«Non bisogna incolpare le donne se non sono all’altezza dell’immagine ideale che ci facciamo di loro; non possono capirlo, perché nelle loro teste limitate un concetto così vasto non ci entra (…). Se io scrivessi qui ora queste frasi, in prima persona, verrei giustamente sommerso da biasimo e vituperio; invece, per fortuna, quella che ho appena riportato è l’onesta parafrasi di un brano di una delle poesie più mature del maggior poeta lirico italiano di tutti i tempi. Dunque, che fare? Censurare Leopardi? Togliere Aspasia dalla raccolta dei Canti, o almeno dalle edizioni scolastiche? O spiegarlo mettendo quei versi sul conto di una privata infelicità dicendo alle liceali che li leggono: “compatitelo, era gobbo, puzzava e le donne lo schifavano?”».
Così inizia il saggio pamphlet di Walter Siti, Contro l’impegno. Riflessioni sul bene in letteratura (Rizzoli), e così, in un certo senso, potrebbe anche finire. Certo poi bisognerebbe spiegare il motivo del costo eccessivo per una citazione di un autore che, seppur massimo, è fuori diritti da un sacco di tempo chiosata da un paio di righe di riflessione che non sono certo la Logica di Russel. Ma comunque, Siti spiega qui come si deve trattare la letteratura nell’era della Cancel Culture e dei movimenti come Disrupt texts, che impongono libri da non leggere, asterischi mozzanti, tasti blu del telecomando. Leopardi quindi, si continui a insegnare nelle scuole, ma, dice Siti, che lo si spieghi. Che si dica ai ragazzi che quell’immenso uomo fragile e geniale non riusciva a vedere una donna neanche col binocolo, che era impacciato, schiavo di un’idea di donna altissima e perfetta, rintuzzato dall’immagine spavalda e fiera dell’amico Ranieri.
Ma allora, se un autore si spiega per l’uomo che era, perché dovremmo pensare alla sua poesia come immortale? Perché invece non si ha il coraggio di dire che di quei versi in fondo, non ce ne importa nulla del motivo per cui li ha scritti, sicuramente sarà come ha detto Siti, puzzava come un montone, Leopardi, ma perché dobbiamo sempre rincorrere questa esigenza di spiegazione? Ragazzi – dovrebbe dire l’insegnante – Leopardi è quanto di più alto leggerete nella vostra vita, quanto di più lirico, quanto di più perfetto, andiamo oltre queste banalità qui, scaviamo le parole, raccontiamoci le percezioni, come ci fa sentire Leopardi? Poi è ovvio, alla Normale, se un professore se ne esce con queste scemenze verrà preso giustamente a calci, ma che lo si faccia al liceo.
Quindi la ricetta che per Siti è la lezione principale, ovvero insegnare a capire, è forse il giusto antidoto per rendere i ragazzi consapevoli, per tranquillizzarli sulla poesia di Leopardi, ma è anche l’anestetico più potente che si possa dare alla poesia stessa.
Andando oltre, nella prefazione (unica parte del libro inedita, gli altri contributi sono usciti tutti o su quotidiani o su riviste specializzate), Siti rimette la letteratura al centro del villaggio. Meglio Pascoli di Ada Negri, meglio Flaubert della Serao. In una parola, non è il genere che fa letteratura, ma il genio. Ma Siti rischia, non si tira indietro e cita una grande storica dell’arte, Linda Nochlin che motiva l’esiguo numero di pittrici donne con una battuta tanto affilata quanto illuminante: «per le stesse ragioni per cui non esistono grandi tennisti eschimesi», ovvero, mancavano le strutture sociali perché le donne potessero esprimersi cinquant’anni fa, come mancano i campi da tennis al Polo.
Ma quindi, ora che sappiamo come va trattata e chi è meglio di chi, cos’è la letteratura? Conoscenza. Esattamente questo. Si potrebbe pensare che non sia una grande scoperta ed effettivamente è così, ma in questa epoca di conoscenze superficiali e pigri slanci emotivi, la conoscenza letteraria si riprende un ruolo importantissimo per quei pochi che vogliano frequentarla assiduamente. Scoprire tra le crepe, cesellare l’inutile con lo scalpello della finzione, arrivare alle vette che non si pensavano di poter raggiungere. Questo è letteratura per Siti. Lo stesso che prova immenso sconforto nel ragionare sugli scritti di Saviano, su quelli di Carofiglio, di Catozzella. Qui Siti fa un elenco accuratissimo di ciò che va e ciò che non va bene, la forma signori, la forma non va bene, è letteratura di bassa lega, secondo il Siti, questa che si propone come sceneggiatura impegnata per una facile comprensione del presente. Ma ancora una volta c’è un disaccordo che sorge: come si fa a pensare che i libri di Saviano o quelli di Carofiglio, quelli di Catozzella o quelli di qualche giornalista americana impegnata a non offendere nessuno se non la sua intelligenza, come si fa, dicevo, a pensare che quella sia letteratura? È facile, fin troppo. Non lo è, letteratura, né di alta, né di bassa lega, è solo puro intrattenimento, è merce economica, perché, come analizza lo stesso Siti, quel libro è scritto come una serie, che puntualmente viene realizzata, puntualmente con la partecipazione dello scrittore alla scrittura della sceneggiatura e puntualmente, si sa, the show must go on, si farà un secondo libro, e un’altra serie, e un altro spin off e altre cose. Chiedete a De Giovanni, sono anni che me lo immagino legato con corde dorate mentre scrive l’ennesimo capitolo di una delle sue mille saghe.
È solamente spicciola economia, qui della letteratura, quella vera, che il più delle volte non porta sghei e consolazioni ma abissi e incertezze, quella letteratura non vuol farla più nessuno. Con o contro l’impegno, non resta che ballare sulle macerie.
Andrea Crisanti
*In copertina: Nicola Samorì, Radice sul nero, 2016