16 Ottobre 2021

"L'età del mondo non si misura con gli anni". Una poesia di Ingeborg Bachmann

C’è una poesia di Ingeborg Bachmann che all’imbrunire vorrei accennare al lettore, che forse nuovamente m’attende chissà dove, fors’anche nella sua solitudine. S’intitola Il gioco è finito.

Poiché persino oggi ho attraversato il ventre di Torino, pieno e pulsante di vita, felice di facce vere e stanche fino all’ossimoro; di smorfie stracolme di bellezza e miseria; mi azzardo a parlare a qualcuno nel solo modo che mi è dato conoscere: scrivendo e scrivendo ancora.

Se è vero che a volte siamo colmi di ricerca e di domande, è proprio perché non ne abbiamo mai abbastanza. Il desiderio s’impadronisce di noi, nella brama di possedere lo sguardo dell’altro: un lampo di felicità, di corrispondenza, quasi; che soltanto il tempo potrà guastare o tradire. Eppure, questa sera, io non voglio a mia volta tradire, ma perdonare:

Mio caro fratello, quando costruiremo una zattera
per scendere giù lungo il cielo?
Mio caro fratello, presto sarà il carico immenso
e noi affonderemo.

Eppure, il gioco non è affatto finito. Il grande gioco nel quale a volte noi tutti ci tuffiamo a capofitto, rendendoci conto solo a notte fonda di che cosa effettivamente si tratta; il grande gioco è soltanto all’inizio. E sarebbe da stupidi abbandonare la scacchiera che sta a poppa di questa misera imbarcazione, proprio nel momento in cui ci si aspetterebbe esattamente questo.

Perciò mi accorgo soltanto adesso che affrontare da uomini le grandi altezze è privilegio da scontare a caro prezzo. Ciò non di meno, fosse vero il contrario, la solitudine che ci o mi caratterizza non avrebbe più senso alcuno, e nulla potrà rendere giustizia a una passione che pulsa nelle vene, fino ad azzerare, nel silenzio, il battito profondo del tamburo chiamato cuore.

Così stasera insisto:

Mio caro fratello, sul foglio tracciamo
molti paesi e binari.
Sta attento, su quelle linee nere
con le mine potresti saltare.

Fotografia di Vivian Maier.

Ma noi, poeti o scrittori, lettori affamati di verità e bellezza, non salteremo mai. Non brilleremo per annientarci. Almeno, non ancora.

Vorrei credere, piuttosto, che sul foglio bianco che ci è sempre dato in dono, nuovi paesi e binari fioriscano a più non posso nella fantasia del giardino. Dacché, le linee nere che tracciamo col nostro inchiostro, sono tutto ciò che abbiamo per stupire il mondo e noi stessi.

Del resto, ho compreso una cosa in questi giorni e notti amare che hanno accompagnato il mio silenzio ferito. Ho compreso che tutto è circoscritto dalle stelle. E null’altro può abbracciare l’imprevisto, se non l’attesa di un corteggiamento, impossibile persino da immaginare.

Dopo tutto, non so fare altro. Attendere che qualcuno, nuovamente, riaccenda il fuoco che è in me; quello stesso che nel bosco, un giorno, mi parlava dicendomi: sii te stesso, e non temere ciò che ti circonda; poiché tutto quel che ti sta accanto e intorno – oltre che determinato da qualche scelta – ha un destino, ed il tuo stesso fine – la tua essenza più profonda – non ne potrà fare a meno.

Giorgio Anelli

*

Caro fratello, quando costruiamo una zattera
per navigare lungo il cielo?
Caro fratello, presto il carico
sarà troppo grande, e noi affonderemo.

Caro fratello, sopra un foglio tracciamo
molti paesi e binari:
ma sta attento alle strisce nere,
con le mine potresti saltare.

Caro fratello, al palo allora
mi farò legare e griderò tanto;
ma tu già cavalchi su dalla valle
dei morti, e insieme fuggiamo.

Desti nel campo degli zingari e sotto la tenda
desertica, la sabbia ci scorrerà dai capelli:
né l’età tua né la mia né l’età
del mondo si misura con gli anni.

Non farti gabbare dai corvi astuti, da untuose
zampe di ragni e da penna di rovo;
non mangiare e non bere nel paese della cuccagna:
solo apparenza rigurgita da padelle e boccali.

Vince soltanto chi sopra il pontile d’oro
la magica formula ricorda della Fata Rubino:
ma devo dirti che è dileguata
con l’ultima neve, in giardino.

Per tanti sassi i piedi sono tutti una piaga.
Uno risana. Salteremo con quello,
finché verrà a rilevarci il re dei bambini
recando in bocca la chiave del regno, e così canteremo:

E’ bello il tempo in cui germogliano i datteri!
Ogni caduto ha le ali:
Purpureo è il ditale che orla il sudario del povero,
e sul mio sigillo sta impresso il tuo cuore.

E’ ora di andare a dormire, carissimo, il gioco è finito.
In punta di piedi. Le bianche camicie si gonfiano.
Babbo e mamma penseranno ai fantasmi
quando ci udranno ansimare.

Gruppo MAGOG