(Oreno, Vimercate, Fiumelatte, sul fiume Adda, Arlate e Civate)
Scrive Michele Mauri da Vimercate nel suo romanzo Salaì che nella località rurale di Oreno ai tempi in cui Leonardo da Vinci creava tra Milano e la Brianza “il buio metteva paura. L’oscurità evocava il regno dei morti, le tenebre quello del demonio. Nessuno si addormentava senza recitare una prece, nemmeno chi aveva proferito bestemmie tutto il giorno per protestare contro la sorte avversa”…
Un mondo della bassa brianzola lontano da quello d’oggi, con le sue cascine lottizzate e in cui di notte le impressioni paniche sono state rimpiazzate quelle della labranchiana “estasi del pecoreccio” e le luci delle mammoniche Torri Bianche di Agrate che esprimono sì un che di geograficamente definito, ma più che altro uno stato dello spirito, mentale, spirituale, estetico, uno stile che per lo scrittore di Pantigliate è un’“espressione globale”.
Ma a poche centinaia di metri dalle Torri ci sono anche le tracce della nobile vita del passato: la tenuta dei Borromeo, con le scene di caccia anche agli orsi, tanto amati dal duca vimercatese, poi senatore, Gian Giacomo Gallarati Scotti cui lo stesso Mauri ha scritto nel suo Trittico vimercatese e che a sua volta a quelle bestie silvestri dedicò una trilogia di saggi. E sempre a poche centinaia di metri ci sono anche le tracce di una vita rurale ancora presente: i campi di patate bianche dette di Oreno ma in realtà olandesi, introdotte in Brianza dalle Americhe a metà Ottocento da un abate, Antonio Müller, anche se pare che a Lazzate le avesse già impiantate nel proprio orto, nel 1777, Alessandro Volta, che v’inventò la pila.
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Brianza terra d’elettricità, infatti, e siccome terra d’acque, ecco quella della meravigliosa centrale idroelettrica Esterle, in località Porto d’Adda, a cinquecento metri dalla già esistente Bertini, rispetto a questa tre volte più potente. Costruita agli inizi del Novecento è un gioiello d’architettura industriale, ricca di decorazioni come motivi geometrici e floreali, colonne con capitelli, vetrate goticheggianti, gronde di ferro battuto, splendidi lampioni e pavimenti. Come la centrale Semenza, in quel di Robbiate, eretta poco dopo per sostituire l’antica Bertini, sita nella stessa località sopra l’alzaia del fiume, e risalente a fine Ottocento, una delle più antiche d’Europa, con una diga, a Paderno. Ai tempi le sue turbine erano seconde quanto a potenza solo a quelle delle cascate del Niagara, ma la sua origine è assai meno moderna e ha radici nei progetti leonardeschi di dighe, chiuse e canali lungo l’Adda, vecchi di secoli.
Altra cascata ma senza bisogno di diga. Altre tracce lasciate dal genio vinciano. Oltre Lecco, nel piccolo borgo lacustre di Fiumelatte, frazione di Varenna, si trova uno dei fiumi più brevi del mondo. 250 metri. I locali dicono il più corto ma mentono. A Cassone, comune di Malcesine, Verona, per esempio, c’è l’Aril, o Ri, un immissario del lago di Garda, di 175 metri. Tuttavia il Ri non è altrettanto speciale.
Perché il Fiumelatte, che nasce nelle Grigne, scroscia sì spumeggiante, da cui il suo candore latteo, ai piedi del monte Fopp, per gettarsi subito nel lago di Lecco, ma lo fa con regolare intermittenza dovuta a formazioni carsiche, sempre tra il venticinque marzo, l’Annunciazione, giorno della festa della località, e il sette ottobre, giorno della Madonna del Rosario, la patrona di Varenna, ragion per cui è detto anche il fiume delle due Madonne.
Già in passato ne parlò lo storico comasco Plinio il Vecchio. E poi il poeta francese Paul Valéry nei Voyages historiques. E naturalmente Leonardo che nel periodo brianzolo annotò: “È il Fiumelaccio, il quale cade da alto più che braccia 100 dalla vena donde nasce, a piombo sul lago, con inistimabile strepitio e romore.”
In tale occasione i fiumelattesi fanno capolino in strada per poter dire infine che el fium l’è ruàa e attendere la discesa delle acque facendo finta di nulla, con aria falsa indifferente tipica dei brianzoli, e controllare così che tutto vada come deve e si possa fare un po’ di moderatissima festa, rovinata nel 2001 da un evento mai accaduto in precedenza. Quell’anno, infatti, il torrente non ha mai cessato di scorrere.
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Ma un simile candido zampillo latte, in Brianza, si collega a un altro antico culto della Vergine, quello della “Madonna del Latte” oggi relegato alle icone votive esposte ormai in poche chiese, e per esempio quella della Beata Vergine di San Lorenzo a Guanzate, in provincia di Como, e ahinoi ad ancor meno celebrazioni.
Forse vittima nei secoli di certo bacchettonismo sancarlino per via dei pur misericordiosi, cattolicissimi seni sfacciatamente esibiti mentre in trono, discinta, allatta Gesù Bambino, questo tema iconografico fu anche di Leonardo con la famosa Madonna Litta, e di uno dei suoi grandi discepoli, il brianzolo Marco d’Oggiono.
In alcuni casi furono cancellati o modificati gli affreschi, ritenuti troppo strani e d’impronta pagana, ma c’è anche chi ha giustamente provveduto a riportare le antiche icone alla forma originale.
Non celato invece si trova, a Imbersago, un altro colpo di genio di Leonardo in Brianza, il traghetto a corde che dal 1515 collega il paese a Villa d’Adda, mosso solamente dalla forza delle acque.
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A proposito delle relazioni tra Toscana e Brianza, nelle quali fiorì il genio di Leonardo e Manzoni, e che certo andrebbero un po’ riviste, Luigi Santucci, sempre imprescindibile fonte, scrive che “l’intonazione lombarda che c’è nel romanzo, non sarebbe restrittivo scoprirla addirittura brianzola. La costante brianzola la c’è, eccome: e la si ritrova in quel dialogato chiaro, preciso, sostenuto dal sale di una piccola e sorniona ironia. Così c’insegna il Gianoli. E son d’accordo con lui che il lodato ‘realismo ma non troppo’ de I promessi sposi il Manzoni lo imparò in queste ville e borgate”. Allo stesso modo, al di là delle mitologie toscanofile che imperano in Italia e non solo, la verità è che la lingua italiana moderna, seppur sciacquata in Arno, è stata forgiata presso l’unico fiume con nome femminile, l’Adda, che nel suo Viaggio in Italia Guido Piovene, giustamente, scrive che, “tortuoso, scavato fra baratri, probabilmente ha suggerito a Leonardo da Vinci i suoi paesaggi meteorici”. Brianza quindi non bucolica bensì misteriosa e conturbante.
“Alzar la ‘camiscia’ alla Brianza per scoprir che cosa ci ha sotto! Smascherarne, cioè, la falsa pudicizia, svelarne insomma l’ambiguità. Giacché proprio di questo mi pare si tratti: d’una virtuosa, costumata, tutta femminea ambiguità” – questo che è ciò vorrebbe fare Santucci con la sua amata Brianza – Santucci che scrive di una leonardesca enigmaticità della Brianza – di un Leonardo “sommo principe dell’ambiguo e dell’enigmatico” – “che di qui ci passò, sappiamo, ed ebbe a incantarsi […]. Forse è vero allora che proprio qui, ospite di Ludovico il moro al castello di Trezzo d’Adda, lui avrebbe cominciato a dipingere il sibillino sorriso di Monna Lisa del Giocondo”. Sullo sfondo del capolavoro si potrà scorgere quella veduta: “Scruto il capolavoro, ne spio con batticuore lo sfondo: quei monticini cretosi, la serpeggiante strada e il fiume a cascatelle (l’Adda?) attraversato dal ponte ad archi dietro le spalle della Bella; più oltre quelle frastagliature verdeggianti”. E pertanto: “eccola, forse, la Brianza, incarnata, personificata”. Ma è vero?
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Possibilissimo, almeno ai quei tempi. Possibilissimo, poi, se si pensa alla Vergine delle Rocce, con la visione del greto del fiume nel suo punto più tumultuoso e nelle sue anse più gorgoglianti, come descritto da Piovene e poco lontano da dove fu realizzato il sistema di dighe, chiuse e canali progettato dal genio vinciano.
Probabilissimo, almeno ai quei tempi. Probabilissimo, poi, anche che Leonardo non solo abbia studiato il De Divina Proportione del matematico aretino Luca Pacioli, ma che la sezione aurea che si ritrova nel suo celeberrimo disegno della figura umana, l’Uomo Vitruviano, l’abbia vista in una chiesa sita a poche decine di metri dal fiume dal nome femminile, il romanico dedicato ai Santi Gottardo e Colombano ad Arlate, frazione di Calco.
Probabilissimo, per finire, come gli esperti Dario Monti e Rosalba Franchi hanno recentemente ipotizzato in uno studio sulle linee, i volumi, la luce, lo sfondo delle finestre del Cenacolo di Santa Maria delle Grazie, che per il celeberrimo affresco milanese l’artista toscano abbia tratto chiara ispirazione dalla struttura del refettorio di un monastero della Brianza, quello di San Calogero nel comune di Civate.
Marco Settimini
(continua)