Y el frio/ soplo del olvido sabe sobre un arenal de hastio./ Bajo las palmeras del oasis el agua buena
Questo pezzo è un gesto di ringraziamento a un autore cileno, Roberto Bolaño, per aver capito che la letteratura sfida la morte col coraggio.
La citazione inziale da Machado ricalca la baudeleriana oasi di orrore nel deserto di noia che sta come segnale all’inizio del volume finale 2666.
Possiamo partire. Cinture allacciate, o pronti al lancio.
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Questo articolo non è un gesto di addio al mondo colto, quanto invece un’entrata in tutta velocità nella galassia vera della realtà. Ma come – diranno i lettori più smaliziati – hai bisogno della letteratura per arrivare alla realtà? Rispondo con un diplomatico ‘in parte’.
Perché Bolaño è l’autore della vita. Uomo on the road, che dice chiaro chiaro cos’è l’amore, cosa il viaggiare e via di questo passo. Certamente Bolaño è più colto di Bukowski, e per questo mi ci sono ritrovato facilmente. Mi è servito anche il capofila della letteratura ispano-americana, Borges, per non trovarmi del tutto spaesato davanti ai suoi romanzi brevi e meno brevi. Ma questo è solo l’inizio.
Bolaño mi ha salvato. Mi ha dato la speranza e la fiducia che tutti noi abbiamo una possibilità, e che solo la dovevamo esprimere, solo dovevamo essere noi stessi.
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Un mio zio (che è una persona diversa dallo zio d’America invocato all’inizio) aveva in un ripiano alto, forse vagamente proibito della sua libreria, due tomi col titolo stranissimo: 2666. Cominciai il primo. Mi concessi il secondo. Ho capito nel frattempo che Bolaño poteva essere una lettura che mi avrebbe inghiottito. Perciò ho proceduto con attenzione, un piedi metti e l’altro leva, provando a piccoli assaggi: Monsieur Pain, Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce (ma che strano titolo).
Ho anche trovato in una biblioteca altri due libri di Bolaño che ho mangiato come fossero dolcetti: Putas asesinas (possiamo lasciarlo senza tradurre) e Il Terzo Reich (che piacerebbe a chi si annoia al mare, e forse a chi ama i giochi da tavolo come War Hammer, ma l’elenco potrebbe allungarsi e non ne conosco altri).
Questi libri, scritti nell’arco tra anni Ottanta e primi del 2000, saranno oggetto di tesi quando per me l’università sarà un vago ricordo. Li utilizzeranno gli iscritti a lingue straniere, quelli nei dipartimenti di astrofisica, forse quelli che studiano fisica. Forse, se siamo fortunati e le cose migliorano in quel dipartimento, gli studenti di storia.
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Tra il primo blocco di letture e il secondo una zeppa di altri suoi lavoretti: Un romanzetto canaglia e Il gaucho insopportabile. E allora è scattato qualcosa: il rifiuto del successo vita natural durante da parte di Bolaño mi ha richiamato alla memoria un vecchio altarino: Stendhal.
Bolaño nacque nel 1953 in Cile, emigrò in Messico e tornò in patria in tempo per finire nei guai nell’anno tragico del 1973. Queste vicende si leggono in filigrana in un racconto, Amuleto, che sviluppa un blocco del romanzo-fiume I detective selvaggi. Un romanzo breve, o racconto, o filone, Amuleto, uscito nel 1998. Quando incominciavo il ciclo scolare: e leggere, a conclusione del libro, che per Bolaño una sfilata, o una crociata, o una parata, di bambini poteva essere la libertà e il destino del mondo, mi ha definitivamente convinto. Era l’autore giusto al momento giusto. Non era solo il filosofo da caffè, il lettore con indosso il poncho che dibatte di tutto (come può sembrare dagli articoli per fan raccolti in un volume apposito, dal titolo tanto umile quanto prolifico: Tra parentesi).
Bolaño è di più. Bolaño è il futuro. Bolaño è il suo passato: ma senza cedere alla nostalgia autobiografica, nemmeno nei racconti che più glielo consentirebbero come quelli di Chiamate telefoniche.
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Forse è più saggio, certo più utile, adottare un linguaggio che non sia tecnico. Ma questi titoli che ho snocciolato finora sono come mattoni, ognuno va al posto giusto. E se qualcuno vorrà orientarsi, deve mettere il tassello nel posto che più gli piace: ma tenendo conto della perfetta circolarità dell’opera di Bolaño. La quale inizia con un raccontino folgorante, Anversa, scritto nel 1981, quando il genio sconosciuto faceva il guardiano notturno di un campeggio in Costa Brava. Teneva anche un diario intitolato Università sconosciuta che appunto è sconosciuto in lingua italiana. Traduco alcuni blocchi per voi.
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“Parlano ma le loro parole non si registrano – È assurdo vedere una principessa incantata in ogni ragazza che cammina. La ragazzina caruccia pelle e ossa, le fischiano dietro. Stavamo in alto sul parapetto e il cielo era davvero blu. Pochi pescatori visibili in distanza e fumo da una ciminiera che saliva sopra gli alberi. Bosco verde per bruciarvi le streghe, diceva il vecchio, le sue labbra quasi fisse. Il punto è – ci sono tutti i generi di ragazze belle in questo momento a letto con tecnocrati ed executive. A cinque metri da me comparve una ninfa. Misi via la sigaretta e chiusi gli occhi. Primo piano con ragazza messicana che legge. È bionda, naso lungo e labbra strette. Guarda in alto, sopra la telecamera, sorride: strade umide dopo la pioggia di agosto, settembre, in una Città del Messico che non esiste più. Cammina giù per una via residenziale in giacca bianca e scarponi. Col dito indice preme il bottone dell’ascensore. Arriva l’ascensore, apre la porta, sceglie il piano e si guarda nello specchio. Solo per un istante. Un uomo sulla trentina seduto su una poltrona rossa la guarda entrare. Ha i capelli scuri, le sorride. Parlano ma le loro parole non si incidono nella colonna sonora. In ogni caso, devono dirsi qualcosa com’è andata la tua giornata, sono stanca, c’è un panino con l’avocado in frigo, grazie, e una birra. Fuori piove. La stanza è riscaldata, arredamento messicano. I due si stendono sul letto. Piccole luci bianche. Avvinghiati e immobili, sembrano bambini esausti. (In realtà non hanno motivo per esserlo). La telecamera si allontana. Dammi tutta l’informazione del mondo. Striscia blu. Una gobba? Lui è un bastardo ma sa mantenersi dolce. Lui è un bastardo ma la sua mano sul suo fianco è romantica. La sua faccia è sommersa tra il cuscino e il collo dell’amante. La telecamera si avvicina: facce che in qualche modo, senza volerlo, ti mandano a stendere. L’autore guarda a lungo le maschere di gesso, poi si copre la faccia. Fondale nero. È assurdo pensare che tutte le belle ragazze vengono da lì. Immagini vuote si susseguono: il parapetto e i boschi, la cabina con il focolare, l’amante vestita di rosso, la ragazza che si volta e ti sorride. (In tutto questo non c’è nulla di diabolico).
Quando ero un ragazzo – Non riesco a fissarmi sulle frequenze della realtà, sono così elevate
Lo scrittore – Penso che fosse inglese, e confessava al gobbo come fosse difficile scrivere, per lui. Tutto quello che posso ottenere, diceva, sono frasi sciolte, forse perché la realtà mi sembra un insieme di immagini sconnesse. La desolazione deve essere qualcosa di simile, una gobba. “Va bene, portatelo via”…
Tre anni – Non posso scrivere di fantascienza perché la mia innocenza se n’è andata… parole che nessuno pronuncia e che a nessuno è richiesto dire… mani sul processo di frammentazione geometrica scrivono ‘è rubato’ come fosse ‘amore amicizia giardini bagnati’… a volte sembra tutto interno… rughe da seguire su qualsiasi frequenza data dal computer (tutte solitudine assoluta)
‘Potrebbe essere l’inferno per me’. Il caleidoscopio si muove con la serenità e il torpore dei giorni. Per lei, alla fine, non c’era inferno. Semplicemente ha cambiato direzione e non vive più qui. Semplici soluzioni guidano le nostre azioni. L’educazione sentimentale ha un solo motto: Non soffrire. Quello che si allontana può essere il deserto, una roccia che sembra un uomo, pensatore tettonico.
Per avvicinarti allo sconosciuto devi smettere di essere l’uomo invisibile. Lei dice che, a parte tutte le azioni, l’unico mistero viene dalla confessione. Ma l’uomo invisibile si sta avvicinando? – Fammi uscire di qui, questo voglio dire! mostrami cose chiare e semplici, paura, morte, quando lei cena con la famiglia. Come un eroe”.
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Quanto al romanzetto Anversa, è opera che, non starò qui a fare il critico, contiene molti, quasi tutti i temi, i luoghi, i soggetti, ripresi e modellati e scolpiti e scambiati tra loro, nel prosieguo della creazione letteraria di Bolaño: tra questi, il destino e la morte dei giovani poeti (che altrimenti rischiano di trasformarsi in giornalisti da due tacche). Senti una richiesta, un soccorso che è ricorso armonico all’amore tra uomo e donna (il resto, quello tra persone dello stesso sesso o genere, è dipanato altrove, ne I dispiaceri del vero poliziotto. Amore con tutta la tragicità fisiologica, con tutte le evenienze del caso – Bolaño è devoto al Caso, non crederebbe all’ottimismo dei motivatori, la sua ironia è la dimensione della sua intelligenza più che della sua timidezza e del suo pessimismo.
Come temi non sono pochi. Chi ha bisogno di passaggi netti e logici guardi altri scrittori. Ma li guardi e li legga: Bolaño ha letto tanto, ha rubato libri da ragazzo perché era figlio di un camionista e andava poco a scuola in Messico. Si è fatto la sua cultura. Si è innamorato dei surrealisti, forse meno dei dadaisti europei: amava la poesia, è nato poeta e la sua forza lirica è rimasta come un basso continuo, anzi come l’impalcatura delle sue pagine poderose.
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Ma torniamo a Stendhal, per finire questa parte oggettiva e accedere a impressioni più personali e artistiche, traendo spunti concreti dalle pagine di Bolaño.
Stendhal visse ignorato o quasi dalla società letteraria a lui contemporanea. E questo non deve indurre a costruirsi un blog nella speranza di facilitare la sentenza ai posteri. Si scrive e si lavora per il futuro. Ma pochissimi sono nati per farlo. Quando Bolaño se ne è accorto aveva già letto tanto. Quando gli diagnosticarono una malattia al fegato era il 1992 e non era ancora padre ma lo sarebbe diventato nel giro di pochi anni. Ecco come cambiarono le sue poesie da prima a dopo la paternità.
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Orda
Poeti dalla Spagna e dall’America Latina, quelli della letteratura più
Infame, salgono come ratti dai miei sogni profondi
E si mettono a fare versi in un coro di voci minime:
Non ti preoccupare Roberto, dicono, faremo in modo
Che scomparirai, né le tue ossa immacolate
Né i tuoi scritti che mandi fuori e copi abilmente
Emergeranno dal naufragio. Neanche i tuoi occhi, neanche le palle
Sì salveranno da questa prova generale di naufragio. E vidi
Le loro piccole facce soddisfatte, solenni attaché culturali e poveri
Caporedattori, poeti in lingua spagnola, che vanno sotto il nome di
Orda, bestia, ratti pestilenziali, abili
Nella dura arte di sopravvivere in scambio di escrementi,
A manovrare il terrore pubblico, Neruda
E Octavio Paz da ipermercato, freddi porci, cupola
O crepa sul Gran Palazzo del Potere.
Orda che detiene il titolo per il sogno dell’adolescente e per la scrittura.
Dio! Sotto questo sole grassottello che ci ammazza
E ci diminuisce.
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Un finale felice. Finalmente il poeta come bambino e il bambino come poeta
In certi giorni vedo nella tua faccia
La faccia di mio padre, il quale, dicono
Assomigliava a suo padre
Lo sguardo di Leon Bolaño appare nei
Tuoi occhi socchiusa
Soprattutto quando usciamo a passeggio
E la gente si gode i tuoi gesti amichevoli
Altri momenti penso che non sia vero:
Quell’aria da guerriero, i capelli biondo cenere,
L’inclinazione alla festa e al caos sono
Le braci sfavillanti della mia nostalgia
Eppure tu gli somigli: soprattutto in
Questi giorni di gennaio
Quando usciamo a passeggio mano nella mano
In una luce fragile e persistente.
Leggi i vecchi poeti, figlio mio
E non te ne pentirai
Tra tele di ragno e legno marcio
Di navi spiaggiate in Purgatorio
Ecco dove stanno cantando!
Ridicolo ed eroico!
Vecchi poeti
Che bruciano le loro offerte
Nomadi all’addiaccio che fanno offerte
Al Nulla
(Ma non vivono nel Nulla,
Vivono nei Sogni)
Leggi i vecchi poeti
Prenditi cura dei loro libri
È solo un suggerimento
Che ti dà tuo padre
Libri che ho comprato
Tra strane piogge
E calori
Nel 1992
Li ho letti
O non li leggerò mai
Libri da leggere per mio figlio
La biblioteca per Lautaro
Dovrà resistere
Ad altre piogge
Altri calori infernali
Perciò l’editto è questo:
Resistete, miei cari libri
Attraversate i giorni come cavalieri medievali
E prendetevi cura di mio figlio
Negli anni a venire.
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Quando stava per lasciare il suo soggiorno volontario sulla terra diede un’intervista all’edizione messicana di Playboy in cui espresse senza commuoversi ma facendo piangere il suo amore per i figli. Il suo vissuto fu volontario perché nel segno del fatalismo, di questa grande arma del tremendo sud-America che l’ha allevato e l’ha consegnato all’Europa quando aveva 24 anni, in un destino tanto leggero quanto tremendo e incerto. Il fatalismo è, detto a colpi d’ascia, il culto del caso. Come fai a credere nella volontà, come un uomo dell’Ottocento (l’esempio di Pirandello è calzante e non solo per il suo presunto pessimismo), quando ti accorgi che più nessi causali cerchi di trovare, e meno ti orienti, meno trovi finalità? Quando cerchi uno scopo attraverso una serie ragionata di cause, e anche qui fai acqua? Per questo, invito a partire dal suo capolavoro, intitolato (ma non ambientato nel) 2666 per cogliere lo stile senza scampi, mai ipotattico.
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Bolaño è riuscito a superare, in questo, Stendhal. Perché a me più vicino cronologicamente, e forse perché un paio di anni fa avevo stretto amicizia con un cileno: ma i tempi non sono quelli che ci costruiamo noi? quelli che ereditiamo ma che soprattutto vogliamo cambiare per conquistarceli?)
Dice Bolaño in 2666 che “la fama postuma era una battuta da vaudeville che sentivano solo quelli seduti in prima fila”. Aggiunge, con rapidità e malizia, che “è tutto un libro bruciato – la musica, la decima dimensione, la quarta dimensione, le culle, la produzione di proiettili e fucili, i romanzi sul Lontano Ovest: tutto libri bruciati”. Perché “quell’adolescente che parlava così era una mente a orologeria: una mente rozza e potente, irrazionale e illogica, capace di esplodere nel momento meno indicato. Il che – soggiunge Bolaño – non era vero”. Perché di ogni cosa si può dire che sia finita o finirà o è già finita in un libro (e fin qui siamo a Borges), ma soprattutto che questo ciclo va avanti, non soggiace al nulla del Buddha, al nulla di Borges, al nulla di Schopenhauer.
Per questo, forse anche per questo, ma senza alcun paradosso (questo lo vedono solo gli intelligenti e complessati della critica, basta un cenno), Bolaño ha creato un seguito. Io almeno voglio crederlo. Perché chi confida, stando sul lettino di morte pur essendo vivo e vegeto, nell’ultima intervista, parole come queste, è l’esempio più puro, più modesto e più importante di visione su quello che tocca in sorte a tutti: “Io non ho mai avuto paura della morte e inoltre non credo nel pantheon. Guarda, quando finisce è finita e non resta niente, perciò io sto con Borges quando disse: «Dopo la morte, verrà l’oblio», e molte teste di cazzo gli dicevano: Ma no, Maestro, dopo la sua morte resteranno i suoi libri. Lui li ascoltava e doveva pensare: guarda che branco di imbecilli!”
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Nelle interviste dei primi del Duemila ha buttato lì, con elegante modestia: “Stendhal ha influito moltissimo su me anche se non si nota, perché continuo a essere molto scarso e Stendhal è molto bravo”. Questo si percepisce poco, è vero, perché Stendhal è tutto sostantivi, zero aggettivi, molto scorrevole (è francese in questo), così come il suo cultore Sciascia è elegante (si dice ‘rondista’) e affinato, intelligente senza essere cerebrale. Ma dove Stendhal è romanticismo puro, Sciascia è secchezza, è trasparenza, essenzialità. Proprio il contrario del fiume Bolaño e della sua visione della storia come una spirale, un percorso che sale, migliora, rischia di ripetersi ma non sta mai fermo pur dando l’impressione di ricalcare sentieri già battuti. E con questo, con la ricezione dei tedeschi (Goethe e la spirale, le immagini efficaci, espressionistiche alla Jünger) – Bolaño ha sfondato.
Oltre alle sciocche effusioni che avete letto sin qui ci sono anche, dal titolo bellissimo, Stella distante e soprattutto il suo capolavoro di inventiva e costruzione concettuale, La letteratura nazi in America. Oltre al politicissimo, ma non per questo da contestualizzare e circoscrivere e limitare ai margini dell’Europa, Notturno cileno, un capo d’accusa coi controfiocchi a quel che è stato e sempre può avvenire in ogni regime politico. E poi La pista di ghiaccio, all’epoca uscito di contrabbando, ora stampato a caro prezzo come una maglietta Armani da casa Calasso. Peccato, il Cileno non avrebbe gradito.
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In sintesi. Sellerio ha scritto benissimo che “con la letteratura questo scrittore ha cercato di ripetere un’esperienza del mondo, di fermare i vissuti propri e quindi, appunto perché irripetibili e mai del tutto decifrabili, aperti alla libertà di ammaliarsene e riviverli”.
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Amuleto. Si legge di un italiano – si chiamava Paolo. E con questo credo già di aver detto tutto. Era nato in un paesello vicino Torino, era alto almeno un metro e ottanta… ed Elena come qualunque altra donna poteva perdersi senza problemi fra le sue braccia.
Intervista sulla soglia del Duemila: “io non credo per niente alla letteratura come libro di bordo, la letteratura come diario di vita, come cronaca personale, io credo nella letteratura come letteratura, come… un meccanismo, una macchina autosufficiente; almeno con una grande autosufficienza.”
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Timidezza di Roberto. Perché egli ammise, ai primi del Duemila, di aver scritto Anversa “quasi come un omaggio – mai vendicarsi perché non c’è niente di meno nobile di una vendetta contro una donna – a una ragazza bellissima che girava per il campeggio dove lavoravo come guardiano tuttofare. E continua: questa ragazza andava a letto con tutti meno che con me, e io non sono mai riuscito a capirne bene il motivo. Suppongo che il suo assoluto rifiuto per la mia gentilezza sia sempre stato un mistero per me”.
Per lui come uomo, certo. Come scrittore, no sicuramente: perché queste diversità che non si attraggono le descriverà prodigiosamente in un racconto contenuto in Putas asesinas che vorrei aveste la gentilezza e la pazienza di leggere in questo brevissimo estratto: “Dominique così diversa da Claude, l’esistenzialista, la beatnik, la rockettara e la ragazza perbenino, l’abbandonata, l’esiliata… e Belano è di nuovo punto dalla curiosità e si rende conto che Dominique è un uomo e non una donna… Claude, dignitosa e ridicola al tempo stesso, che contempla dalla sua torre di vedetta di poetessa nubile il ciclone adolescente che è Dominique, autore, precisamente, di La souffrance est inutile, un libro che forse Dominique aveva scritto per lei, un libro che è un ponte in fiamme e che Dominique non attraverserà ma che invece Claude, ignara del ponte, ignara di tutto, attraverserà, e si brucerà viva nel tentativo, pensa Belano, come si bruciano vivi tutti i poeti, perfino quelli pessimi, su quei ponti di fuoco così interessanti, così appassionanti quando si hanno diciotto, ventun anni , ma poi così noiosi, con un inizio e una fine prevedibili in anticipo… Ponti che i poeti di ventitré anni sono in grado di attraversare a occhi chiusi, come guerrieri sonnambuli”.
La ragazza che non fila Roberto gli fa però capire cos’è la perfezione: un’ombra, aggiungerei con Machado, la blanca ombra del primero amor, quella senza contenuto – come l’innocenza, che per Amleto è l’immaturità, “il respiro giovanile, un’immagine della ragazza da distruggere, anche se non si può distruggere quello che non si possiede – un impulso che sospinge la poesia verso qualcosa che i detective chiamano perfezione”.
Poe ritorna: e vorrei restituire voce ad Angelo Morino, traduttore Sellerio, perché fa capire bene come le cose sembrino solo ripetersi nella vita: “nei sogni da bambino, c’è una linea prima retta, poi ondulata e infine spezzata. Nell’insieme della vita, la linea segue un andamento circolare, ineluttabilmente chiuso”. Una spirale che non è una spirale, appunto.
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Leggete Bolaño perché vi farà capire il futuro, soprattutto il vostro privato. A me ha fatto capire, scrivendo trent’anni fa i Consigli, cosa fa un direttore del personale, in questa società che tramite IQ risale a Wechsler poi a Pearson e Galton e quindi siamo immersi nel darwinismo fino al collo, Orwell e Huxley erano troppo allegri al confronto. Leggiamo Bolaño: il direttore del personale con la sua “impresa parapoliziesca per la selezione del personale… Tutta a base di computer, impiegati apolitici, linea giapponese”.
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Leggete Bolaño perché sarete orgogliosi di quello che imparerete per i fatti vostri. Con le sue parole ad un intervistatore: “dire autodidatta è un errore concettuale, io ho letto molto, ci sono stati autori che mi hanno insegnato quello che so”
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Leggete Bolaño perché vi farà amare i classici anche più di Calvino (che aveva il vizio dell’intellettuale e il cuore di legno del torinese di adozione). Come quando in 2666 si profonde in questo virtuosismo: “il farmacista gli rispose che gli piacevano libri tipo La metamorfosi, Bartleby, Un cuore semplice, Canto di Natale … Sceglieva La metamorfosi invece del Processo, sceglieva Bartleby invece di Moby Dick, sceglieva Un cuore semplice invece di Bouvard et Pécuchet, sceglieva Canto di Natale invece del Circolo Pickwick. Che triste paradosso… Neppure i farmacisti colti osano più cimentarsi con le grandi opere, imperfette e torrenziali, in grado di aprire vie nell’ignoto. Scelgono gli esercizi perfetti dei grandi maestri. In altre parole, vogliono vedere i grandi maestri tirare di scherma in allenamento, ma non vogliono saperne dei combattimenti veri e propri, quando i grandi maestri lottano contro quello che ci spaventa tutti, quello che atterrisce e sgomenta e ci sono sangue e ferite mortali e fetore”.
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Leggete Bolaño perché anche se non è un politico prestato alle lettere vi farà capire come andranno le cose sul piano della cosiddetta ‘Realpolitik’. Come quando, nel Terzo Reich, già individuava come fossero plagiati gli studenti catalani, come fossero ingozzati di patriottismo fasullo e bugiardo. E abbiamo visto come sono andate le cose, è storia recente. Perciò ecco le parole di fuoco dello scrittore, in realtà molto malinconiche ed ironiche, sull’autonomia catalana: “Si celebra l’11 settembre, ha detto. E cosa c’è da celebrare? La giornata della Catalogna, ha detto… Quando chiedo di che genere di libri vende alla sua bancarella, quel ragazzo magro, sui quindici anni e non di più, mi risponde ‘libri patriottici’. Cosa intendeva dire?… Sono libri catalani!, ha spiegato il ragazzo magro. Ne ho comprato uno e mi sono allontanato. Gli ho dato un’occhiata nella piazza della chiesa – solo un paio di vecchiette bisbigliavano su una panchina – e poi l’ho buttato nel primo cestino della spazzatura.”
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Leggete Bolaño perché vi farà capire che si può essere soddisfatti a inizio giornata come se le fatiche fossero già finite. Come quel personaggio del Monsieur Pain per il quale “la vita è fatta così, conclude… Alle undici di mattina il signor Pere aveva qualcosa di crepuscolare. Ecco un uomo soddisfatto”.
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Leggete Bolaño se credete di essere tolleranti verso le culture omo ma forse non lo siete, e se pensate che un amore ci mostri nella nostra nudità, mentre in realtà non lo farà mai a meno che non crediate nella timidezza. Come nei Detective, dove si traccia una linea della letteratura italiana sotto il segno della devianza sessuale, e cade male anche il tristanzuolo Pavese: “Pasolini rivernicia il frociume italiano, su Pavese non metto bocca, era una checca triste, un esemplare unico nella sua specie”.
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Una estatua que a veces sueña con volver a encontrar/ el amor en una hora inesperada y terrible/ Un lector de poesía/ Un extranjero en Europa/ Un hombre que pierde el pelo y los dientes/ pero no el valor/ Como si el valor valiera algo
Una statua che a volte sogna di tornare a incontrare/ l’amore in un momento inaspettato e terribile/ Un lettore di poesia/ Uno straniero in Europa/ Un uomo che perde i capelli e i denti/ ma non il coraggio/ Come se il coraggio valesse qualcosa
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Nel mio fatalismo credo che i nomi portino e conservino un destino.
And ne forhtedon na
Andrea Bianchi
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Non avevamo fede, e se l’avevamo
Era in così tante cose
Alla fine distrutte dalla realtà
(La Rivoluzione, per esempio, la prateria
Di bandiere rosse, campi di pastura fertile)
Così che le nostre radici erano come le nuvole di Baudelaire.
E ora le foto di mio figlio
Sono loro a danzare nella luce accecante. Luce di sogno e meraviglia, luce
Di detective all’inseguimento, di pugili il cui coraggio
Illumina le nostre solitudini. Luce che dice:
Non ho paura della solitudine, però
Sono una cantante nella caverna, sono io
Che spingo padri e figli verso la bellezza.
E in questo credo.