21 Novembre 2019

“Ti promettiamo, mia cara, che un giorno, un giorno, sarai tutta rifatta, più bella e le tue lacrime non avranno più motivo di inondare calli e chiese perché sarai amata per come sei, così sfuggente, tutta acqua”: elegia sopra il corpo ferito di Venezia

Eccoci giunti allo scioglimento dei ghiacci del nostro cuore, quando ad ammalarsi è una persona cara. Come si trema di fronte alla possibile perdita di una cosa preziosa. A nulla vale ora il verso di Kahlil Gibran: “L’amore ignora la sua profondità se non nell’ora del distacco”, quando a parlare adesso è solo il presente, la silenziosa realtà che a goccia a goccia si è fatta strada. Di fronte a Venezia mi viene in mente la canzone di Tenco:

Vedrai, vedrai, vedrai che cambierà
Forse non sarà domani, ma un bel giorno

cambierà

Ti promettiamo mia cara, che un giorno, un giorno, sarai tutta rifatta, più bella, con le gonne larghe che conterranno i tuoi fianchi sinuosi e le tue lacrime non avranno più motivo di inondare calli e chiese perché sarai amata per come sei, così sfuggente, tutta acqua.

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Che non si cada nel tranello che tutto si aggiusta con un po’ di buona volontà e meno corruzione. Certo, evviva le buone azioni, ma tutto comunque cambia. E cosa ci rimarrà quando tutto sarà sommerso, come davvero sta per accadere? Che dobbiamo fare? Noi così impotenti? Persino il vento, che non ha piedi, occhi né bocca, con quella sua indomabile forza, un misto di amore e rabbia, può cambiare le sorti del paesaggio. E noi? Noi non siamo il vento. Noi vogliamo solo essere felici. Ed eccola qui la felicità:

“È una questione di molecole, e la felicità, suppongo, scatta nel momento in cui captiamo allo stato libero gli elementi che compongono il nostro essere. E là, allora, ce n’era un bel numero, in uno stato di libertà totale […]”.  Iosif Brodskij qui sta parlando del suo incontro con Venezia, nel suo libricino “Fondamenta degli Incurabili”.

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Prima ancora di difenderla, bisogna pensare che ora la Regina è ferita a morte. Così come un amico risolleverebbe il morale all’amico triste, così cercherò di fare io con Venezia, con i miei strumenti, con la ferma intenzione di risollevarle lo spirito che, bene o male, è l’unica cosa che dura. E consentitemi di farlo chiamando in causa il poeta Iosif Brodskij, che più di qualsiasi altro, non solo ha visto, ma ha saputo persino descrivere questo spirito. Anzi, per l’esattezza ha visto e descritto lo “spirito di Dio” personificato nel pizzo verticale delle facciate veneziane.

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Per prima cosa l’occhio, dunque. Perché si ha paura di perdere Venezia? Perché è bella. L’occhio è ovviamente più eloquente del suo contenuto. Perché si ha paura di perdere la bellezza? Perché è l’unico strumento di sollievo quando tutto il resto è ostile, è il riposo dell’occhio e supera di gran lunga l’etica. Quando non si scorge la bellezza, o si cerca di ricrearla (ma è impossibile farlo alla maniera dell’occhio) o si cerca di cogliere il lato buono della bruttezza. Con Venezia non c’è bisogno di fare né l’una né l’altra cosa. Non è solo un decantare la sua bellezza ma è anche una specie di inno alla sua Musica. E l’acqua è il migliore elemento di questa città, anche e soprattutto quando si fa “granda”, perché l’acqua è gemella della Musica. Sempre da “Fondamenta degli Incurabili”: “[Venezia] Fa pensare davvero alla carta da musica, ai fogli di una musica eseguita in continuazione: le partiture si avvicendano come ondate di marea, le barre del pentagramma sono i canali con gli innumerevoli “legati” dei ponti, delle lunghe finestre.[…]. Sì, tutta la città somiglia a un’immensa orchestra, specialmente di notte, con i leggii appena illuminati dei palazzi, con un coro instancabile di onde, col falsetto di una stella nel cielo invernale”.

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Chiunque ha delle mire sulla bellezza. Quante parole sono state spese sull’urgenza di ridare vita alla città, di renderla museo, di ampliare i traffici della laguna, ecc. Gli stessi discorsi in cui si parlava di ecologia, di salvaguardia e conservazione. Tutto ciò ha sapore solo di stupro. Ridarle vita, restaurarla? Difenderla semmai!

Non mi resta che tornare alla citazione fatta all’inizio: “L’amore ignora la sua profondità se non nell’ora del distacco”. È sempre così: ora più che mai sentiamo la profondità del nostro amore per questa città.

Brodskij scrive che l’amore arriva con la velocità della luce e se ne va con la velocità del suono. Questa riduzione di velocità, da una misura superiore a una misura inferiore, è ciò che ci fa soffrire. Stiamo assistendo forse a questo: a un amore che ci sta lasciando.

Isabella Serra

Gruppo MAGOG