogno, che si può ritrovare nell’Induismo, nel Buddismo, in Eraclito, in Platone e, più a ridosso dei tempi di de la Barca, in Cartesio con il suo inquietante argomento del sogno, vale a dire: se nel sogno il mondo ci sembra reale e ci rendiamo conto che è irreale solo al risveglio, come facciamo a essere sicuri che quando siamo svegli siamo veramente svegli? Troppo complesso per lo spettatore comune? A giudicare dal successo del drama, il secolo d’oro della Spagna deve aver prodotto delle platee piuttosto sofisticate.
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Ma torniamo ad Albuquerque e alle imprese dei narco. Breaking Bad è infarcito di incongruenze fin dall’inizio: Walt, da giovane, è stato un genio ma poi non è riuscito nella vita per motivi che non sono ben spiegati, o non sono spiegati affatto; suo cognato è, a favor di trama e di suspense, un agente della DEA; Walter Jr, il figlio adolescente di Walt e di sua moglie Skyler, soffre di paralisi cerebrale; Skyler rimane incinta a oltre quarant’anni e, sebbene la sua sia una gravidanza non programmata e sia lei che Walt non siano affatto religiosi, non abortisce.
Confesso di essere rimasto affascinato da Pablo Escobar, una sorta di don Chisciotte malvagio, e di aver letto parecchi libri su di lui, principalmente in spagnolo, dato che i gringos sembrano del tutto incapaci di comprendere che tipo di personaggio fosse. Sebbene ciò che Escobar ha fatto nella vita sia più strano di un romanzo, all’inizio non c’era niente di insolito in lui o nella sua famiglia. Certo Escobar non era un futuro premio Nobel, tutt’altro; proveniva da una famiglia molto modesta, ma non moriva di fame; non era oberato da un figlio malato o da una gravidanza non voluta – la qual cosa rende la sua ricerca di ricchezze favolose a dispetto di tutto ciò che poteva opporglisi tanto più incomprensibile. In altre parole, a paragone della realtà, Breaking Bad sa di arbitrario.
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Skyler, la moglie da sempre sofferente, merita una menzione a parte. Innumerevoli spettatori hanno visto in lei l’archetipo della lagnona, della megera, della bisbetica. E per lagnarsi, si lagna eccome! Fortunatamente la funzione di avanzamento veloce mi ha risparmiato molta della sua petulanza. Ma questo è un problema comune ai polizieschi narco: non hanno spazio per le donne, le quali o piagnucolano, fino alla nausea, o scimmiottano gli uomini, in modo poco convincente. Le storie sul narcotraffico sono chiaramente di stampo maschile; hanno come protagonisti buoni e cattivi, questi ultimi molto più avvincenti, e, tra di essi, una zona grigia popolata da anti-eroi o malavitosi con atipici crucci di coscienza.
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Un extraterrestre che guardasse Breaking Bad concluderebbe che la cultura occidentale agli inizi del 21° secolo è diventata completamente atea. In cinque stagioni, per un totale di sessantadue episodi, e una durata di sessantadue ore, cioè due giorni e quattordici ore, Dio e la religione sono menzionati due sole volte: dopo la collisione di due aeroplani sopra Albuquerque, una ragazza della scuola di Walt chiede, parafrasando, “Come ha potuto Dio permettere che accadesse questo?”, e la preside taglia corto esortando lei e altri studenti a rimanere nell’ambito della laicità. Poi si vedono due sicari messicani strisciare per terra assieme ad alcuni contadini verso una capanna nel deserto che contiene simboli della Nuestra Señora de la Santa Muerte, una santa del cattolicesimo folk messicano. Oltre a ciò, niente. Questo campionario di umanità, l’extraterrestre relazionerebbe ai suoi pari, non ha posto per gli dei o per la religione, salvo che per dei sicari e dei contadini che provengono da una società più primitiva.
In una storia la cui raison d’être è l’imminenza della morte e ciò che Walt può fare in risposta ad essa, non c’è Dio, né si prega, né c’è religione. In un contesto ideale per un’indagine ontologica ed escatologica, non c’è assolutamente niente del genere. Come inconsapevole, tardiva appendice all’esistenzialismo, l’uomo è ritratto nella sua vulnerabilità in un universo caotico e privo di significato. Cartesio, l’Illuminismo, Marx, Darwin, Wittgenstein e infine il Circolo di Vienna hanno lavorato alacremente all’annientamento della metafisica – con Rudolph Carnap che formalmente l’ha rifiutata come priva di senso poiché le affermazioni metafisiche, egli sosteneva, non potevano essere provate o confutate dall’esperienza – e hanno ottenuto un successo trionfale. Mentre la scienza, tra gli altri con Heisenberg – ironicamente, poiché questo è il nome di battaglia di Walt nella serie – che ha donato al mondo il suo principio d’indeterminazione, ha mostrato che le cose non sono così fisse in natura e che c’è molto più di ciò che si vede a occhio nudo (il che, incidentalmente, il coronavirus ha evidenziato con efficacia, con tutto il nostro frenetico lavarci le mani) la cultura convenzionale continua a basarsi su principi laici se non chiaramente atei, su costrutti occidentali arbitrari postulati da filosofi di tendenza aristotelica. Ancora oggi nel mondo occidentale una contraddizione è percepita come un grave faux pas in quasi ogni contesto. Ciò è dovuto alla legge di non contraddizione, o la seconda legge tradizionale, definita da Aristotele nella sua metafisica: “È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo”. Mentre tale “assioma” è utile in un tribunale e in molte altre applicazioni terra terra, non dovrebbe mai essere stato frainteso per una legge che governa l’universo. La natura, infatti, è piena di contraddizioni, e gli eventi più importanti nella vita sono quelli che vanno contro le statistiche.
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Ho finito Breaking Bad grato alla Apple TV per la sua funzione di avanzamento veloce, e con la sensazione che i suoi autori siano sprovvisti culturalmente e matafisicamente falliti.
Guido Mina di Sospiro
*Tradotto da Patrizia Poli dall’originale “Breaking Bad during a Time of Global Memento Mori”, pubblicato nel numero di giugno, 2020, della rivista New English Review