16 Maggio 2020

“Non voglio parlare con nessuno. Voglio vederci chiaro dentro di me”. Una lettera inedita di Alejandra Pizarnik

Alejandra Pizarnik è artista ‘totale’, esempio raro, radioso, in cui l’opera s’incardina in una incessante ricerca esistenziale. Naturalmente, della Pizarnik vanno lette, soppesate, amate le poesie; ma è la sua vita, come capita al poeta che pare assumere in sé tutti i dolori della terra, ad affascinarci. In questo caso, le lettere sono un telescopio formidabile. La casa editrice Giometti & Antonello, con pregio riconosciuto, ha raccolto parte dell’epistolario nel volume “L’altra voce”. Tanto è da tradurre: i diari, le mirabili lettere di Cristina Campo, ad esempio. Nel 2012 l’editore Eduvim, per la cura di Andrea Ostrov, ha pubblicato la raccolta di “Cartas” tra la Pizarnik e León Ostrov; il libro ha avuto una edizione francese nel 2016, e una traduzione parziale in inglese. A dire dell’interesse che gravita intorno alla piccola, grande Pizarnik. Le lettere coprono gli anni 1960-1964, quelli ‘parigini’, e sono importanti perché Ostrov è stato il primo psicanalista della Pizarnik, con cui lei iniziò la terapia – durata per un anno – a 18 anni, nel 1954. La lettera che traduciamo, in particolare, esito di un viaggio italiano della Pizarnik (che è anche un viaggio nella psiche), non è datata. Di certo, è scritta dopo l’agosto del 1961: la Pizarnik fa cenno ad alcune poesie pubblicate per la prima volta su “La Nouvelle Revue Française”. In quel numero (il 104, agosto 1961), insieme a lei, testi di Jean Giono, Maurice Blanchot (“Rimbaud e l’Oeuvre finale”), Philippe Jaccottet. Testi della Pizarnik furono pubblicati anche nel numero della N.R.F. del maggio 1962, in quel caso insieme a testi di Marcel Jouhandeau e Roger Caillois, Michel Butor e Borges.

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Caro León Ostrov,

le scrivo da Capri, da un caffè circondato da barche dentro un mare perfettamente blu e sotto un cielo purissimo. Sono stata tre giorni a Roma – seguendo il suo consiglio – e mi sono innamorata delle sue strade. Mi sono promessa di ritornarvi per più tempo. Adesso sono a Capri – è il mio primo giorno– e mi sento scontenta… Il mese scorso sono stata così stanca da non avere le forze neppure per scegliere un posto dove trascorrere le mie vacanze (un mese). Dietro consiglio di mia cugina, che studia Medicina, sono venuta a Capri con il Club Méditerranée, una sorta di agenzia di viaggi influenzata, forse, dagli accampamenti israeliani visto che al posto dell’albergo ci sono delle capanne e i membri di ogni contingente si manifestano estremamente desiderosi di fare una vita comunitaria. Io, più stanca che nuova, e senza poter parlare con nessuno, ma come parlare con questi giovani che mi ricordano la mia adolescenza beota? Quel che è certo è che sono assolutamente esiliata dalla società e ho appena appurato che non è un’espressione vuota di senso. Semplicemente, non ho niente di cui parlare con quelli, non c’è niente in comune. Ma sono io quella che capisce, sono io quella che sa. Questo non è così difficile da dire. Ma poi non voglio parlare con. Con nessuno. Voglio vederci chiaro in me. Ho voglia di tornare a casa mia (a Buenos Aires). Ragioni di salute. Ogni giorno mi sento più stanca, più malata (solo e sempre capogiri e stanchezza). Mi piacerebbe andare a riposarmi qualche mese. Ma dalle parti di Parigi o Roma, ma che farò in una città tanto brutta come Buenos Aires. Ma non si vive per le strade. Insomma, non so come farò a sopportare questo mese a Capri non solo per gli idioti del club ma anche per le sue spiagge orribili. Un’altra cosa che mi disgusta è il paesaggio tipico delle classiche cartoline postali. Non ci sono dubbi, il surrealismo mi ha fatto male… Non so se le ho detto che mi hanno pubblicato le poesie nella N. R. F. e nelle Lettres Nouvelles. Insomma, sono stanca e soffro di insonnia. Sono spiacente per questa lettera senza umore, senza niente. Sono priva di forze per fare di più. Inoltre adesso mi angoscia questa mescolanza di francese, italiano e spagnolo che uso nella mia vita quotidiana. Parlare varie lingue è non parlarne nessuna. Non invano Rimbaud lasciò la poesia per dedicarsi immediatamente alle lingue. Così io, adesso, mi nego di parlare spagnolo addirittura con chi lo sa. Da due mesi non scrivo poesie. Credo sia “conveniente” tornare a riposare e scrivere. Mi piacerebbe dirle di più. Ho guardato tanto e pensato e osservato tanto in questi giorni. Scriverò qualcosa chissà, un racconto chissà, una cronaca sulla scoperta di quanto imbecille possa essere la gente che lo è. E nonostante sia triste per questo, per rendermene conto io, e loro no. Se sapendo quel che so non scrivo poesie belle… Insomma, conflitti di qualcuno senza una vita personale. Le scriverò ancora, da qui o non appena arriverò: “Chiedo perdono per la tristezza”. Abbracci a tutti e tre,

Alejandra

*la traduzione italiana è di Mercedes Ariza

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