14 Ottobre 2019

“I romanzieri sono alla disperata ricerca di catastrofi”: Mario Vargas Llosa parla del suo ultimo romanzo (cioè, di politica)

Mario Vargas Llosa ha ottenuto il Nobel per la letteratura nel 2010, è nato nel 1936 da famiglia benestante, è di Arequipa, Perù; candidato presidente del proprio Paese nel 1990, per il centro-destra, fu sconfitto dal terribile Fujimori, riparò in Spagna – nel 2011 è fatto marchese da re Juan Carlos. È tra i grandi narratori viventi, tra i più grandi del Latinoamerica, in Italia gode di tre lauree in onore, a Firenze, Torino, Palermo. Quest’anno Einaudi, che ne edita l’opera – raccolta, però, nei due ‘Meridiani’ Mondadori dei “Romanzi” curati da Bruno Arpaia nel 2017 – ha pubblicato un suo prontuario politico, “Il richiamo della tribù”. Presto – è scontato – tradurrà l’ultimissimo romanzo, appena edito da Alfaguara, “Tiempos recios”, cioè “Tempi difficili”, tempi duri. Il romanzo si focalizza, come emblema delle operazioni degli Stati Uniti durante la Guerra fredda, sottolineando il prevalere delle necessità criminali di pochi sugli interessi di tutti, sul golpe militare in Guatemala del 1954. Il governo di Jacobo Arbenz, infatti, democraticamente eletto, viene rovesciato da un colpo di stato ordito dalla Cia. Come mai? Si accusava il governo di Arbenz – attraverso una campagna mediatica subdolamente imbastita – di essere un satellite sovietico. In verità, le decisioni di Arbenz contrastavano con gli interessi della United Fruit Company, società americana produttrice di frutta – col brand Chiquita – con vaste piantagioni in Guatemala. Azionisti della UFC erano John Foster Dulles, allora Segretario di Stato americano, e Allen Welsh Dulles, il fratello, direttore della Cia. Arbenz fu sostituito da Carlos Alberto Armas, in seguito a un colpo di Stato, che divenne presidente del Guatemala, per poi essere assassinato, in circostanze poco chiare, nel 1957. Vargas Llosa fa di quell’episodio il cardine per un ragionamento, più che altro, sulla manipolazione dei documenti, sul tradimento, sul delirio del potere, in una dinamica a lui consueta: usare il romanzo come mezzo di ragionamento politico. In una lunga intervista rilasciata a “El Pais”, il grande scrittore racconta il suo libro e il mondo presente. Dall’intervista, realizzata da Jesús Ceberio, sotto il titolo esemplare, “En nombre de la autedefensa se destruye la democracia”, abbiamo ritagliato gli estratti più potenti. (d.b.)

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Una delle storie più violente accadute in America Latina. Questa è una delle storie più violente accadute in America Latina, in un paese estremamente bello. Il romanzo comincia nel momento di grande splendore del Guatemala, che coincide con le riforme tentate da Jacobo Arbenz Guzmán. Ero all’università e ricordo che guardavamo con molto interesse ciò che accadeva in Guatemala, perché poteva essere un prototipo per il resto del mondo latinoamericano. La caduta e l’esilio di Arbenz furono motivo di grande frustrazione.

Rafael Trujillo, la Cia, il nuovo dittatore. Il romanzo nasce dalla conversazione che ho avuto, circa tre anni fa, nella Repubblica Dominicana, con un amico, Tony Raful, giornalista, storico e poeta. Mi disse, “Mario, ho una storia per te, che dovrai scrivere”. Gli dissi, “Non scriverò mai una storia per te!”. Poi mi parlò del coinvolgimento di Rafael Trujillo prima nella rivolta di Castillo Armas, poi nella sua uccisione. Lui ha scritto un libro estremamente interessante, assai documentato, su questo coinvolgimento del ‘trujillismo’ in America Latina promosso dalla Cia. Trujillo era lo strumento usato dalla Cia per fornire armi, denaro e soldati a Castillo Armas. In seguito, i due divennero nemici mortali. Sono state rese pubbliche alcune lettere che l’ambasciatore del Guatemala invia a Trujillo, dicendogli che Castillo Armas parlava male della sua famiglia. Questo renderà Trujillo una bestia feroce. Quindi invia in Guatemala il suo assassino preferito, Johnny Abbes García. La notte dell’omicidio, Abbes García fugge dal Guatemala con l’amante di Castillo Armas. È stato lui a uccidere Castillo Armas? Qual è il reale coinvolgimento di Trujillo? Sono solo domande. Che mi hanno affascinato.

Il parente di Freud che ordì il colpo di Stato. Arbenz avrebbe voluto un Guatemala moderno, voleva creare una democrazia capitalista. Quando distribuisce la terra a mezzo milione di contadini guatemaltechi lo fa cercando di farli diventare imprenditori privati, di modo che i campi non vengano di nuovo decapitalizzati dai latifondisti. Questo governo democratico, nato grazie a libere elezioni, è stato rovesciato da una cospirazione che lo accusava di essere comunista: pare assurdo. Edward Bernays, il pubblicitario statunitense di origine austriaca, parente di Freud, aveva tra i principali clienti la United Fruit Company, che possedeva vaste piantagioni in Guatemala. Avendo rapporti molto stretti con giornalisti del “New York Times”, del “Washington Post”, del “Time Magazine”, li porta in Guatemala, offrendo loro una documentazione doc. È così che nasce la mistificazione del Guatemala come satellite sovietico. Eppure, non c’era un solo cittadino sovietico, perché la Costituzione data da Arbenz proibiva le relazioni diplomatiche tra Guatemala e Unione Sovietica.

Non è facile orientarsi tra verità e menzogna. Oggi è molto difficile riconoscere la verità, perché l’abbondanza crea confusione. Non è facile orientarsi tra verità e menzogna. Ma una democrazia che consente la diversità giornalistica è meglio delle notizie false diffuse da una dittatura, dove c’è solo una voce, quella del sovrano.

Brexit, ovvero: il populismo britannico. Con mia grande sorpresa, credevo che la democrazia britannica fosse vaccinata contro il populismo. La Brexit dimostra quanto mi sbagliavo.

Il comunismo è scomparso. Per fortuna. Il problema più grande che ha avuto la democrazia è stato il comunismo, che ha sedotto milioni di giovani con l’idea del paradiso in terra. Il comunismo è scomparso, non esiste più. Chi può credere, sinceramente, che la Corea del Nord, il Venezuela e Cuba possano essere dei modelli per il Terzo Mondo?

La Cina è severa e centralista. Ma la classe media si ribellerà. La Cina è un paese capitalista e autoritario. Ha bisogno della libertà, della libera concorrenza. Senza questi fattori, non è possibile prosperare. Al momento, la Cina riesce a mantenere il suo tasso di sviluppo grazie a un regime severo e centralista. Ma verrà un tempo in cui la borghesia, la nuova classe media, chiederà più libertà. Sta accadendo a Hong Kong.

Tutto va male (ma non siamo mai stati meglio). Tutto va male, ma non siamo mai stati meglio di ora. Il problema del nostro tempo è il terrorismo, ma un gruppo di fanatici non è una vera minaccia allo sviluppo dell’umanità. Più grave del terrorismo islamico è la crescita del nazionalismo, che pensavamo estinta, in Europa, dopo le due catastrofi mondiali. È il grido della tribù, l’idea che in passato sia esistita una società omogenea, in cui tutti si capivano, un vero errore, una follia. La paranoia che oggi esiste nei riguardi degli immigrati è razzismo. Ciò che prima era disapprovato, ora smette di esserlo. I politici possono parlare dell’immigrazione in toni razzisti e prevenuti. È un problema molto serio per la democrazia. Eppure, nonostante le barbarie di Trump, gli Stati Uniti non compiono gesti irresponsabili. Anche Cina e Russia sono piuttosto prudenti quando si tratta di passare dalle parole ai fatti.

La prosperità richiede la globalizzazione. La globalizzazione è una realtà inattaccabile, a meno che un paese non voglia condannarsi all’assoluto anacronismo. Questo può accadere in un piccolo paese come il Buthan, che ha deciso di vivere nel Medio Evo, ma non può accadere nel resto del mondo. La prosperità chiede che i confini siano dissolti. Non possiamo essere pessimisti. D’altronde, chi immaginava che il comunismo sarebbe scomparso? Chi avrebbe mai immaginato che gente come Trump e Boris Johnson sarebbe salita al potere? Nello stesso tempo, non ci sono mai stati così tanti paesi democratici in America Latina. Democrazie imperfette e molto corrotte, senza dubbio, ma preferibili alla dittatura militare che abbiamo avuto da un confine all’altro.

Europa: il più ambizioso dei progetti occidentali, far convivere i diversi. Penso a Ungheria, Polonia… pare che l’occupazione sovietica abbia suscitato in loro un appetito di libertà velocemente evoluto in nazionalismo estremo, che pratica una politica di anti immigrazione assolutamente razzista. È un grosso problema. Ma l’Europa, il più ambizioso dei progetti occidentali, che vuole integrare paesi di lingue, convinzioni e costumi diversi in una unità economica, sociale e politica, prevarrà.

Se non ci sono i cattivi, finisce la letteratura. I cattivi hanno un fascino speciale per i romanzieri. Se i cattivi fossero eliminati, metà della letteratura europea e metà di quella universale sarebbe spazzata via. I cattivi sono più interessanti dei buoni, in un contesto letterario. I paesi che vanno bene, che progrediscono, dove c’è giustizia sociale, producono scarsa letteratura. I romanzieri svizzeri sono alla disperata ricerca di catastrofi.

Mario Vargas Llosa

Gruppo MAGOG