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Dialoghi
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Politica culturale
I grandi artisti, spesso, sono ossessionati da una singola, inquieta, inconciliabile idea, che non li abbandona mai. Hayao Miyazaki, il geniale creatore di film animati e di manga, torna più volte su una domanda, centrale e irrevocabile: cosa significa essere un bambino in un mondo moribondo, morente? Nel manga post-apocalittico Nausicaä della Valle del vento la sua eroina è una ragazza. Ha sedici anni, un’indole solitaria, il desiderio di incaricarsi del proprio mondo, il cuore spezzato per la distruzione, che pare implacabile, del suo villaggio, minato da un virus in grado di soppiantare la terra degli uomini. In Ponyo, del 2008, Miyazaki elimina sia la tragedia che il romanticismo dalla Sirenetta, tramutando gli eroi di Hans Christian Andersen, un principe proprietario terriero e una principessa marina, in Sosuke e Ponyo, una coppia di bimbi turbolenti di cinque anni. Mentre l’inondazione travolge la città, i due si legano in un rapporto nato da entusiasmi comuni, scoperte affascinanti e divertite.
I mondi di Miyazaki si rispecchiano nell’incerta comprensione dei suoi giovani eroi: la distopia ossificata e devastata dalla guerra di Nausicaä può essere rettificata soltanto dal fervore idealistico di un’adolescente; la mitologia sottomarina di Ponyo terrorizza gli adulti ragionevoli del film: i bimbi sono predisposti e preparati a incontrare un mesosauro o un mago dei mari.
Mentre Miyazaki partiva con la pre-produzione cinematografica di Nausicaä, nel 1983, stava concludendo un manga in acquarelli, intitolato Il viaggio di Shuna: la storia di un bambino, l’ennesimo, che cresce in un mondo disastrato. Come nel caso di Ponyo, il libro, ora tradotto in inglese, adatta una storia molto antica. Nello specifico, rielabora un racconto popolare tibetano, Il principe che si mutò in cane, centrato su un nobile che scopre un cereale magico con cui sfamare il proprio popolo. Si ritiene che il testo sia legato all’introduzione dell’orzo, capace di sopravvivere al freddo pungente dell’altopiano tibetano. Ne Il viaggio di Shuna, ambientato in un villaggio senza nome, la gente è molto povera; i raccolti non danno frutto, le bestie muoiono di fame. Un vecchio viaggiatore, malato, capita nella valle e mostra a Shuna, il principe del villaggio, alcuni strani chicchi, disseccati. Se fossero vivi, racconta, sarebbero così potenti da poter fertilizzare l’intera ragione.
Shuna è più giovane di Nausicaäe un po’ più grande di Ponyo: come loro è ansioso di cambiare il mondo che lo circonda. Così, come capita agli eroi della favolistica di ogni cultura, parte in groppa al suo fidato guerriero, una specie di stambecco, uno yakul, nonostante il parere contrario degli anziani del villaggio. È armato di fucile, ha con sé una manciata di chicchi secchi; spera di poter salvare il suo paese.
Il libro è meraviglioso. Il deserto di Miyazaki è arido, desolato, inalterabile, ma man mano che Shuna procede nel suo viaggio tra le realtà postindustriali, sfumature tenui diventano vibranti, il rosa dei deserti lascia spazio al rosso della città, pericolosa, irta di cittadini disperati; c’è il blu dell’aspra scogliera che delimita la casa degli dèi, il verde di un’isola misteriosa. Le tavole di Miyazaki ricordano, a tratti, il suo primo manga, Sabaku no Tami, “Il popolo del deserto”, ma Il viaggio di Shuna si pone in dialogo con i grandi artisti occidentali, in particolare con il fumettista francese Moebius, sotto la cui influenza Miyazaki ha dichiarato di aver diretto Nausicaä. Come Moebius, Miyazaki disegna con perfetta precisione tecnica, piegando alla meraviglia un mezzo pur sfocato come l’acquarello. Giganti pietrificati simili a robot, colti mentre si abbracciano le loro enormi ginocchia, pattugliano il paesaggio varcato da Shuna. Creature simili a buoi trainano il carro di un mercante di schiavi, con i margini di metallo istoriato e una torre decorata con occhi dipinti di giallo. Un pilastro zigrinato, di materiale indeterminato, tipico in Moebius, è conficcato in una radura: di notte, un disco splendente, forse un dirigibile alieno, aleggia su di esso: corpi umani si riversano entro una scanalatura nel pilastro, che li inghiotte.
Miyazaki è nato nel 1941. Il padre, Katsuji, era un ingegnere aereonautico la cui azienda, la Miyazaki Airplane, produceva parti per il Mitsubishi A6M Zero, il caccia utilizzato per gli attacchi suicidi dei kamikaze. Fin dall’infanzia, Miyazaki si è esercitato disegnando apparecchi tecnologici: i suoi mondi fantastici comprendono la magia e qualche mezzo di trasporto fantasioso, come il vasto dirigibile che si schianta in Kiki, consegne a domicilio o l’autobus che è poi un gatto in Totoro (in Giappone, presso il Ghibli Museum, è possibile vedere Mei e il Kittenbus, che presenta ogni sorta di trasporto felino, compresi dirigibili e treni). Il protagonista di Porco rosso, un pilota della Prima guerra mondiale, stile Bogart, trasformato in maiale a causa di una maledizione, ascende sull’Adriatico a bordo del suo idrovolante. La visione è memorabile: aeroplani a perdita d’occhio davanti a questa specie di Barone Rosso pacifista. La tecnologia è usata per fini spesso orribili, a volte straordinariamente nobili. Essere un bambino, nel mondo di Miyazaki, significa coniugare la paura alla gioia quando ci si trova di fronte a uno degli aerei pirata sgangherati di Porco Rosso o agli imponenti idoli-robot de Il viaggio di Shuna.
L’ipotesi della catastrofe ecologica è incredibilmente vivida e presente nei mondi di Miyazaki. Nei primi film, armi possenti scatenano dissoluzioni irreversibili: raffigurano la parabola del Giappone che ha subito una catastrofe nucleare senza precedenti. In Ponyo e in Principessa Mononoke la questione ambientale si precisa. La visione apocalittica di Miyazaki non è semplicemente figura di ciò che è accaduto in passato, ma il riflesso del presente, la profezia del futuro prossimo.
Il viaggio di Shuna affascina e disorienta: il lettore è catapultato in un mondo che, per quanto dettagliato, non cede alla didascalia, alla spiegazione. Miyazaki dedica alla costruzione dei suoi mondi immaginari la stessa cura con cui si impegna a creare aeroplani mai visti, è allergico all’etica fantasmagorica dei fantasy americani, all’ascesa dei supereroi industriali creati a favore degli adulti. Non ci sarà alcuna versione Marvel del Viaggio di Shuna, nessun Viaggio di Shuna 2 o miniserie HBO che indaghi nei meandri di alcune sequenze del manga.
Qui, come altrove, l’artista vela nell’enigma la vita del suo eroe: ci basti sapere che i bambini sono i custodi di un mondo meraviglioso e infranto, e che lo salveranno. Forse gli dèi di Shuna sono alcuni discendenti che colonizzeranno il futuro prossimo, forse sono vissuti molto tempo fa, in qualche ansa della Storia, dimenticati dagli adulti. Miyazaki non vuole soddisfare gli adulti, non ci vuole felici e distratti: la sua attenzione è rivolta ai bambini, ed è per loro che ha costruito mondi che soltanto i bambini possono curare e salvare, a volte con poco, con appena una manciata di cereali. Anche il nostro mondo, pare dirci, deve essere curato.
Sam Thielman
*Si riproduce larga parte dell’articolo di Sam Thielman pubblicato dal “New Yorker” come “Hayao Miyazaki’s Beautiful Broken Worlds”