Linee che sembrano ponti. “Se qualcuno dice – quello sembra un ponte – non mi dà nessun fastidio”.
Come ideogrammi che si susseguono. Vuoti e neri dentro il bianco. Il bianco che sovrasta il nero. Poi ancora, il nero sovrasta il bianco. Così, a ripetizione.
Il lavoro e la vita di Franz Kline (1910-1962) inserito a forza nella corrente dell’espressionismo astratto degli anni Cinquanta, è un mistero ricco di minimalismo e colori neutri. Tele immense, mostruose, imponenti. Tele che sovrastano (come quelle di Motherwell, di Rothko) incredibili per l’epoca. Tele che contengono solo due colori. Bianco e nero. Pittura industriale pittata sulla tela con grossi pennelli da imbianchino.
Al centro quasi sempre ideogrammi (o quello che per Kline e per il fruitore possono rappresentare). Un ponte, un simbolo, una città. Il nero in mezzo al bianco. Il bianco che divora il nero. Una cancella l’altra. All’infinito.
Quando gli domandano se i suoi segni, i suoi ponti, i suoi quadri possono essere considerati allegri o tristi risponde, “è bello dipingere un quadro allegro dopo uno triste. Penso che in molti ci sia una specie di solitudine, che però non significa che mi sento solo e allora dipingo quadri con un senso di solitudine, ma che mi piacciono le cose in qualche modo solitarie…”.
Kline ha iniziato a sviluppare il suo stile minimale attorno alla fine degli anni Quaranta. Quando decide di cancellare il colore e cominciare la pittura su grande formato. Un amico gli presta del denaro e così finisce per comprare undici metri di tela per quaranta dollari. Al posto di preservarla usandone solo una parte decide per usarla tutta (quando era senza tela solitamente dipingeva strani simboli sulle pagine dell’elenco telefonico) sovrapponendo la figura nera sullo sfondo bianco.
“Se scrivi una lettera C poi non riempi il cerchio di bianco. Quando le persone descrivono le forme pittoriche in senso calligrafico in realtà quello di cui parlano è il segnico, l’idea di inscrivere un disegno…”.
Kline rifletteva sul modo di osservare l’opera da parte del fruitore. Siccome la gente è educata a guardare il disegno allora si concentra sulle linee. Così le linee sono immerse nel bianco, il nero nuovamente lo sovrasta (magari coprendone solo una piccola parte) ancora il bianco interviene cancellandone un piccolo frammento, così via.
Il pittore d’altronde era affascinato dai pittori neri. Velàzquez, Tintoretto, Rembrandt, Goya. Un groviglio che si risolveva sempre con quelle immagini, magnifiche ed impressionanti. Lavori che durano un attimo, altri che proseguono all’infinito.
“I bianchi poi si sono ingialliti e c’è un sacco di gente che te lo fa notare, sai: vogliono che il bianco rimanga bianco per sempre. A me non importa invece. Rimane comunque bianco rispetto al nero”.
Fabrizio Testa