19 Febbraio 2025

“Guida la danza di tutte le donne”. Baccanale di mistiche

Dunque: tiaso, baccanale. Il più antico canto del Testo è ascritto a Miriam/Maria, “la profetessa, sorella di Aronne”. La donna accompagna le parole di Mosè, appena varcato il Mar Rosso, 

“prendendo in mano un tamburello: dietro a lei uscirono le donne con i tamburelli e con le danze”.

(Es 15, 20)

Canto di lode, di vendemmia di vendetta, elargito al Dio “guerriero”. Mosè guida il rito; Maria il coro e il ballo. Maria è identificata come nebiah, il femminile di nabi, il profeta, voce di Dio, figura intrisa di carisma. È lei a comandare l’estasi, modulando il corpo al verbo, addestrando i suoni. Sciamana Maria: intona il canto dopo che il Mare del Giunco si è spalancato – cuna/alcova del popolo di Dio – perché donna che domina le acque, la fiumana del poema. 

La femmina alla vetta dell’estasi, biblico baccanale. Eccole, allora, “tutte le donne d’Israele”, che si fanno attorno alla guerriera Giuditta “e la colmarono di elogi e composero tra loro una danza in suo onore” (Gdt 15, 12). Israelitico tiaso: Giuditta “prese in mano dei tirsi e li distribuì alle donne che erano con lei”, e si incorona di ulivo. In testa al popolo, “guida la danza di tutte le donne”, mentre “tutti gli uomini… inneggiavano”. 

Antico lignaggio della donna che trattiene i rapporti con il divino: presiede al rapimento; estatica, balbetta baluginii verbali, parla “in lingue”; esperisce il dio: altri – i sacerdoti, esegeti del potere – interpretano, ne gestiscono il farneticante dire. La donna ascolta il dio; l’uomo edifica il tempio. La donna blatera; l’uomo organizza, tenta ricavo dall’oracolo.

Così: la Pizia, l’orgia del linguaggio delle Baccanti, Eleusi, Demetra, il tiaso. 

“Nella parola si manifesta all’uomo la sapienza del dio, e la forma, l’ordine, il nesso in cui si presentano le parole rivela che non si tratta di parole umane, bensì di parole divine. Di qui il carattere esteriore dell’oracolo: l’ambiguità, l’oscurità, l’allusività ardua da decifrare, l’incertezza”.

Giorgio Colli

Sfinge: femmina derelitta in mostro; oracolo che si sfrangia in enigma; verità che sfuma in gioco. 

Maria, la profetessa biblica, maneggia il tamburo, inneggia parole rituali, danza: si comporta come una sciamana. Sciamana era pure la Pizia: Giorgio Colli intuisce che “l’invasamento della Pizia” ha a che fare con la “particolare tecnica dell’estasi” diffusa “nelle pianure nordiche e dell’Asia centrale” dove “è testimoniata una lunga persistenza dello sciamanesimo” (l’intuizione è sviluppata da un estroso allievo di Colli, Angelo Tonelli, in: Negli abissi luminosi. Sciamanesimo, trance ed estasi nella Grecia antica, Feltrinelli, 2021).

Pizia/Pitonessa: la donna occupa a Delfi il posto che fu di Pitone, il serpe-drago sconfitto da Apollo. Allo stesso modo, Eva intrattiene dialoghi con il serpente, “il più astuto di tutti gli animali selvatici” (Gn 3, 1). Rapporto peculiare – di amicale “inimicizia” che sottende sottomissione e sapienza – lega il serpente alla donna. 

Ai suoi discepoli, Gesù conferisce poteri sciamanici – di guarigione e resurrezione –; sono in grado di dominare i serpenti (“prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno” Mc 16, 18). Consacrati a Cristo, i discepoli incorporano attributi altrimenti femminili: le donne, nei Vangeli canonici, dominano i riti della casa e quelli del sepolcro, preparano il corpo morto alla sepoltura e offrono il cibo ai vivi. L’olio e il desco. Alla Maddalena appare il Risorto; negli apocrifi è a lei che Gesù confida segreti da cui sono esclusi gli altri apostoli. 

Soltanto Davide, tra i grandi personaggi biblici, eccelle nell’estasi. Quando l’arca viene trasportata a Gerusalemme, è lui, il re poeta che ha segato il cranio al gigante, a ispirare le danze estatiche:

“Davide e tutta la casa d’Israele danzavano davanti al Signore con tutte le forze, con canti e con certe, arpe, tamburelli, sistri e cimbali”.

(2 Sam 6, 5)

Al vedere il sovrano seminudo, ebbro del ballo, la moglie, Mical – esclusa dal lignaggio sciamanico femminile –, è scandalizzata: simili atti sono inappropriati a uomo. Ma Davide è il re salmista, a cui sono conferiti attributi virili – la spada, la forza, la lussuria – e femminili – la bellezza femminea, la capacità lirica, l’estenuata giovinezza, l’astuzia che concupisce. Nell’iconografia del Seicento – pensiamo a Tanzio da Varallo e a Valentin de Boulogne – Davide è un efebo di seducente ambiguità. 

Le mistiche: estreme eredi di questo retroscena biblico. Percorrono l’estasi, percosse dal frainteso: prese per negromanti (come la “negromante di Endor” consultata da Saul) più che per profetesse. A differenza del profeta, però, la negromante (ob) commercia con gli spiriti, estorce oracoli fallaci, idolatra è chi in lei confida, confinandosi negli oscuri regni degli spettri. 

Mistiche poverelle, mistiche regine. Lo spirito le coglie secondo capricciosa danza; invade analfabete e universitarie, pie e prostitute, donne che hanno ‘fatto la vita’ (mogli, madri) e fanciulle che hanno iniziato la sequela da bimbe, misere orfane e ricche di nobili natali. Lo spirito invade secondo le proprie arcane voglie (le doglie di Dio): c’è la mistica che scrive sotto tortura pagine di difforme, polipoide ispirazione; c’è la mistica reticente, che si esprime per briciole verbali; c’è la mistica svenevole, patetica a tratti, e c’è quella che ha il genio della concisione. C’è la mistica beota e quella scaltrita, c’è la sconcia e la diplomatica, c’è l’abietta e la diletta. Ciascuna, comunque, circoncisa dal canone, esclusa dal consesso ‘letterario’. Beate incolte, belve della lingua, autentiche Pizie. 

Lingue degli angeli praticate, da tali donne, fino a sfigurare gli angeli in serpi. 

Il problema, semmai, è che queste mistiche non avevano Delfi né Eleusi né un Mar Rosso o un Noli me tangere: da San Paolo in poi, in sostanza, l’estasi – leggi: “glossolalia”, “lingue degli angeli” – è abolita in virtù dell’edificazione dell’ecclesia. Dunque, ogni ‘rapimento’ estatico è visto come intrusione di demone, balbettio da alienati. Queste donne, negli ustori estremi – l’acclamazione popolare o la pena conventuale, inflitta da inetti superiori –, restano, in sostanza, sole. Il loro farneticare, la loro esigenza a consegnarsi per verba non fonda tiasi, baccanali, un’adunanza di femmine con tamburelli e incanti. L’estasi si fa stasi; palude monastica, spesso. Spesso questa seminagione di scardinati sintagmi non porta a nulla, se non all’annientarsi. Da questa parola/bacio, parola/insulto, parola/sussulto l’uomo resta estraneo – Dio è lì, invece, in perfetta fioritura. 

Dovremmo dirla, questa, scrittura eucaristica, allora. Esperire il ringraziamento come il pane – che le parole, inumidite dalla voce, svaniscano, allora, ora. 

*Il testo è pensato come introduzione al volume “Mistiche” edito da Magog (2025)

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