31 Maggio 2020

Lettura domenicale. Elio Paoloni, “La coppia inattuale. Matrimoni politicamente scorretti”. Un brano sull’“interruzione volontaria di gravidanza”

La coppia inattuale, di Elio Paoloni, TAU editrice, è un contro-manuale di coppia scomodo, scanzonato e profondo, spesso provocatorio (un capitolo è dedicato all’elogio del sensale di matrimoni). Attingendo alla storia, alla letteratura, e soprattutto alla common decency, quella naturale predisposizione morale delle classi popolari a cui faceva costante riferimento George Orwell, “un sentimento intuitivo delle cose che non si devono fare se si vuol restare degni della propria umanità”, Paoloni intende dimostrare, pur evitando accuratamente ogni genere di argomentazione religiosa, che alcuni valori sono fondamentali per qualsiasi società che voglia restare civile, sana, strutturata. Qui sotto un brano relativo all’aborto.

***

Interruzione volontaria di gravidanza, che si contrae in IVG. Un acrostico, una sigla. Neutra, deodorata, devitalizzata. Gli acronimi sono l’ultima moda in fatto di eufemismo, l’eufemismo perfetto. L’eufemismo è un delitto. Uccide la verità, poi ci permette di sopprimere la vita. Ascoltate una donna incinta che parla della gravidanza che intende portare a termine: si rivolge al contenuto del suo grembo come a un bambino, da subito. Già nei primi giorni ne parla designandolo con un nome proprio, quello che gli darà al battesimo. Nell’altro caso, invece, si parla di embrione, feto, o, meglio ancora, non lo si nomina in alcun modo. Si tenta di considerarlo un’escrescenza, una cisti. Così un omicidio diventa faccenda di donne, confuso tra perdite, mestruazioni e ritardi, quelle robe lì. Se lo si chiamasse bambino non si potrebbe evitare di chiedere il parere – almeno “consultivo”, formula ipocrita che sta in tanti atti amministrativi – di chi, qualche mese dopo si vedrebbe investito fino alla morte, in qualità di padre, da responsabilità giuridiche, economiche, morali. Se usi il termine appropriato permetti anche alla ragazzina incinta di essere consapevole. Consapevole davvero, non intronata dalla speciosa terminologia adottata dalle riviste femminili e dai quotidiani progressisti.

*

Si arrampicheranno sugli specchi per spiegarvi che quella cosa non è nulla, non è una persona, non è una vita. Perché qui, perché là. “Non soffre”. “Non ha memoria”. In uno scambio epistolare un mite scrittore mi ha scritto “il feto è non è nulla o è poco”. Poco. Sì, ha scritto poco. Poco. Come anche un mongoloide, immagino, o un malato di Alzheimer, che non ha memoria. E continuava, serafico: “un topo o un’ombrina soffrono più di un feto di tre mesi”, fondando un’etica sulla scala di resistenza al dolore. Vale a dire che se ammazzo sul colpo un uomo addormentato (sofferenza zero) non dovrei essere imputabile. Da prepararci subito un disegno di legge. Ultimamente, va detto, evitano queste argomentazioni perché proprio quella Scienza che sbandieravano ha definitivamente accertato che nell’ovulo fecondato c’è tutto il destino di quell’essere, malattie comprese. Ma lo sapevano già tutti, senza bisogno di risultanze scientifiche – e non importa se credono o no all’anima – che quello è un preciso progetto di vita, che da lì nascerebbe proprio ed esclusivamente quella persona, quell’individuo, quella realtà vitale. Come si può tranquillamente stroncare quell’essere, se solo dopo qualche mese lo stesso atto viene visto come orrendo delitto, abominevole comportamento?

*

Ascolto di continuo i belati degli osservatori comprensivi: ma cosa credi, è una scelta difficile, le donne ne soffrono. Diamo per scontato che sia vero, anche se non sempre lo è: molti consultori fanno di tutto per renderla facile; non che ve sia bisogno: l’ideologia dominante, l’isteria femministoide, l’assuefazione, fanno sì che le ragazzine vi ricorrano come se si trattasse di prendere un’aspirina. Dopo anni, magari decenni, alla nascita di un figlio, alla morte di un congiunto o per la caduta della negazione, forse realizzeranno e si troveranno a far ricorso allo psicologo. Intanto molte la vedono facile. Ma la mia risposta, in ogni caso, è: chi se ne frega. Sorvolare sul delitto perché l’assassino ci ha pensato su e, poer nano, è pure dispiaciuto, è abominevole. Ha fatto a pezzi la nonna, però, sai, è stata una decisione difficile.

*

Lui è Elio Paoloni. Tra le altre cose ha pubblicato con Melville, nel 2019, “Abbronzati a sinistra”

Ridicolo il tiramolla sul periodo di liceità del delitto. Tre settimane, no, due, no, quattro, il tutto condito con farneticazioni parascientifiche e pretestuose disquisizioni giuridiche. Cosa succede, a parere di lor signori, al novantunesimo giorno? Non può trattarsi dell’instaurarsi di un’anima, alla quale lor signori non credono, dunque si tratta di una questione di fattezze, la riconoscibilità delle forme. Ma ogni limite può essere spostato. Aristotele, non edotto sul DNA, immaginava che lo sperma rimanesse in qualche modo ‘separato’ dall’embrione fino a un certo punto. A tentoni individuava nel quarantesimo giorno di gestazione la comparsa del movimento e della sensazione, legata al formarsi del cuore, dopodiché l’aborto sarebbe divenuto empio. Lo Stato di New York, invece, ha promulgato una legge secondo la quale, se è a rischio la salute della madre, l’aborto può essere praticato in qualsiasi momento, anche il giorno prima del parto, in sostanza. Non vi sarebbe nulla da eccepire, a un primo sguardo, ma se consideriamo che in quella vaga formulazione, ‘salute’, possono rientrare le problematiche psicologiche, e sapendo bene che per il DSM, la bibbia degli psicoterapeuti, anche la melanconia è ormai una vera e propria malattia, ne risulta che se al settimo mese mi prende la malinconia posso avviarmi tranquillamente all’aborto.

*

Gli ingenui danno per scontato che la determinazione della presenza o dell’assenza di vita o meglio di diritti – tot settimane, tot mesi – preceda e determini la formulazione della legge. Ma è sempre il contrario: avendo deciso di avallare l’omicidio si è cercata la giustificazione “scientifica”. Perché gli abortisti non si oppongono al divieto di abortire dopo una certa data?  Anche a otto mesi il feto dovrebbe “appartenere” alla donna: è pur sempre nell’utero. E quello è mio e me lo gestisco io. L’opinione della maggioranza è spesso associabile all’orrore, specie in quell’abuso di democrazia diretta costituito da certi referendum: qualche anno fa è stato chiesto a milioni di assoluti profani di decidere il numero di ovuli impiantabili nella procreazione assistita. Se, cioè, nove erano troppi o troppo pochi. Ovvio che la risposta a quel quesito sia stata – necessariamente e in tutti e due i casi – ideologica, ovvero governata dalle parole d’ordine delle élites. Vergognoso lo sdegno dei media verso le madri che abbandonano il neonato nel cassonetto, ipocrite le lacrimucce di chi in quel cassonetto ha lasciato depositare decine di feti.

*

Si parla spesso del “dovere della memoria”: non bisogna dimenticare (perciò beccatevi queste tremende immagini dello sterminio degli ebrei). Ma l’immagine di un feto fatto a pezzi durante un’operazione di aborto non è altrettanto orribile di una cadavere scheletrico bruciato in un forno crematorio? Perché quest’ultima viene di continuo ostentata in film, reportage e fiction mentre la seconda è proibita e nascosta? – si chiede lo storico Franco Cardini. Certo, sulla shoah si è tutti d’accordo mentre sul fatto che l’aborto sia o meno una pratica delittuosa esiste una radicale divergenza che attraversa e spacca la nostra società. Proprio per questo, però, dovremmo mostrare come si trucidano i bambini (questo sono: bambini).

Elio Paoloni

*In copertina: Lorenzo Lotto, “Giovanni della Volta con moglie e figli”, 1547

Gruppo MAGOG