05 Giugno 2021

“La follia ha molto a che fare con me…”. Juan Rodolfo Wilcock

Nel 1973 Gastone Favero fa visita a Juan Rodolfo Wilcock, scrittore argentino, già sodale di Silvina Ocampo, Adolfo Bioy Casares e Borges, a Roma da tempo. Amico di Elémire Zolla, di Elsa Morante e di Roberto Calasso (che di lui ricordò “La totale assenza di perbenismo intellettuale, ‘l’ebbrezza aristocratica di dispiacere’, che provava spesso e grandiosamente, l’ironia in agguato dietro ogni sillaba, l’insofferenza per ogni sorta di ‘frasi di circostanza’ dello spirito”), Wilcock aveva pubblicato libri anomali e ‘di culto’, alcuni dei quali ripresi da Adelphi, come Il caos, Lo stereoscopio dei solitari, La sinagoga degli iconoclasti. Con il linguaggio sapeva fare di tutto, il suo elitismo dada era tenebroso. Morì nel 1978, è sepolto nel cimitero acattolico di Roma. L’intervista televisiva realizzata da Favero è stata riprodotta, in parte, sul “Clarin”, e qui ne riprendiamo alcuni brani. In Argentina, di recente, è uscito un libro di Bioy Casares, per Emecé, dedicato a Wilcock, “el Shelley argentino”.  Negli appunti di Bioy, il libro era presentato come “Ritratto dell’avido, scontroso, irritabile J.W.”. Notevole l’aforisma di JW sulla scrittura di Moravia: “Ci sono pochi errori; d’altronde, il suo livello è talmente grossolano che gli errori non si notano”. Bioy Casares capisce il fervore di Wilcock per la scrittura. “Vuole ardentemente sopravvivere, vuole morire il meno possibile, diremmo. Per questo, fa tesoro di tutto ciò che ha scritto: non solo le lettere, ma anche note biografiche, copertine di libri, bozze, bozze di bozze… Lascia questi materiali affinché nulla manchi a chi vorrà ricostruire il suo ritratto e farlo rivivere. Pensa che sia sufficiente l’assenza del frammento di un’unghia perché l’anima non possa rinascere con perfetta efficienza”. Epigrafe eccellente.

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Ci parli della sua vita, delle sue origini.

“La mia vita? Beh, come tutti i giovani, sono andato a scuola, ho studiato, ho fatto l’università. Niente di straordinario. Eravamo molto poveri. Mentre studiavo ingegneria facevo l’operaio. All’inizio scrivevo per caso, auscultando le mie intuizioni. A 19 anni… leggevo il supplemento letterario del quotidiano… ho visto che si pubblicavano sempre le stesse cose, tanto inferiori a quello che potevo fare io, che mi sono detto, beh, scrivere è facilissimo. Ho scritto un libro in un mese, approfittando delle vacanze. Mi hanno assegnato il premio Ciudad de Buenos Aires. Erano tanto soldi, così tanti che ho smesso di fare l’operaio e ho fatto altre cose”.

Quali sono gli autori che hanno forgiato la sua scrittura?

“Tutti quelli buoni. Se dico che devo moltissimo a Virgilio, non saprei dire in che modo sia debitore nei suoi confronti. Poi, certo, a undici o dodici anni, quando ho letto Dante, ne sono rimasto segnato per sempre. In alcune mie poesie si può riconoscere con precisione l’influenza di Dante congiunta all’interpretazione che di Dante ha dato Thomas S. Eliot. Il primo libro che ho letto, comunque, a cinque anni, è la Bibbia. Ora, si può dire che qualcuno sia stato influenzato dalla Bibbia? Tranne Guido Ceronetti credo nessuno”.

Vivendo a Buenos Aires lei avrà conosciuto Jorge Luis Borges…

“Certo. Ho ammirato Borges molto prima di conoscerlo. Ho iniziato a leggerlo, grazie a un mio amico, a 19 anni. Mi diceva, questo è il migliore che c’è al mondo. In effetti. Provavo per lui una specie di venerazione, quasi fosse un Dio. A vent’anni gli ho telefonato chiedendogli di tenere una conferenza. Rifiutò, mi rispose che non sapeva parlare; a quel tempo non parlava ancora in pubblico. L’ho conosciuto di persona l’anno dopo, in circostanze un poco disastrose: mi presentò il figlio di uno scrittore che lui apprezzava molto, filonazista. Restai un po’ a distanza, irritato… Sa, i giovani sono quasi tutti stupidi anche quando sono intelligenti”.

Riguardo all’origine della letteratura…

“Elenchi di pecore. Questa è stata l’origine della letteratura. Hanno scoperto che le prime civiltà stilavano elenchi di pecore. Le tavolette ci dicono che un tale ha quattro pecore, l’altro ha ventiquattro capretti, e pare che la letteratura sia nata così. Forse esistevano già i poemi orali, appena annotati. Non possiamo saperlo. Le biblioteche di famiglia pullulano di elenchi di animali e una lista di oggetti. La letteratura nasce come una lista di cose, o come la volontà di scrivere ciò che si è perso. Tuttavia, la mania più antica dell’uomo è scrivere il proprio nome dappertutto. La prima cosa che uno scrittore fa è scrivere il proprio nome. Voglio dire: il primo libro, forse, è stato firmato prima di essere scritto”.

…e alla scienza…

“Gli scienziati ci sono da sempre. Forse in Italia hanno inventato un genere. La città del sole e le teorie di Giordano Bruno assemblano elementi scientifici all’immaginazione. Tutte le teorie scientifiche si possono perdonare perché l’uomo vive così, facendo teorie, e tante risultano errate; altre, per un po’, si prendono per vere. Chi legge un libro di storia della scienza vedrà che uno dopo l’altro i grandi scienziati hanno proposto teorie sempre sull’orlo del ridicolo. Oggi non è diverso. La scienza è anche un repertorio di follie, cioè un repertorio della conoscenza umana… Gli uomini hanno sempre cercato la conoscenza e qualcosa che la rappresenti, dunque hanno impalcato ipotesi, che poi hanno difeso con le unghie e coi denti. Tutte queste ipotesi hanno una caratteristica comune: non raggiungono la realtà. La realtà resta quella che è, inesplicabile”.

Insomma, una follia.

“La follia, certo, ha molto a che fare con me. Non so se le è mai capitato di pensarci: trascorriamo la nostra vita pensando che quasi tutto ciò che fanno gli altri è folle, e allo stesso tempo gli altri pensano che ciò che noi facciamo è una cosa da pazzi”.

Infine, ci parli dell’amore.

“Sull’amore si sono dette così tante cose… Una volta ricordo di aver scritto che la differenza tra amore e amicizia sta in questo: la nostra idea del grande amore muta di continuo, passa da un polo all’altro, degli amici, invece, pensiamo sempre la stessa cosa. L’amore è cambiare idea sulla persona che è oggetto del nostro amore. L’amicizia invece si basa su una specie di testardaggine per cui di una persona abbiamo sempre la stessa idea, di lei la pensiamo sempre allo stesso modo, ci urterebbe cambiare opinione nei suoi riguardi”.

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