30 Agosto 2023

“The clear song of a skilled poet”. Omaggio a Seamus Heaney (con libro in allegato)

Si erano conosciuti nel 1972, a Londra, poco dopo la sua fuga dall’Unione Sovietica. A Seamus Heaney piacque subito, gli pareva “una specie di samurai della poesia… l’eroico ragazzaccio che aveva sfidato i sovietici”. Erano molto diversi; di Iosif Brodskij era nota la scaltra sagacia, il cinismo da intellettuale corsaro, “sempre in pericolo, sempre pericoloso”. Negli anni, si dedicarono alcune poesie: Brodskij riandava alle “grida dei gabbiani a Dublino”; in Audenesque, scritta “in memory of Joseph Brodsky”, Heaney ricorda i maestri di entrambi, Auden e Yeats. La poesia più bella per Brodskij, tuttavia, l’ha scritta Derek Walcott, con un distico superbo: “Sono un’aquila che ti riconduce verso la Russia,/ stringo negli artigli la ghianda del tuo cuore” (in Egloghe italiane). Insieme, i tre amici, Walcott, Heaney e Brodskij, firmarono un commosso Homage to Robert Frost. Nobilitati dal Nobel per la letteratura – Brodskij, con feroce precocità, nel 1987, Walcott nel ’92, Heaney nel ’95 – quei tre dimostrano che la poesia è anche questione di amicizia (l’invidia affatica i modesti) e naturalmente di lignaggio del linguaggio.

Nel 1988 Brodskij aveva fatto visita a Heaney, in Irlanda: “la foce del Liffey, forse, ricordava a Iosef le banchine di Pietroburgo”. Di Brodskij, Heaney tradurrà alcune “Poesie di Natale” – che in Italia possiamo leggere nella traduzione di Anna Raffetto, per Adelphi. Alla sua morte, preferì leggere A School of Poetry Closes, la sua traduzione di un poema di Tadhg Ó hUiginn, bardo irlandese vissuto nel XV secolo:

“Questa notte le scuole sono chiuse
i letti resteranno deserti
e chi di noi li ha occupati
piange per la separazione”.

Heaney intendeva il tradurre come un gesto di complicità, un patto, una continuità, il perpetuarsi del carisma poetico. Alcune traduzioni di Seamus Heaney sono tanto appropriate – nel senso di proprie, autorevoli per autorialità – da essere pubblicate in italiano: Beowulf (Fazi, 2002), il libro sesto dell’Eneide (Il Ponte del Sale, 2018), il “suo” Sofocle (Il Convivio, 2022). “Era nato per tradurre”, scrive Marco Sonzogni, custode dell’eredità poetica di Heaney – per Mondadori ha curato il ‘Meridiano’ delle Poesie – in The Translations of Seamus Heaney, tomo immane – quasi settecento pagine, £ 35 – con cui la Faber, la mitica casa inglese diretta da T.S. Eliot, onora i dieci anni dalla morte del grande poeta irlandese. Tradurre come adempiere un lascito, perpetuare un dialogo con i lari, coltivare una genealogia lirica. Così, Heaney traduce Sofocle e Rilke, Virgilio e i bardi irlandesi, Giovanni della Croce, Orazio – amato anche dall’amico Brodskij – e Puškin, Baudelaire e Ana Blandiana. Un rapporto privilegiato è tessuto con l’Italia: Heaney traduce (o meglio, trapianta nella sua personale ricerca poetica) Giovanni Pascoli, Mario Luzi, Dante (“In the middle of the journey of our life/ I found myself astray in a dark wood/ where the straight road had been lost sight of”). Tradurre, così, è consacrazione; poesia come fonte battesimale e passaggio della pietra focaia. Finché un poeta è tradotto da un altro poeta, il mondo continua a danzare.

Del libro si parla con stupore nel mondo anglofono; Marco Sonzogni insegna alla University of Wellington, in Nuova Zelanda. Lo abbiamo contattato.

Un tomo che raccoglie quasi 700 pagine tra traduzioni e commento, entro un arco traduttivo che va da Orazio a Kavafis. Mi viene da dire: dimmi cosa traduci e ti dirò che poeta sei… Ergo: ti chiedo qualcosa sulla necessità per il poeta di tradurre. 

Io credo che qualsiasi scrittore che viva seriamente la propria vocazione alla scrittura e voglia migliorarsi debba presto o tardi confrontarsi con la traduzione – o perché traduce, o perché è tradotto o perché viene a conoscere entrambe le esperienze. SH non si è accostato alla traduzione seguendo motivazioni teoriche ma l’ha vissuta e praticata – inevitabilmente, mi viene da dire, visto il suo profilo linguistico, culturale e sociale di norilandese cattolico – come un’altra e altrattanto imporante dimensione della scrittura, arrivo a dire della vita. Riflettendo sul suo operato ci ha lasciato considerazioni che hanno ovviamente anche una valenza teorica per chi si interessa di traduttologia, ma è tutto un altro discorso che, per quanto mi riguarda, può generare qualche articolo ma lascia il tempo che trova. Le traduzioni di SH vanno lette come opere orginali e il volume che ho curato cerca di dimostrarlo, con umiltà ma con fermezza, e soprattutto dando spazio alla scrittura e alle considerazioni di SH.

Seamus Heaney e il tradurre. Come inizia questa ‘opera nell’opera’, con quali intenti, con quali autori?

SH inizia a tradurre a scuola – versioni dal latino di Livio e di Virgilio, e qualche testo canonico dal gaelico irlandese – e continua all’università – dove si apre alla poesia francese (e, più in generale, alla poesia europea) disponibile in traduzione nelle collane Penguin. All’università legge anche Dante, che inizialmente però abbandona. Del resto gaelico, latino e francese sono le lingue che studia e che rimangono quindi vive nel tempo proprio perché studiate – non a caso traduce ancora da queste tre lingue negli ultimi mesi di vita. L’anglosassone, studiato in università, è l’altra grande potenza linguistica e culturale che lo forma – elemento fondante, per altro, della sua matrice norirlandese oltre che dei suoi studi, basati sul modello britannico, e dei suoi interessi, da subito profondamente europei e istintivamente globali.

Dagli antichi – e meno antichi – poeti d’Irlanda a Rainer Maria Rilke e Puskin: esiste un filo rosso, un principio, una empatia tra i poeti tradotti da Heaney? 

In tanti hanno cercato di vederlo questo filo rosso, alcuni addirittura hanno imposto il loro. SH ha sempre tradotto nel segno di una affinità elettiva con la poetica dell’autore tradotto per sua scelta o per invito. Infatti, ha detto di no, tante volte, quando non sentiva di avere una ‘way in’ – una via di accesso, come mi ha confidato in più di una occasione.

Faccio un gioco di ‘insiemi’: Santa Brigida, Giovanni della Croce. Mi viene da chiederti qualcosa sul ‘senso del sacro’ in Heaney. 

Le lingue – l’inglese e il latino – delle scritture e dei riti sacri millenari del cattolicesimo (per altro emersi dal paganesimo che ha avuto, e ancora ha, una forte presenza nell’identità e nelle manifestazioni artistiche delle culture celtiche) lo ha sempre affascinato e ispirato, anche quando nel tempo la pratica della fede è andata scemando per tante ragioni. Un late poem come “Miracle” (Human Chain, 2010) – versi che SH a definito post-traumatic – lo testimonia. Ma ci sono tanti altri testi, tra cui anche l’unica traduzione, una delle prime, rimasta inedita fino alla pubblicazione del volume di Faber: “Prayer”, un sonetto spirituale di una religiosa francese che per tema timor mortis – un timore che SH fa svanire con l’ormai famoso noli timere inviato alla moglie pochi istanti prima che la sua aorta cedesse a pochi metri dalla sala operatoria…

Orazio, Ovidio, Sofocle. Ti chiedo, ovviamente, qualcosa sul rapporto tra Heaney e gli antichi, i ‘classici’.

Sono exempla, sono modelli. Anche in questo caso tanti hanno scritto tanto, spesso però soffocando la scrittura di SH con indagini comparatische un po’ fini a se stesse e dettate più dal desiderio, a volte sfuocato e persino fuorviante, di mostrare le proprie conoscenze piuttosto che l’originalità di SH poeta traduttore – forse il più grande poeta traduttore del nostro tempo, certamente quello che ci ha lasciato il quaderno di traduzioni più imponente. SH ha trovato negli autori classici – classici non solo nel senso dell’antichità latina e greca:  penso anche a classici moderni come Yeats e Joyce nella sua Irlanda, o come Baudelaire, Pascoli, Miłosz e Brodsky per arrivare più vicini a noi (e sono tentato, ma tentato assai, di citare anche un classico moderno della musica: Eminem) – un messaggio di vita e di scrittura sempre valido che gli ha permesso di commentare i fatti del mondo, vicini o lontani che fossero, senza compromettere la propria integrità di uomo, di cittadino del mondo, e di scrittore.

Dante, Pascoli, Mario Luzi. Ti chiedo del legame tra Heaney e l’Italia (e in particolare: come suona la ‘sua’ Commedia?).

La prima volta che SH legge Dante, lo abbandona quasi subito. Per riscoprirlo quando iniziano gli scioperi della fame dei ‘paramilitari’ repubblicani incarcerati nelle prigioni britanniche negli anni più bui dei Troubles. La Firenze di Dante come la sua Belfast – scrive in un foglietto conservato ora alla National Library di Dublino – la storia ‘lontana’ di Ugolino – che paga con i figli il tradimento politico – diventa particolarmente ‘vicina’ e porta a SH un esempio linguisitco, letterario e anche etico che non lo abbandonerà più. Ma la sua Commedia – una manciata di canti all’inizio e alla fine dell’Inferno e l’ultimo canto del Paradiso – è da leggere come testo originale per apprezzarne davvero la bellezza, la rilevanza e l’efficacia. Lo stesso vale per Pascoli e Luzi: poeti che entrano nell’inglese di SH su invito di altri ma che attecchiscono nel suo immaginario in virtù di consonanze umane e letterarie da un certo punto di vista tanto più profonde e fertili in quanto giunte, per così dire, a sorpresa. Detto questo, dietro a Pascoli e Luzi c’è la grande ombra di W.B. Yeats, sempre presente e sempre influente, ed è in hoc signo che SH iscrive queste traduzioni da una lingua e da una letteratura non necessariamente e non immediamente prossime al suo sentire. Più vicine al suo sentire sono invece la decenza quotidiana di Eugenio Montale e la testimonianzia post-traumatica di Primo Levi che trovano nella scrittura e più in generale nell’arte una valvola di sfogo per alleggerire il male di vivere che serpeggia nella nostra era.

Segnalo anche una sintonia con alcuni poeti rumeni: come mai?

SH sentiva una specie di affinità di coscienza con l’Europa dell’Est – penso alla Polonia di Miłosz, Herbert e Szymborska e alla Russia di Puškin (tradotto su invito) e soprattutto di Mandel’štam (lettura fondamentale) e di Brodsky (tradotto per amicizia) oltre alla Romania di Sorescu e Blandiana (traduzioni commissionate, queste dalla lingua rumena, e legate a eventi culturali nordirlandesi) – oltre che con altri paesi nel mondo la cui storia è segnata dalla sofferenza e violenza che scaturisco inuguaglianze e ingiustizie. Credo che la matrice minoritaria, per così dire, sottesa alla poetica di autori dell’est europeo che non si allineano se non addirittura che contrastano apertamente le autorità politiche e le strutture sociali del loro paese d’origine abbia creato le condizioni per una fratellanza culturale e letteraria e in alcuni casi anche umana – penso a Miłosz e Brodsky, insigniti come SH del Premio Nobel della letteratura, e figure di grande presenza e influenza nella vita e nella scrittura di SH.

Chiedo allo studioso e traduttore: qual è la traduzione di Heaney che più ti ha avvinto, che ti sembra particolarmente luminoso?

Continuo a cambiare idea… anche perché ho 101 traduzioni da cui scegliere. Recentemente però la mia preferenza è caduta sulla glossa in gaelico che un amanuense medioevale irlandese – tornato forse un po’ alticcio dalla pausa pranzo – lascia in margine alla copia delle Isttituzioni di grammatica di Prisciano sui cui sta riverso per ore. SH la lesse nel 2008 all’Università di Boston durante la prestigiosa “Robert Lowell Memorial Lecture”, dedicata a uno dei poeti e poeti-traduttori più originali del nostro tempo – autore che SH aveva letto, apprezzato e frequentato con interesse a amicizia sinceri:

Pent under high tree canopy,                                         
A blackbird, listen, sings for me,
Above my little book’s ruled quires
I hear the wild birds jubilant.
 
From a shrub covert, shadow-mantled
A cuckoo’s clear sing-song delights me.
O at the last, the Lord protect me!
How well I write beneath the wood.

Leggo, studio, truduco e commento la poesia di SH da più di trentì’anni ormai e in questi versi me lo ritrovo davanti come l’ultima volta che l’ho visto – un uomo interamente dedicato alla scrittura.

*In forma ridotta, parte di questa intervista è stata pubblicata su “il Giornale”

Per i dieci anni dalla morte di Seamus Heaney, Marco Sonzogni ha realizzato con le nostre edizioni un libro originale, “The clear song of a skilled poet. Omaggio a Seamus Heaney”. Il testo, di cui è possibile scaricare il pdf gratuito qui, raduna 101 parole-chiave per penetrare nel mondo linguistico di SH e nel genio della traduzione e un ricordo lirico – una “Veglia” – di Sonzogni sul corpo poetico di Heaney. Buona lettura.

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