Se di Albert Camus si sa tutto o quasi – ci mancherebbe – di René Char – di cui si dovrebbe sapere tutto – si sa troppo poco. I poeti degni di questo nome portano i suoi versi tatuati nel cervello, ci mancherebbe, se non altro perché Char ha avuto, in Italia, un traduttore eccezionale, Vittorio Sereni. Eppure. Al di là della ristampa einaudiana di Fogli d’Hypnos, dell’antico talento di Donzelli (Due rive ci vogliono, 2010), c’è quasi nulla in libreria. Se lo si trova, Char, in libreria. Scandaloso.
René Char è tra i grandi poeti europei del Novecento, di quelli che si contano in una mano (facciamo la conta: Eliot, Rilke, Pasternak, Pound, Ritsos…). Ora. René Char e Albert Camus erano amici. Sodali, direi. Camus restò ipnotizzato da Fogli d’Hypnos, ipnotica fonte de L’uomo in rivolta; Char fu sedotto da Caligola di Camus. Si sono incontrati nel 1945. Si sono scritti fino alla morte di Camus, nel 1960. Un volume Gallimard, pubblicato nel 2007, ne raccoglie la Correspondance. Roba da pubblicare seduta stante in Italia, se i nostri editori avessero testa e cuore. Facciamo noi, intanto, con un brandello da una lettera folgorante del 1951.
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Parigi, 26 ottobre 1951
Sento troppo, troppo, sfortunatamente. Da quando l’ho espulso, questo libro [L’uomo in rivolta, pubblicato da Gallimard nel 1951 e inviato a René Char, ndr] mi ha lasciato vuoto, mi ha gettato in una curiosa, arieggiata depressione. E c’è la solitudine… Ma non posso insegnarti ciò che già conosci. Ho pensato alla nostra ultima conversazione, a te, al mio desiderio di aiutarti. Anche tu vuoi sollevare il mondo. Semplicemente, cerchi, cerchiamo, il punto d’appoggio. Sai, per lo meno, di non essere solo in questa ricerca. Ciò che non puoi sapere, è quanto sei necessario a chi ti ama, a chi senza di te non potrebbe fare grandi cose. Parlo per me, che non mi rassegno a vedere che la vita non ha senso, che non ha sangue. A dire il vero, il solo viso che abbia conosciuto è quello del sofferente. Parlano del male di vivere. Ma non è questo, è il dolore della non-vita che va detto. E come è possibile vivere in un mondo di ombre? Senza di te, senza altri due o tre che stimo e che amo, le cose sarebbero prive di spessore. Forse non te l’ho scritto abbastanza, ma quando mi sento impotente le parole mi mancano. Ci sono così poche occasioni per la vera amicizia, oggi; gli uomini sono troppo modesti. E ciascuno pensa che l’altro sia più forte di quello che è, ma la nostra forza è altrove, è nella fedeltà. Così, ciò che ci manca è quello che manca ai miei amici. Per questo, mio caro René, non devi dubitare di te, né della tua opera incomparabile: dubitare di tutto e di noi ci eleva. Questa lotta che non finisce mai, questo equilibrio esigente (fino al punto da rendermi esausto!) ci unisce un po’, oggi. La cosa peggiore è morire soli, nel disprezzo. E tutto ciò che sei e che fai ti pone al di là del disprezzo.
In ogni caso, torna presto. Invidio l’autunno di Lagnes e la Sorgue, e la terra degli Atridi. L’inverno è già qui e il cielo di Parigi ha già il cancro nella gola. Fai provvista del sole e vieni a spartirlo con noi.
Con molto affetto, il tuo,
Albert Camus