25 Marzo 2023

“Paura dell’amore assoluto”. Sull’ultimo romanzo di Paolo Scardanelli

“La paura che qualcosa più grande di te ti inghiotta, e che tu possa sprofondare in essa, trovarti senza appigli, sopraffatto, senza difese, qualcosa che stravolge per sempre la tua vita e alla quale non c’è rimedio. Paura dell’amore, quello vero, assoluto, quello che brucia e ti costringe a bruciare sino a che sei cenere.”

Anatomia di un disincanto. Siamo in una frenetica Milano degli anni ’80 e Paolo, rimasto senza Andrea, amico fraterno, compagno nel sogno di realizzare l’uomo nuovo e cambiare la società, cerca la sua strada nel mondo. L’accordo, i vivi e i morti di Paolo Scardanelli, edito da Carbonio editore – arriva dopo l’esordio Era l’estate del 1979 – è un romanzo filosofico che mescolando concetto, musica e poesia, mette il dito nella piaga della stagione del risveglio dalle proprie giovanili menzogne, a cercare una possibile riconciliazione con la realtà.

Paolo, così come lo scomparso Andrea, volontariamente accomiatatosi dal suo tempo, viene da quell’epoca in cui i ragazzi si affacciavano alla vita con un irrefrenabile desiderio di emancipazione. Dal padre, da Dio, dalle ipocrisie del quieto vivere borghese. Un formidabile tempo di utopie destinate a collassare presto su sé stesse. Certo, per alcuni (troppi) queste utopie sono state un mero atteggiarsi, una posa, con il senno di poi, ancora più borghese dei legami da recidere. “Noi credevamo” – pare di sentirli – e nel frattempo molti di loro cadevano lungo la via dell’imborghesimento dell’anima, relegando la rivoluzione a menzogna romantica e perfino po’ cialtrona e viene da pensare, con un sorriso, al Vittorio Gassman onorevole comunista nel film di Scola, La terrazza, in cui per un diverbio con una giovane Sandrelli della quale si invaghirà e che rivendica di essere più compagna di lui chiede: “A che ora è la rivoluzione? Come si deve venire, già mangiati?”. Ironia come una manciata di terra gettata sulla bara di illusioni che furono.

La scrittura di Scardanelli, attraverso l’appiglio del concetto, come un bisturi ci restituisce chirurgicamente l’essere “disadattato” di Paolo che ripercorre, inabissandosi nelle sue memorie, la difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo, guardando sé e gli altri come sopravvissuti ad un naufragio. Le vicende raccontate, tra amori, laurea in architettura, viaggi in Grecia, il rapporto con la figlia Nadia e, ancora prima, con suo padre, fanno da sfondo a questa difficoltà di riconciliarsi con il reale, cioè con un presente che fa acqua da tutte le parti e sembra urlare costantemente che qualcosa – quello che è veramente essenziale – continua a mancare.

In effetti, il concetto, cioè la filosofia o di un Kant o di uno Schopenhauer, solo in apparenza aiuta a reggere il mondo che ci sta davanti, ma in fondo è del tutto insufficiente e perfino velleitario di fronte alle mancanze scolpite nell’anima, alle sue indecifrabili e invincibili nostalgie. Finisce per puntellare le macerie, quando l’unica cosa da fare è abbattere l’edificio. La prosa di Scardanelli, ampia come volute generose di fumo, non mistifica questa difficoltà, e quello che appare come un crogiolarsi nel concetto mette in risalto la volontà di non sottrarsi al confronto con il mondo circostante, anche quando l’idealismo cocciuto di Paolo sembra, paradossalmente, sottrarlo alla resa dei conti.

Livia Di Vona

Gruppo MAGOG