12 Dicembre 2017

Tutti parlano di Star Wars. Ma in Inghilterra scoppia la polemica: i romanzi si scrivono meglio con la vagina…

Pare incredibile. Nel resto del pianeta culturale non si parla d’altro che di Star Wars, qualcosa che più che alla storia del cinema, ormai, ha a che fare con la teologia. L’ultimo film della terza trilogia, l’ottavo, Gli ultimi Jedi, è nelle sale dal 13 dicembre: benché sia un fenomeno del tutto americano, frutto del cervello fantascientifico di George Lucas, El Pais all’urlo ‘Star Wars’, las películas de peor a mejor, s’è inventato uno speciale obbligando quattro giornalisti a spremersi “analizzando le otto pellicole”, manco fossero la Repubblica di Platone. D’altronde, i francesi de Le Figaro, con ansia cartesiana, ci raccontano “tutto quello che bisogna sapere” sull’ultimo episodio della saga. Per fortuna c’è John Boyne a scombinare i piani di una informazione appiattita sull’ovvio. Boyne, dublinese, classe 1971, è quello del Bambino con il pigiama a righe, la storia, un po’ patetica, di Bruno, il bimbo tedesco che fa amicizia con l’ebreo nel campo di sterminio vicino a casa, da cui è stato tratto un film di un certo successo. Tradotto con brio in Italia (da Rizzoli), Boyne se ne esce sul Guardian con una polemica natalizia, Women are better writers than men. Proprio così. Nel bel mezzo della sua riflessione, Boyne spara questa frase lapidaria, “penso che le donne siano narratrici migliori degli uomini – l’ho detto”. La riflessione di Boyne parte da un dato di fatto culturale e trasversalmente pop. Sulle tovaglie che ritraggono i massimi scrittori d’Irlanda – campioni di cui, giustamente, gli irlandesi vanno orgogliosi – ci sono James Joyce e Samuel Beckett, George Bernard Show e Oscar Wilde, ma… “non c’è una vagina tra loro” (testuale). Cioè mancano Molly Keane, Edna O’Brien, Maria Edgeworth; scrittrici, tuttavia, che anche prese insieme, in un unico mazzetto, ci dicono molto, molto poco rispetto ai colleghi con la verga in mezzo, più ‘palestrati’ culturalmente. La polemica di Boyne – che spiattellata così pare davvero un poco rétro – ha il suo acme poco dopo. “Recentemente la palma paradossale di ‘più grande scrittore Americano’ è andata a un maschio bianco, Jonathan Franzen, che ha prodotto soltanto un romanzo meritevole, Le correzioni… tre minuti e mezzo dei Pet Shop Boys sono più ispirati e ironici di 600 pagine di tedio alla Franzen”. D’altronde, “sono sempre stati gli uomini a ritenersi i più grandi scrittori degli Stati Uniti. Gli ultimi sono stati John Updike, Norman Mailer, Gore Vidal, Saul Bellow e Philip Roth. I primi quattro sono morti, il quinto in pensione, e nonostante la loro determinazione a sopravvivere ai posteri, chi li legge ancora se non per spolverare lo scaffale? Eppure, io leggo ancora volentieri Il buio oltre la siepe di Harper Lee e Il cuore è un cacciatore solitario di Carson McCaullers”.

john boyne
Lui è John Boyne

Convinto che i maschi appena scrivono un libro “si sentono compiaciuti per avere prodotto un lavoro intellettuale e provocatorio”, mentre le scrittrici donne devono lottare “con le unghie e con i denti per convincere il prossimo che non sono ragazze con le gambe nude distese su un campo di fieno roteando un nontiscordardime”, Boyne dettaglia il suo pensierino. Per gli uomini “le femmine, in un romanzo, si comportano come se fossero lì solo per fare sesso o per confermarli nella loro genialità”; le donne, invece, per natura “dovendo allevare i figli, gestire la casa e soddisfare le attese della società” hanno sopraffina capacità di “comprendere la complessità umana e di creare personaggi autentici”. Gli scrittori con il pene “sono ossessionati dalla propria reputazione più che dalla creazione di un romanzo davvero impeccabile”, ragion per cui, a conti fatti, la lotta per decretare “Il Più Grande Romanziere Vivente” si restringe per Boyne a un parterre di sole donne: Anne Tyler, Sarah Waters, Margaret Atwood. Ha ragione Boyne? La vagina è un romanziere migliore del pene? Dovremo sostituire Dante Alighieri con Vittoria Colonna, Alessandro Manzoni con Liala e Italo Calvino con Sibilla Aleramo? Calmi. Intanto. Il romanzo in lingua inglese ha una forte impronta femminile: pensiamo a Jane Austen, alle Brontë Sisters, a George Eliot, a Virginia Woolf. Che in Italia ci sia un problema ‘di genere’ pare indubbio: dal 2004 ad oggi il Premio Strega è andato solo a scrittori con il batacchio, idem per il Viareggio dedicato alla narrativa, dal 2010 dominio di soli maschi. Come a dire, va bene la parità, ma quando il gioco si fa duro vince chi ce l’ha più duro. Ad ogni modo, è dubbia, indubbiamente, di per sé la provocazione. Nel campo estetico conta chi è più bravo. Il ‘genere’, davvero, è una variabile impertinente, inutile, irritante.

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