04 Gennaio 2025

“Collego la poesia alla verità…”: Giampiero Neri, un poeta a Milano

Negli anni la figura di Giampiero Neri (pseudonimo di Giampietro Pontiggia, Erba 1927-Milano 2023) appare sempre più decisiva nell’orizzonte della nostra poesia. Tra i principali ambiti della sua indagine ricorrono i temi del male, della memoria, della guerra, anche se tutta la sua scrittura è stata sempre orientata alla ricerca della verità:

Collego la poesia alla verità… A me non importa nulla del conto degli endecasillabi, ma solo della verità[1].

La scrittura di Neri è tersa ed essenziale. Fugge ogni compiacenza retorica, anzi ama la reticenza, e sa trasformare, come faceva un altro “minimalista” come Raymond Carver, i dettagli in epifanie. Ha qualcosa di sapienziale, come un testo biblico, che ha origine remote, eppure è sempre nuovo. In uno dei suoi testi più celebri ha compendiato la sua poetica:

Se ripenso al mio lavoro, mi sembra che il tema più ricorrente sia quello dell’aggressività con il suo corteo di corollari, mimetismo e fraintendimento. Il problema del male mi appare come simmetrico rispetto al bene, suo opposto, inevitabile ombra e controfigura[2].

La geografia della poesia di Neri ha spesso toccato i luoghi dell’infanzia, la nativa Erba (il Monumento ai caduti del Terragni è un totem ricorrente), Como, il lago di Pusiano, i boschi e le alture della Brianza, così come le chiese romaniche immerse nel verde:

Per lo stile romanico aveva un interesse che andava oltre l’ammirazione per l’arte.
«Più di tutti gli altri si avvicina a Dio», aveva sentito dire da un amico[3].

Nelle pubblicazioni degli ultimi anni, però, Neri ha intensificato le immagini dedicate a Milano, città in cui ha vissuto larga parte della sua vita, come testimonia il lavoro di Piazza Libia[4], uno dei suoi titoli più amati (per la toponomastica è “Piazzale Libia”).

Piazza Libia è un’opera compatta, carica di vita e di storie, frutto delle lunghe passeggiate del poeta che abitava al civico n. 12, all’angolo con via Ferrini. Neri fissa il suo zoom sui dettagli: i suoi “campioni” sono i personaggi più disparati, apparentemente “sconfitti” dalla vita, ma in realtà depositari di una profonda umanità. È per loro la delicata pietas dell’anziano scrittore.

L’amore di Neri per Milano, “città che cambia le carte in tavola continuamente”[5], “dove tutti corrono e nessuno passeggia”[6], non è stato un colpo di fulmine, come confidava a Massimiliano Martolini nel 2009:

Soltanto da poco, Milano ha cominciato ad assumere per me un aspetto familiare. Per tanti anni – per tutta la vita direi – mi sono sempre sentito un estraneo. Abitavo lì, ma non mi sentivo milanese, non c’era niente che mi piacesse particolarmente, una strada, un monumento. E pensare, invece, che ce ne sono tanti[7].

Subito dopo il poeta raccontava la sua predilezione per Piazzale Libia, così diversa dal resto della città:

È una piazza alberata, è quasi un bosco, un parco… ha circa duecento piante. Le ho contate personalmente. Ci sono delle piante di alto fusto, degli arbusti, delle siepi, del biancospino; ci sono degli arbusti di forsizia e di altri fiori – di melograno, per esempio. Quindi diciamo che il variare delle stagioni lo tocco quasi con mano, io che abito al pianterreno. Anche ora, per esempio, mentre parlo con lei: se guardi fuori, vedi il verde dei platani. Le piante mi sono sempre piaciute, e più che in una piazza mi è sempre sembrato di vivere in un’isola.

Tra i personaggi descritti da Neri in Piazza Libia si distingue il “Signor Giovanni”, un uomo “sulla cinquantina”, disoccupato, senza fissa dimora, sempre seduto su una panchina, memorabile per la sua eloquenza e la sua saggezza:

D’abitudine è intento a giocare a sudoku. Nel cerchio dei platani di piazza Libia era passato una volta anche un campione di quel gioco, che aveva notato Giovanni e l’aveva invitato a fare una partita. Lui aveva accettato. Me ne parlava un giorno che andavamo a prendere il caffè. Mi diceva: «Ma io non gioco per vincere, gioco per passione, mi diverto». E infatti, aveva vinto[8].

Il signor Giovanni è il protagonista di Piazza Libia, ma intorno a lui (e alla piazza) ruota un campionario di persone molto vario: c’è Attila, il solitario profugo venuto dall’Est, la giovane e sognante Valentina, le badanti ucraine che hanno in piazzale Libia “la loro Duma”, il panettiere laureato in Lettere, il rilegatore di libri con tutte le edizioni salgariane, il malinconico fioraio del Bangladesh: vite fuori dagli allori del mondo, ma illuminate dalla poesia.

Oltre ai testi di Piazza Libia, la Milano di Neri torna in frammenti sparsi; anzi, il primo testo di Teatro naturale, il libro Mondadori del 1998 che lo consacrò, nasce dalla suggestione di un luogo come Piazza Cordusio, dove un tempo sorgeva l’Albergo degli angeli. La vicina via Broletto viene evocata in uno dei suoi tipici camei che riportano il “mondo di ieri”:

Le vecchie San bottiglie di fernet, anni Trenta, portavano sull’etichetta l’indirizzo della ditta, via del Broletto, vicino alla chiesa di Tomaso. Ma un’altra iscrizione attirava la curiosità dei più giovani, che andavano ripetendo a voce alta: «Combatte lo spleen patema d’animo”. Erano gli anni della grande depressione, della crisi di Borsa, dei salti dalla finestra»[9].

Nei testi “milanesi” di Neri un luogo di spicco è la Ferrovia Nord, ricordata fin da L’aspetto occidentale del vestito, il suo primo libro uscito per Guanda nel 1976.

Corso Donati, il metrò
scava diverse gallerie ai giardini
radici che non dissero inutilmente
le ossa di qualche romano in provincia
e una valigia di fibra
la ferrovia della stazione Nord,
ora non ricordo tutti i particolari
un tempo passato corre via dietro gli alberi[10].

Questa poesia, come Neri raccontò a Cesare Cavalleri, ricorda il tempo in cui il poeta attraversava ogni giorno piazza Duomo per recarsi a lavorare in banca. La valigia di fibra rimandava a quei primi tempi d’incertezza economica: “Mio padre non c’era più e io dovevo barcamenare con la mia famiglia e non navigavo nell’oro” [11].

L’inizio del lavoro in banca non fu facile:

All’inizio ci fu un grande disorientamento. Avevo l’impressione di non capire niente. Sono stato sempre preoccupato, anche se cercavo di non darlo a vedere. La scuola non mi aveva dato nessuna nozione in merito. Non capivo quello che dovevo fare. Ripetevo meccanicamente delle operazioni…[12].

Ma fu proprio in banca che Neri incontrò Annamaria, l’amore di una vita:

Mi aveva incuriosito una collega, seria, silenziosa, elegante nel suo lavoro che doveva essere importante, almeno ai miei occhi. Un pomeriggio mi ero avvicinato alla sua scrivania e le avevo chiesto se potevamo incontrarci, dopo l’orario di banca. Non conoscendo Milano, abitavo a Varese, avevo proposto come luogo la porta centrale del Duomo. Lei non aveva detto di no, ma aveva suggerito la “Crocetta”, tout court. Alla mia espressione spaventata aveva aggiunto qualche parola di spiegazione e aveva concluso con un velo di ironia: «Tanto facile, no?». Lei sarebbe diventata mia moglie, ma io non ho mai dimenticato quella sua frase di conclusione[13].

La casa milanese di via d’Ovidio, in cui Neri si trasferì con la famiglia nei primi anni Cinquanta, fu il teatro di molte confidenze letterarie con il fratello Giuseppe Pontiggia, tra i personaggi più importanti dell’editoria del secondo Novecento e Premio Strega 1989 con La grande sera:

I miei ricordi del sodalizio avuto con mio fratello Giuseppe Pontiggia, detto Peppo, risalgono grossomodo ai primi anni Cinquanta. Abitavamo allora insieme, con mia madre Angela e mia sorella Elena, a Milano, in via d’Ovidio, in una casa di recente costruzione, a pochi passi dai giardini intorno all’università. Avevamo l’abitudine noi due, di una piccola passeggiata dopo cena e parlavamo, molto più lui, di libri e letteratura ma anche di spor e altro. Personalmente avevo come l’impressione di nutrirmi alle sue parole, ai suoi giudizi e commenti sempre meditati, ponderati[14].

Milano per Neri è stata il luogo di decisivi incontri letterari: con Giancarlo Majorino che pubblicò le sue prime poesie sulla rivista Il corpo, con Giovanni Raboni e Maurizio Cucchi che lo fecero approdare rispettivamente a Guanda e a Mondadori, con Giovanni Giudici che frequentò a lungo:

Abitava in un palazzo della Olivetti perché lui si occupava della pubblicità di quella società. Io lavoravo in banca al pianterreno dello stesso palazzo. La frequentazione con Giudici divenne così abbastanza spontanea e ci si vedeva per un caffè a metà mattina… Giudici parlava spesso di poesia, dei suoi conoscenti e amici poeti, fra i quali ricordo Umberto Saba, Luciano Erba e Attilio Bertolucci. Lo ricordo come una persona molto disponibile, dotata di una memoria fuori dal comune. La sua poesia, formalmente così elegante, rifletteva molto il suo carattere[15].

Tra i monumenti milanesi, Neri apprezzava in particolare la basilica di Sant’Ambrogio e il Castello sforzesco, nella cui Biblioteca trovò i nomi dei banditi poi citati nell’Aspetto occidentale del vestito: “però quei nomi tornavano, il Cremonese il Cuoco/ il Montagnolo il Civetta/ il Nano e gli altri compresi nei bandi”[16].

C’è una statua milanese che muoveva la riflessione di Neri negli ultimi anni: è il monumento equestre a Giovanni Missori, nell’omonima piazza a cui dedicò la sequenza Del valore sfortunato, solo che a catturare l’attenzione del poeta non era tanto il cavaliere quanto il suo cavallo[17]:

Il generale ha una sciabola spezzata, simbolo del valore sfortunato,
ma guarda arditamente in avanti. Il cavallo ha la testa bassa
e l’aria di cercare qualcosa, un ciuffo d’erba o un posto
dove riposare, e sembra l’unica cosa vera e reale nel mondo
della irrealtà”.

[…]

Eppure c’è qualcosa di umano in quel cavallo, che non finisce
di attirare chi lo guardi, anche solo di sfuggita, passando
in tram per piazza Missori.

Forse quel cavallo era per Neri un simbolo dell’umiltà, virtù che ha sempre amato e che compare in uno dei suoi ultimi testi, quasi un testamento spirituale:

Si dice di alcune persone che, quando entrano in una stanza, la occupano tutta.
Dovrei immaginare che, quando se ne vanno, lasciano un grande vuoto.
Sono invece portato a pensare che a lasciare un grande vuoto siano le persone umili, silenziose, che occupano soltanto lo spazio necessario, che si fanno amare[18].

Alessandro Rivali

*In copertina: Giampiero Neri in un ritratto fotografico di Daniele Ferroni


[1] Intervista con Giampiero Neri nel libro di Alessandro Rivali, Giampiero Neri – un maestro in ombra, Jaca Book, Milano 2013, pp. 104-105.

[2] Giampiero Neri, Il professor Fumagalli e altre figure, Mondadori, Milano 2012, p. 94.

[3] Giampiero Neri, Un difficile viaggio, Ares, Milano 2022, p. 75.

[4] Giampiero Neri, Piazza Libia, Ares, Milano 2021.

[5] Giampiero Neri – Il mestiere del poeta, a cura di Massimiliano Martolini, Cattedrale, Ancona 2009, p. 7.

[6] Giampiero Neri, Piazza Libia, cit., p. 113.

[7] Giampiero Neri – Il mestiere del poeta, cit., p. 7.

[8] Giampiero Neri, Piazza Libia, cit., p. 19.

[9] Giampiero Neri, Antologia personale, Garzanti, Milano 2022, p. 128.

[10] Giampiero Neri, Piazza Libia, cit., p. 13.

[11] Cfr Studi cattolici, n. 478, dicembre 2000.

[12] Alessandro Rivali, Giampiero Neri – un maestro in ombra, cit., p. 56.

[13] Giampiero Neri, Utopie, Ares, Milano 2023, p. 119.

[14] Ivi, p. 125.

[15] Alessandro Rivali, Giampiero Neri – un maestro in ombra, cit., p. 62.

[16] Giampiero Neri, Poesie 1960-2005, cit., p. 23.

[17] Cfr Alessandro Rivali, Giampiero Neri – un maestro in ombra, cit., pp. 134-139.

[18] Giampiero Neri, Utopie, cit., p. 41.

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