16 Settembre 2024

“Contro le nostre vili menzogne”. Sia lode a Comisso, rivoluzionario dello spirito

Quando il 12 settembre del 1919 i dannunziani entrano a Fiume, compiendo un’azione temeraria e fuori da ogni logica militare, nessuno rimugina sul fatto di compartecipare al debutto di una delle vicende più singolari del XX secolo. Col rifiuto del Comandante di abbandonarla, così come gli chiedeva il governo, quella città diventa infatti incombenza politica sovranazionale e, allo stesso tempo, affare letterario e artistico.

Un confuso laboratorio che con impressionante indifferenza e ostinazione palesa un’aperta sfida alle autorità italiane e ai trattati internazionali consegnandosi alla storia anche come il primo esempio di inedito e dinamico tentativo di comunicazione di massa che investe ogni campo; in questo modo, anticipando certe espressioni esteriori della rivoluzione sessantottina che poi, con processi emulativi, vedremo riproporsi con un minor grado di fantasia e leggerezza nel movimento del settantasette.

In quel ristretto contesto geografico prende le mosse l’idea di un legame profondo tra finzione e realtà, dove il poeta inscena se stesso e ognuno – a suo modo – decide di intendere «la vita come un’opera d’arte» nell’incontrollata ansietà di ribellione totale all’interno della quale una schietta e giovanilistica sfrontatezza prova a far convogliare di tutto: l’estetica del capo, la poesia, il nazionalismo, l’immaginazione al potere, la rivolta antiborghese, la questione sociale mediante l’autogoverno delle categorie, la concertazione, il teatro, la difesa dei lavoratori e la solidarietà verso i poveri.

Quelli che De Felice definì «scalmanati» possiedono l’ossessione di una libertà radicale che diviene gesto sempre poetico e perciò mai istituzionalizzato, e alimentano una idea eroica e fin troppo ingenua di indipendenza grazie alla quale si fatica a distinguere gli artisti dai militari di professione, i baccanali dall’esercizio marziale.

Si pensi a Léon Kochnitzky, poeta e combattente belga di origine ebraica convertito al cattolicesimo che sognava la Lega dei popoli oppressi; a Ludovico Toepliz, consigliere delegato della Banca commerciale italiana; a Guido Keller, «asso di cuori» della squadriglia di Francesco Baracca, cultore del nudismo e del naturismo… uno che dormiva all’aperto, leggeva libri in cima a un albero e andava in giro con un’aquila sulla spalla, e che fonda insieme a Comisso l’associazione Yoga («Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione»).

Ecco: Giovanni Comisso! Era nato a Treviso nel secolo precedente (1895). Arruolatosi volontario, partecipa alla Prima Guerra Mondiale. Laurea in Legge, ma attività da avvocato fin da subito abbandonata, per lavorare prima come libraio a Milano e poi come mercante d’arte a Parigi, e sempre con una irrefrenabile e solo apparente spensieratezza concepita nel primo conflitto e germogliata nell’avventura legionaria:

«Rivoluzionari non contro un partito
ma rivoluzionari contro quello che siamo
Rivoluzionari contro noi stessi
onde si abbia a perdere
le nostre false arroganze
le nostre vili menzogne
e le nostre tarde e appassite bellezze».

Comisso è tra coloro i quali trascorrono quelle settimane a Fiume in maniera piena, convertendo con volontarismo genuino la vita e il quotidiano in sostanza letteraria, attraverso una traiettoria personale caratterizzata dal frammento lirico e da uno stile talvolta impenetrabile (entrambi irrobustiti dalle letture della giovinezza… Mallarmé, Apollinaire e Rimbaud su tutti) che ne segneranno la poetica successiva.

Quell’esperienza è ora in larga parte racchiusa in un delizioso scrigno editoriale: Italia ingrata (La nave di Teseo, 2024; a cura di Alessandro Gnocchi) nel quale sono convogliati una serie di scritti fiumani di cui si erano perse le tracce per un secolo. Brandelli di arte e di vita che possono fare contrappunto a Il Porto dell’amore uscito nel 1924 e stampato a spese dell’autore. Scritti che, se per un verso ci descrivono dall’angolatura dei protagonisti il quadro scenografico dell’impresa dannunziana, dall’altro aprono alla piena comprensione dell’itinerario di un autore che, anche in frammenti brevi ed essenziali, già rivela uno stile e distilla una poetica, nonostante già tenti di far riferimento agli obblighi e alle responsabilità che sarebbero sopraggiunti dopo Fiume.

Ma c’è un filo comune che transita lungo i decenni e che viene ben evidenziata nell’ampia opera di curatela compiuta da Alessandro Gnocchi il quale, oltre ad una corposa introduzione, propone ad inizio di ogni capitolo una articolata serie di commenti e indicazioni nel tentativo di depurarne la comprensione da sottaciuti malintesi. Comisso, come apparirà chiaro anche nei periodi successivi, continuerà a fare indiretto riferimento a quella esperienza rivisitandola ogni volta attraverso una configurazione nuova ma non abbandonando il turbamento procurato da quell’intrigato crocicchio di intersezioni che andavano ad esplorare sentimenti privati, ragionamenti pubblici e propositi artistici. Della sua foga di giovinezza infinita, anche se più defilato di altri, scriverà ai genitori: «si vedono soldati e marinai di tutti i paesi del mondo che si divertono». Ecco… quella visione a tratti scarnificata dalla realtà, quasi ingenua, che resta sempre laterale e spesso sullo sfondo, sembra invece inseguirlo e segnare tutta la sua storia successiva.

Luigi Iannone

Gruppo MAGOG