20 Settembre 2020

“Perché il poeta, infine, è ombra di candela e scrive di notte quando, feroce e distinto, sente il richiamo del lupo”

Si è soli, a volte, nella notte. Si scrive proprio così: per raggiungere un’altra solitudine. Il poeta si affaccia da un angolo all’altro del foglio, in cerca di qualcuno o di qualcosa. Comunica. Perché? Magari le parole gli nascono improvvise. Egli è felice nel donarle a uno straniero o a una forestiera che passeranno un giorno (o in un’altra notte) dalle sue parti. In altri tempi, per altri mondi.

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Nella notte i poeti si cercano, si scrivono qualche lettera (lo sapevate?), in attesa di avere risposta… Oppure, aprono la danza della scrittura, sorpresi che qualcuno (finalmente) li venga a trovare [magari con una e-mail o un messaggio].

Notte, amica degli scrittori. Ti prediligono in quanto rechi intuizioni, nella stanchezza di una giornata già fin troppo movimentata. Giacché, nonostante imprevisti e doveri, continueranno a cercarti.

Le parole, allora, questi incanti indimenticabili, vanno e vengono condivise. Non c’è altra strada; nessun altro destino. Si nasce con le parole per giocarci insieme. Il gioco, però, man mano che lo si capisce, è serio. Poiché i poeti amano le soglie, schiuse dai libri (quelli da leggere, va da sé). I poeti lo sanno che è più facile scrivere un libro, che leggerne cento. Qui sta la questione, il quid, il centro del sogno, il cuore dei desideri.

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Dunque, mentre lo si scorge scavalcare il ricciolo di un foglio abbandonato sulla scrivania, il poeta non sa ancora quale avventura-idea-rivoluzione-speranza-lotta lo attenda. Non conosce nemmeno se stesso fino in fondo. Il che è tutto dire. Semplicemente (gli ha confidato un amico), arde nel bianco ‒ artico. Diaccio di similitudini, metafore, allegorie, egli tenta di sovrastare l’ignoto dopo essersi fatto da quello attraversare.

È all’imbrunire, quando l’aria si fa più fresca, e il cielo crepuscola rosso violaceo; quando i rumori tendono a smorzarsi e i fiori nei vasi e nei prati si accoccolano tra petali screziati dal sole (magari dopo aver fatto l’amore con le api); mentre tutti raggiungono le proprie case e si ristorano e si riposano prima della «buona notte», è proprio allora che poeti e scrittori sentono, feroce e distinto, d’istinto, il richiamo del lupo. Quel qualcosa con il quale non possono fare a meno. La danza dunque ricomincia. O inizia ‒ iniziati dal destino ‒ per la prima volta. Non più vergini, o feriti e sbeffeggiati alquanto dalla vita, queste donne e questi uomini sanno cosa li aspetta. Mentre i libri (i libri che stanno davanti a loro nella libreria pazientemente riempita) assomigliano a grattacieli, a totem o pilastri. Come piramidi e obelischi, tracciano la via: quel verso di poesia ancora da inventare, quella frase che farà di lui (o di lei) un romanziere.

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Notte che ascolti i miei pensieri burattineschi e da fiaba, dammi corda. Promettimi che chi leggerà un giorno queste strane parole possa continuare sulla stessa strada; diversa, eppur eguale.

Notte che non (mi) lasci solo, amica fedele, cercata un tempo e finalmente trovata. Sai tu quanti segreti porta negli occhi il poeta. Conosci, complice la luna, ogni suo passo indiscreto. Eppure lo proteggi, donandogli incontri, amori; perfino schiaffi e sberleffi. Notte puttana che sai tutto di lui, dì a tutti quanto un suo inciampo valga oro, e sia vendemmia poterlo incontrare. Chiunque egli sia, ad ogni angolo del mondo, saprà cavarsela se tu gli starai accanto come una madre servile e premurosa, o come un’ancella, una compagna, o simile a un’avventura di una sera. Ma, soprattutto, ricordagli che non è punto solo. Poiché c’è chi lo cerca per davvero, lo brama, lo insegue, lo ama, lo odia. Essenzialmente, lo pensa.

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E lui arde, continuerà a farlo, se avrà il coraggio di non temere alcun male, di credere a quella parola arcana detta destino, al fuoco che lo affina. Se avrà la spavalderia di ascoltare la gente (della strada ‒ di qualsiasi strada) che, in fondo, fino in fondo, gli vorrà (ne sono certo) bene. Ma se malauguratamente mi sbagliassi, tant’è che alfine il poeta è ombra di candela, perdona te stesso ‒ lettore caro, vogliati bene: chiedi aiuto-alza la mano! Qualcuno di sicuro, fors’anche da un paese lontano, la scorgerà. Non ti lascerà, andar via, invano.

Giorgio Anelli

*In copertina: Guillermo Lorca, “Make me blue”, 2019; il sito dell’artista è qui

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