“Sembravano piangere lacrime stellari”. Elogio di Amado Nervo
Libri
Valerio Ragazzini
L’opera è esito di una estenuante nudità – non si cerca il vero, lo si tenta spogliandosi di tutto ciò che ci pare tale, per educazione, per spavalderia, per esperienza. L’esperienza, infine, è utile per annientare l’esperito, la spia dei sentimenti, in virtù di una espiazione.
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Intendo. Una grande opera è il cristallo – a me importa anche l’inquietudine, la sovversione del vivere, il morso che la precede. Di Andrej Tarkovskij, devo dire, mi affascina il lignaggio – il padre Arsenij è stato un grande poeta, amico di Anna Achmatova, amato da Marina Cvetaeva – e il linguaggio. Per questo, dai film sono risalito ai “Diari”, raccolti come Martirologio, editi dall’Istituto Internazionale Tarkovskij nel 2014 – una edizione precedente, del 2002, è pubblica per Edizioni della Meridiana. L’ubriacatura del centenario felliniano ha riportato in auge, per un attimo – pare già esaurito – Il libro dei sogni; di Ingmar Bergman è invece disponibile Lanterna magica, ma soprattutto il magnetico Tre diari; di Werner Herzog si possono leggere Fitzcarraldo e Sentieri nel ghiaccio. Di un regista di genio va sondata la ‘quinta’, la testa: a volte scopriamo capolavori.
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I diari di Tarkovskij sono il registro di un lettore famelico – iniziati nel 1970, con il desiderio di girare un film su Dostoevskij, il regista parla di Thomas Mann (“Morte a Venezia è stupefacente”), cita Kenko e Seneca e Montaigne e Goethe, elogia Varlam Salamov e Hermann Hesse, sfoglia Vonnegut… –, la cronaca di un uomo che sprofonda nella ricerca del senso. Incontra Bibi Andersson, musa di Bergman, gira l’Italia con Tonino Guerra, s’incunea nel pensare. “Che cos’è la verità? Il concetto della verità? È qualcosa di talmente umano, che non sembra avere un equivalente da un punto di vista oggettivo, extraumano, assoluto. E dal momento che è qualcosa di umano, vuol dire che è limitato, inscindibilmente compresso entro i limiti dell’ambiente umano in senso materiale. Collegare l’umano all’universo è inconcepibile. E così anche la verità. Raggiungere la grandezza all’interno dei propri limiti – euclidei e insignificanti rispetto all’infinito – vuol dire dimostrare di essere umano, né più né meno. Un uomo che non tende alla grandezza dell’animo è meno di niente”. Per l’artista la questione non è risolvere l’interrogativo ma erigere una forma intorno ad esso; non occorre la formula che esiga la sfera del vero, ma esercitarsi, scuoiare ogni aggettivo, imbizzarrire il pensare, eludere ogni ragione domestica.
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Della vita non importano i fatti – per quanto ampia sia la statura del vivente, sono sempre fatti, insignificanti. Spesso, per dare riconoscenza all’elaborata importanza di un uomo, si ricorre al catalogo di chi ha conosciuto, di chi ha frequentato, a stilare la sofisticata teoria dei premi. Tutto questo, però, è secondario, celebra una vita ingrata, che non si regge da sé. Del diario di Tarkovskij, perciò, più che gli sketch sull’esilio italiano, la ricorrente difficoltà nel realizzare i film, la vita aspra, è persuasiva la potenza del pensare, la tragica lotta con Dio, superiore a ogni affetto. Affascina il compito e la sua spietatezza, ciò che dell’uomo, mortale, corruttibile, è inesorabile. “Il talento è una disgrazia perché se, da un lato, non dà diritto ad alcun merito né rispetto particolari, d’altro canto impone enormi vincoli, come per un uomo onesto i preziosi affidatigli perché li custodisca, senza il diritto a trarne un profitto personale”.
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Per questo la gloria è un accessorio, la fama tra gli umani una iena famelica che erode il talento, l’applauso l’esito dello sputtanamento. “Non capisco perché la gloria sia il massimo dei sogni delle cosiddette personalità del mondo artistico. È più probabile che la megalomania sia invece un segno di mancanza di talento”.
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Antologia dal martirio verbale di Tarkovskij:
“Cerco di capire quale potrebbe essere la mia vocazione: raggiungere l’assoluto, tentando di elevare, perfezionandomi, il livello della mia maestria. La dignità dell’artigiano. Il livello della qualità. Perduto da tutti perché inutile e sostituito dall’apparenza, dall’illusione della qualità. Io invece voglio conservare il livello della qualità. Come Atlante, che reggeva la Terra sulle proprie spalle. Avrebbe potuto, quand’era stanco, lasciarla semplicemente cadere. Per una sconosciuta ragione tuttavia non l’ha mai fatto, ha continuato a portarla sulle spalle. Ed è questa la cosa più sorprendente del mito, non tanto il fatto che l’abbia sopportata così a lungo, ma che abbia continuato a portarla anche dopo aver scoperto l’inganno”
“Nel corso della storia della civiltà, la parte spirituale dell’uomo si è sempre più allontanata dalla parte animale, materiale; tanto che adesso, nelle tenebre dello spazio infinito, scorgiamo appena i fanali di coda del treno che si allontana (questa è la parte del nostro essere che ci abbandona per sempre e irrimediabilmente). La carne e lo spirito, il sentimento e la ragione, non potranno riunirsi, mai più. Ormai è troppo tardi. Per il momento noi siamo ancora degli storpi, vittime di un male terribile che si chiama mancanza di spiritualità e questa è una malattia mortale”
“So bene di essere lontano dalla perfezione, anzi al contrario di essere impantanato nei peccati e nell’imperfezione, quello che non so è come combattere la mia inettitudine. Non riesco a stabilire quale debba essere la mia vita futura, sono troppo coinvolto nella mia vita presente. So soltanto una cosa, che non posso più continuare a vivere come sono vissuto fino a oggi”
“La mia vita comunque non è granché: in realtà non ho nemmeno una famiglia. Soltanto un gruppo di persone estranee tra loro, che non si capiscono l’un l’altro. Non a caso Larisa mi aveva detto che sono un estraneo. Desidero molto una casa, ho fatto di tutto per realizzarla; ma è inutile, ciascuno tira dalla sua parte… Mi sento completamente estraneo in questo tugurio, dove nessuno ha bisogno di me”
“Ancora un miracolo, oggi. Malgrado tutto ogni tanto mi capitano degli strani, meravigliosi eventi miracolosi. Oggi sono andato al cimitero, sulla tomba della mamma. Uno stretto recinto, una minuscola panchina, una lapide semplice e spoglia con una croce di legno. La fragola da giardino sta germogliando. Ho pregato Dio, ho pianto, mi sono lamentato con la mamma, le ho chiesto di pregare per me, di intercedere… Perché è proprio così, la vita è diventata assolutamente insopportabile… Mentre stavo salutando la mamma ho preso una foglia di fragola dalla sua tomba, che però durante il tragitto a casa è appassita. L’ho messa sull’acqua molto calda. La foglia si è ripresa e la mia anima si è fatta più calma e purificata. Ed ecco a un tratto una telefonata da Roma. È Norman. Per dirmi che il 20 arrivano gli italiani. È stata la mamma di certo. Non ne dubito neanche per un attimo. Cara, buona mamma… l’unico essere, a parte Dio, che mi ama. È stata lei ad ascoltarmi e chiedere. Mi sento così in colpa nei tuoi confronti”
“Ho sognato il tranquillo chiostro di un monastero con un’enorme quercia secolare. Improvvisamente mi accorgo di una fiamma che si alza in un punto tra le radici, capisco che si tratta della fiamma di una gran quantità di candele che bruciano nelle segrete sotterranee del monastero. Arrivano correndo due monache spaurite. Poi la fiamma si sprigiona in alto e vedo che ormai è tardi per spegnere l’incendio: quasi tutte le radici si sono ormai trasformate in brace ardente. Ne sono terribilmente amareggiato e cerco di immaginare come sarà il chiostro senza la quercia: sarà inutile, senza senso, misero”
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Ingenuità, infermità nel vivere, il pianto e il piantarsi dove stanno i morti. Chiedere. Abbandonarsi. Cagliare in una estasi formale il dolore.
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Contemplare significa entrare nella metamorfosi della vita – pietrificati nello sguardo, volti a ciò che non muta, evocare falchi, orche e lupi dentro di sé.
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Vivere la vita per dare forma a qualcosa – che sia fittizio o fatale, che ci faccia fiorire nell’eternità o meno – è il carisma potente. Viviamo qui per dare vita ad altro, per altri. Fosse pure un quaderno, su cui è inscritta una favola, nascosto in un armadio, a favore dei futuri e di chi non saprà comprenderlo. A volte l’incendio va equiparato al bacio. (d.b.)