C’è una poesia di Ingeborg Bachmann che all’imbrunire vorrei accennare al lettore, che forse nuovamente m’attende chissà dove, fors’anche nella sua solitudine. S’intitola Il gioco è finito.
Poiché persino oggi ho attraversato il ventre di Torino, pieno e pulsante di vita, felice di facce vere e stanche fino all’ossimoro; di smorfie stracolme di bellezza e miseria; mi azzardo a parlare a qualcuno nel solo modo che mi è dato conoscere: scrivendo e scrivendo ancora.
Se è vero che a volte siamo colmi di ricerca e di domande, è proprio perché non ne abbiamo mai abbastanza. Il desiderio s’impadronisce di noi, nella brama di possedere lo sguardo dell’altro: un lampo di felicità, di corrispondenza, quasi; che soltanto il tempo potrà guastare o tradire. Eppure, questa sera, io non voglio a mia volta tradire, ma perdonare:
Mio caro fratello, quando costruiremo una zattera
per scendere giù lungo il cielo?
Mio caro fratello, presto sarà il carico immenso
e noi affonderemo.
Eppure, il gioco non è affatto finito. Il grande gioco nel quale a volte noi tutti ci tuffiamo a capofitto, rendendoci conto solo a notte fonda di che cosa effettivamente si tratta; il grande gioco è soltanto all’inizio. E sarebbe da stupidi abbandonare la scacchiera che sta a poppa di questa misera imbarcazione, proprio nel momento in cui ci si aspetterebbe esattamente questo.
Perciò mi accorgo soltanto adesso che affrontare da uomini le grandi altezze è privilegio da scontare a caro prezzo. Ciò non di meno, fosse vero il contrario, la solitudine che ci o mi caratterizza non avrebbe più senso alcuno, e nulla potrà rendere giustizia a una passione che pulsa nelle vene, fino ad azzerare, nel silenzio, il battito profondo del tamburo chiamato cuore.
Così stasera insisto:
Mio caro fratello, sul foglio tracciamo
molti paesi e binari.
Sta attento, su quelle linee nere
con le mine potresti saltare.
Ma noi, poeti o scrittori, lettori affamati di verità e bellezza, non salteremo mai. Non brilleremo per annientarci. Almeno, non ancora.
Vorrei credere, piuttosto, che sul foglio bianco che ci è sempre dato in dono, nuovi paesi e binari fioriscano a più non posso nella fantasia del giardino. Dacché, le linee nere che tracciamo col nostro inchiostro, sono tutto ciò che abbiamo per stupire il mondo e noi stessi.
Del resto, ho compreso una cosa in questi giorni e notti amare che hanno accompagnato il mio silenzio ferito. Ho compreso che tutto è circoscritto dalle stelle. E null’altro può abbracciare l’imprevisto, se non l’attesa di un corteggiamento, impossibile persino da immaginare.
Dopo tutto, non so fare altro. Attendere che qualcuno, nuovamente, riaccenda il fuoco che è in me; quello stesso che nel bosco, un giorno, mi parlava dicendomi: sii te stesso, e non temere ciò che ti circonda; poiché tutto quel che ti sta accanto e intorno – oltre che determinato da qualche scelta – ha un destino, ed il tuo stesso fine – la tua essenza più profonda – non ne potrà fare a meno.
Giorgio Anelli
*
Caro fratello, quando costruiamo una zattera
per navigare lungo il cielo?
Caro fratello, presto il carico
sarà troppo grande, e noi affonderemo.
Caro fratello, sopra un foglio tracciamo
molti paesi e binari:
ma sta attento alle strisce nere,
con le mine potresti saltare.
Caro fratello, al palo allora
mi farò legare e griderò tanto;
ma tu già cavalchi su dalla valle
dei morti, e insieme fuggiamo.
Desti nel campo degli zingari e sotto la tenda
desertica, la sabbia ci scorrerà dai capelli:
né l’età tua né la mia né l’età
del mondo si misura con gli anni.
Non farti gabbare dai corvi astuti, da untuose
zampe di ragni e da penna di rovo;
non mangiare e non bere nel paese della cuccagna:
solo apparenza rigurgita da padelle e boccali.
Vince soltanto chi sopra il pontile d’oro
la magica formula ricorda della Fata Rubino:
ma devo dirti che è dileguata
con l’ultima neve, in giardino.
Per tanti sassi i piedi sono tutti una piaga.
Uno risana. Salteremo con quello,
finché verrà a rilevarci il re dei bambini
recando in bocca la chiave del regno, e così canteremo:
E’ bello il tempo in cui germogliano i datteri!
Ogni caduto ha le ali:
Purpureo è il ditale che orla il sudario del povero,
e sul mio sigillo sta impresso il tuo cuore.
E’ ora di andare a dormire, carissimo, il gioco è finito.
In punta di piedi. Le bianche camicie si gonfiano.
Babbo e mamma penseranno ai fantasmi
quando ci udranno ansimare.