
“Non sostituirò mai ca**o con membro”: la biografia hot di Fernanda Pivano
Letterature
Barbara Costa
Ancora una volta i fatti sono più chiari di quanto non appaiano. Come scrivemmo all’indomani del voto del 4 marzo il laboratorio Italia, con il suo fardello, ci ha riservato l’ennesima sorpresa. Tre mesi di consultazioni e accrocchi vari hanno accelerato la strada verso una inevitabile transizione costituzionale. La modifica della forma di Stato, il superamento dello Stato nazionale si stagli all’orizzonte come obiettivo vero di questa crisi istituzionale.
Non sarà sfuggito ai più che durante questo periodo qualcuno ha continuato a macinare consenso e soprattutto a incassare vittorie sui territori. Fuoriusciti da un ventennio in cui la spinta federale era stata profondamente tradita dallo sbarco nella Capitale, incautamente barattata dalla classe dirigente per una manciata di lenticchie.
Ciò che cela la nazionalizzazione del movimento è una catarsi. È l’apparente paradosso di spingere fino agli estremi confini un’idea profondamente innervata nel popolo: l’autodeterminazione. In fondo la questione settentrionale, come quella meridionale, ciclicamente ritorna, mai sopita sotto l’onta di un Moloc che dal Regno di Sardegna è giunto sino ad oggi.
È un conflitto, quello in atto, che prima ancora che generazionale – e certamente lo è – è imperniato sull’autonomia, che riflette la diversità sostanziale tra Nord e Sud del Paese, certificata dall’esito elettorale del recente voto politico. È per questo che il progetto di espansione del movimento al centro-sud è coerente all’idea di costruire una piattaforma che dia voce ai territori.
Il groviglio istituzionale e amministrativo che si è venuto a creare richiede la scomposizione degli interessi e un momento di pacificazione sociale che ristabilisca la centralità delle Comunità. Una spinta autonomista che ripristini un rapporto collaborativo tra cittadini e amministrazione e permetta la condivisione di responsabilità sulla cui base instaurare un nuovo reale consenso. E di superare l’evidente crisi di rappresentatività dell’Autorità.
I cittadini chiedono un nuovo contratto sociale, un sostanziale e robusto arretramento della turbo-burocrazia romana, riscritto sulla base dell’effettività e dell’adeguatezza del suo agire rispetto agli interessi e alle differenze delle persone e dei territori.
La prossima scadenza elettorale verosimilmente configurerà un precedente storico unico, un intero blocco territoriale governato da un movimento autonomista che permetterà di sferrare il colpo decisivo all’establishment ministeriale. Ora, se questa è la proiezione dell’interesse politico – e non è dato saperlo a chi scrive pur essendo molteplici i sentori che spingono a riflettere in questa direzione – deve in un qualche modo poter essere dibattuto nell’agenda politica del paese, oggi tutta imperniata sulla vicenda europea, che anch’essa a bene vedere e depurata da una lettura economicista, è innanzitutto una questione di autonomia.
E non solo perché sono affiorati e riaffiorati movimenti autonomisti in diversi Stati dell’Unione. Ma soprattutto perché il futuro dell’Unione è e sarà determinato dal corretto bilanciamento tra aggregazione funzionale di Stati (rectius regioni/territori) e la centralizzazione di alcune funzioni.
Le leggi costituzionali vanno viste come strumenti di pacificazione e di aggregazione politica attorno a regole fondamentali del gioco politico e della vita di relazione condivise. Tuttavia anche su questo fronte qualcosa si è irrimediabilmente incrinato dopo svariati tentativi compiuti a colpi di maggioranze politiche instabili e confuse.
Prima delle piazze si agiti il diritto, ovvero prima che fratture istituzionali si producano in modo incontrollato, ancorché legittimo intendiamoci, fosse anche la piazza, converrebbe far partire il processo riformatore dalla prima parte della Costituzione per estenderlo, in modo lineare e coerente, alla nuova organizzazione dello Stato. Ecco perché dietro il fallimento del nuovo Governo si cela un’opportunità unica per il Paese: un Governo costituente!
Alessandro Venturi
*Alessandro Venturi è professore di Diritto regionale e degli enti locali presso l’Università di Pavia