11 Dicembre 2021

“Amare il vero, il bello, cercarne l’armonia”. Alfred de Musset: un invito alla lettura (con antologia)

Per scrivere la storia della propria vita, bisogna prima aver vissuto; non è perciò la mia che sto scrivendo.” Con questo espediente narrativo, per raccontare in realtà la tormentata storia d’amore vissuta con Georges Sand, nelle prime righe del suo capolavoro in prosa, Le confessioni di un figlio del secolo, l’Ottocento, ovviamente, Alfred de Musset, saggio almeno in questo, lui che fu con l’amante e collega fu una vera e propria stella di quello che allora ero lo star system più seguito e considerato, dai rotocalchi da scandalo come dai pettegolezzi da salotto, lo star system letterario. Come in quello cinematografico o televisivo, nulla di diverso, se a esser protagonista è un grande poeta quale fu il parigino figlio del curatore delle opere complete di Rousseau, nato l’11 dicembre 1810, morto quarantaseienne per una disfunzione circolatoria e per avere avuto una vita, vissuta, di certo intensamente come un James Dean, da star della letteratura dalle alterne vicende e, a parte il Lorenzaccio, dai molti fallimenti in quel teatro in cui aveva cercato l’affermazione mondana.

“Nessuno ha realizzato dei frammenti più belli di Musset, ma nient’altro che dei frammenti; non un’opera!” Questo dirà di lui Gustave Flaubert, forse ingeneroso ma certo non geloso, e più probabilmente inconsapevole del fatto che Musset, al pari di Madame Bovary e del Michel de L’educazione sentimentale, e dunque dello stesso romanziere di Rouen, sarà il sismografo di una fase nella quale tutto ciò che apparteneva al passato non c’era più, e tutto ciò che sarebbe potuto appartenere al futuro ancora non si era palesato e semmai intravisto dai più veggenti dei genî letterari, Baudelaire, Rimbaud, e via scrivendo.

Lo spirito del tempo sarà infatti perfettamente incarnato da Musset, o forse la “malattia del secolo” era, come afferma il suo alter ego Octave, la ragazza con cui aveva a che fare e di cui si era innamorato, come Alfred sempre lo fu, da giovane e poi maturo, degli alcolici, e, prima e dopo la folle avventura con la futura amante di Chopin, e autrice di Indiana, come di tante attrici e attricette da cui era rapito quanto dagli stati di lucidità extracorporea durante il sonno, di cui fu sovente vittima, e già a Venezia, dove la Sand, perfida, subito ne approfittò per tradirlo con un medico, proprio quello che lo avrebbe dovuto curare.

Scene da un matrimonio, probabilmente con luci e ombre alla Ingmar Bergman, ma soprattutto consumato a velocità da James Dean, con i reportage giornalistici da star system hollywoodiano, gli equivalenti di foto e post da influencers odierni, che giungevano con rapidità sempre maggiore in quel di Parigi, a nutrire le altrettanto crescenti chiacchiere mondane.

Per i vampiri di notizie, per le comari, per i futuri studiosi sandisti e mussettiani, ben lungi dal fuoriuscire dai ventri delle loro madri, ma già scalpitanti per gli assegni accademici, universitari, tutto faceva brodo, tranne il fatto che stelle del cinema e compulsivi da schermo, e neppure i loro commentatori e cronachisti, non hanno mai nemmeno vergato nulla di valore.

In tutta probabilità, niente che avesse questo genere di tono. Di certo, nulla che potesse richiamare alla vita la borghesia.

“Lo chiedo a voi, uomini del secolo, […] che stasera, andando a letto, leggerete per addormentarvi qualche bestemmia logora del vecchio Voltaire, […] qualche discorso sull’economia di una commissione delle nostre camere, che respirate in poche parole, attraverso qualcuno dei vostri pori, le fredde sostanze di quella ninfea mostruosa che la Ragione pianta ne cuore delle nostre città; vi chiedo, se per caso questo libro oscuro capitasse tra le vostre mani, di non sorridere con nobile disdegno; non alzate troppo le spalle; non ditevi con troppa sicurezza che mi lamento di un male immaginario”.

Perché un giorno, in mezzo alla vostra vita stagnante e immobile, può passare una ventata. La Provvidenza può soffiare su quei begli alberi che innaffiate con le acque tranquille dei vostri fiumi d’oblio; potete ridurvi alla disperazione, voi, signori impassibili; vi sono lacrime nei vostri occhi. Non vi dirò che le vostre amanti possono tradirvi; un cavallo che muore è per voi una pena più grande; ma vi dirò che si perde in Borsa; […] che […], pur di ghiaccio come siete, potete amare qualcosa; in fondo alle vostre viscere può staccarsi una fibra e potete emettere un grido che assomigli un dolore”.

Agli “immutabili ragionatori”, uomini di marmo che hanno per unico principe Satana, egoisti, mai disperati se non per qualche perdita di denaro, Musset, sorta di moralista debosciato alla Francis Scott Fitzgerald, alla Bret Easton Ellis, alla Jay McInerney, ma francese, ergo con un secolo e mezzo d’anticipo, oppone una forma di apertura, un aprirsi ad altro.

Poeta evidentemente in cerca di amore e di Dio, quasi come l’autore de I paradisi artificiali, via Thomas de Quincey, a quegli uomini ottocenteschi figli della Ragione e dei deliri rivoluzionari, speculatori e borghesi, notai e avvocati, politicanti e burocrati, ricorda la vicenda d’Abelardo, nei vibranti passi di quelle Confessioni che restano il meglio, assieme a Lorenzaccio, di uno scrittore imperfetto nelle sue imperfezioni, come la vera o presunta frammentarietà delle sue opere, tra cui queste sei poesie, le ultime due incise sul monumento funerario a Père Lachaise, non troppo lontano dal teologo con la sua tanto amata.

Quando andrete in visita in quel cimitero, passate a trovarli. E, se possibile, andate a leggervi le confessioni di entrambi.

Marco Settimini

***

Sonetto per il lettore

Finora, mio lettore, seguendo l’antico uso,
Ti dicevo buongiorno appena il libro avevi schiuso.
Il finale del mio libro è meno allegro, stavolta;
In verità, questo secolo è un pessimo momento.

Tutto se ne va, i piaceri e i costumi di un altro tempo,
I re, gli dèi sconfitti, ed è il caso che trionfa.
Mi trovan troppo prudente, Suzon e Rosafinde;
Mi tratta come un bambino, il vecchio Lamartine.

La politica, la nostra miseria che ci rende infelici.
Di farne mi consigliano i miei migliori nemici,
Ma esser stasera rosso e domani bianco, no, no.

Voglio che una volta letto, mi si possa di nuovo.
Se si confondon due nomi, nella cetra che suono,
Saranno sempre e solamente Ninette o Ninon.

***

Impromptu

In risposta alla domanda: “Che cos’è la poesia?”

Scacciare ogni ricordo e il proprio pensiero fissare
E tenerlo in equilibrio su di un bell’asse d’oro,
Incerto, inquieto, eppure immobile tesoro,
Forse il sogno di un istante cercare di eternare;
E del proprio genio ascoltar nel proprio cuore l’eco;
Cantare, ridere, piangere, solo, senza scopo;
Amare il vero, il bello, cercarne l’armonia;
Di un sorriso o parola o sguardo o sospiro che sia
Farne con timore e fascino un’opera eccelsa,
Farne una perla di una lacrima che non va persa:
Del poeta di quaggiù ecco detta la passione,
Ecco il suo bene, la sua vita, e la sua ambizione.

***

“Vedersi il più possibile e amarsi solamente…”

Vedersi il più possibile e amarsi solamente,
Senz’astuzia né menzogna, o che ci si vergogni,
Né desideri ingannevoli o rimorsi profondi,
Vivere a due e dare il proprio cuore in ogni istante;

Rispettar ciò che si pensa, per quanto vi si affondi,
Far che l’amore sian giorni e non soltanto dei sogni,
E in quel chiarore poter respirar liberamente —
Come respirava Laura e cantava il suo amante.

Tu di cui ciascun passo tocca la grazia suprema,
Sei tu, testa coronata di fiori e disinvolta,
Che così bisogna amare, mi dicevi una volta.

E son io, vecchio figlio del dubbio, e che blasfema,
Che così risponde, quando la tua domanda ascolta:
Sì, non siam conformi, ma se si ama, è senza téma.

***

Venezia

Qui, a Venezia la rossa,
Non una barca che è mossa,
Non un pescatore in mare,
E niente lampare,

Solo, adagiato a riva,
Il grande leone leva,
Su queste linee serene,
Il bronzeo piede.

Tutt’attorno a lui, in gruppi,
I velieri, le scialuppe,
Forman cerchi negli albori,
Simili ad aironi,

Dormon sull’acqua che fuma,
E incrociano nella bruma,
In leggeri mulinelli,
I loro vessilli.

La luna che si cancella
Si copre la fronte bella
Con una nube stellata
Per metà velata.

È così che la badessa
Di Santa Croce riabbassa
Le ampie falde della cappa
Sulla sua cotta.

E tutti i palazzi antichi,
Ed i gravi porticati,
E le scale dei cavalieri,
In tutti i sestieri,

E i ponti, e le viuzze,
Delle statue le tristezze,
Ed il golfo in movimento,
Tremulo nel vento,

Tutto tace, ma le guardie
Armate con le alabarde
Sono intente a sorvegliare
Il loro arsenale.

Ah! Di fanciulle più d’una
Attende al chiaro di luna
Qualche giovane mughetto
Con l’orecchio attento,

E per il ballo che aspetta,
Già qualcuna ora si specchia,
Con indosso il suo corsetto,
Maschera e merletto.

Nel suo talamo fragrante,
Mentre stringe il suo amante,
Vanina estatica geme,
E al sonno poi cede.

E Narcisa, quella folle,
Dentro a una delle gondole,
Il suo banchetto assapora,
Fin dopo l’aurora.

E chi in quest’Italia mia
Non ha il suo po’ di follia?
Chi non serba per gli amori
I giorni migliori?

Lasciam le vecchie lancette
Contare d’ogni sua notte
Il bel palazzo del doge
Le sue lunghe noie.

Contiam piuttosto, mia bella,
Sulla tua bocca ribelle
I baci che ci siam dati…
Oppur perdonati.

Noi piuttosto i tuoi incanti
Contiamo, e i dolci pianti
Versati dai nostri occhi
Per tutti i diletti.

***

Lucie (frammento)

Miei cari amici, quando morirò,
Piantate un salice al cimitero.
Il suo fogliame piangente amo;
Il suo pallore mi è dolce e caro,
E il suo ombreggiare sarà leggero
Per il terreno dove io dormirò.

***

Ricorda

Ricorda, quando sotto fredda terra
Il mio infranto cuore dormirà per sempre;
Ricorda, quando il solitario fiore
Sulla mia tomba si aprirà dolcemente.
Non ti rivedrò più; ma la mia anima immortale
Tornerà accanto a te come fedele sorella.
Nella notte dovrai ascoltare
Una voce che si lamenta:
Ricorda.

Alfred de Musset

*traduzioni di Marco Settimini

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