Agnus Dei. Un racconto per Pier Paolo Pasolini
Letterature
Mi dico che è secondario, in fondo, sofisticare sugli aggettivi, che nel regno della carne l’opera si disfa in verminaio, che importa?
*
Secondo Stefano Simoncelli si fa poesia come si intaglia un mobile. Così credo, almeno. Ogni giorno Simoncelli, con lievi colpi di coltello, una dote in carezze, sbalza la sedia su cui saranno re degli sconosciuti. Ha scontato il silenzio, Simoncelli, anni fa. Forgia le poesie in terzine, dando carisma alla scomodità: i suoi mobili sono pieni di spine nascoste – tra sedia e pozzo non è vasta la differenza.
*
Certamente, c’è una dose di cialtroneria e di narcisismo in Simoncelli – ma è talmente esibito da diventare, infine, una appendice dell’umiltà.
*
“Mi sono ridotto al modo/ di sentirmi sempre più solo/ mentre un’alba mi sorprende// dove le mie mani non arrivano/ ad afferrarmi e a scaraventarmi via/ dalla finestra che si affaccia sugli addii”. Ha il novenario nella narice destra e l’endecasillabo nella spina dorsale, Simoncelli: perfino il patetico, nel cabrare i versi, ha gergo di carisma. Chi è poeta è sempre solo, chi si avvicina al suo deserto scopre un vento grave di serpi. Il poeta avvelena – sana i morti ulcerando i sopravvissuti.
*
Simoncelli scrive quasi un libro all’anno, l’ultimo, A beneficio degli assenti (peQuod, 2020), inizia e termina con le bestie, è costellato da suicidi. Simoncelli dedica il libro – in calce – “alla memoria della mia labrador Margot, splendida e indimenticabile compagna, che è andata nel vento il 2 dicembre 2019”. Inizia nel segno della volpe, il libro: “Raccontano che le volpi prima di morire guardino verso la collina o il bosco dove sono nate. Non so se sia vero, ma mi piace crederlo ed è quello che provo a fare ogni volta che prendo in mano la matita, il quaderno rigorosamente a quadretti e comincio a scrivere”. D’altronde, qui, convocati, ci sono Sergej Esenin (“e sembro una betulla di Esenin tanto ero pallido/ e magro”), “i colombi che hanno visto volare Hrabal”, il luogo “dove si è suicidato lo scrittore Romain Gary con un colpo di pistola alla testa” (“Si svegliava, si lavava con cura,/ si spalmava la brillantina nei capelli/ e via, a infrangere un’altra volta le leggi// immodificabili dello spazio e del tempo./ Ancora non so se sia morto davvero/ o sia al piano di sopra che dorme”).
*
La copertina è rossa con un’ombra di rondini nere: non mi piace. Il titolo, però, è perfetto. La poesia è sempre l’inventario degli assenti, si espia la loro morte esplorando il bene dove non è. Nel niente si semina la luce. La poesia di Simoncelli è una sedia per l’assente – l’assenza è sgargiante. Piuttosto, io continuo a costruire arditi binocoli, mi rendono sempre più invisibile.
*
Una poesia dell’ultima raccolta di Simoncelli è dedicata “a Davide Brullo”. Simoncelli è un D’Artagnan della vita, uno che dell’esistere sa il vino e l’acido: mi dedica le poesie perché è certo che poi scriva qualcosa su di lui. Ha ragione. Ma siamo entrambi troppo cinici per non credere all’entusiasmo, all’alta marea dell’abbraccio. La poesia che mi dedica è questa:
Non assomiglio più a nessuno
quando mi incontro sulla specchiera
di un bar con mezza sigaretta in bocca
e un bicchiere di qualche ambrato veleno.
Certe volte sembro un banco di nebbia,
impenetrabile e denso, come quelli
che arrivano dal mare a tradimento
verso mezzogiorno portandosi via tutto:
i ponti sui canali, le insegne delle botteghe,
le case basse dei marinai dispersi in mare
e i platani con le ombre immense. Tutto.
Altre volte sono pulito e trasparente
come un vetro attraverso il quale
vedo quello che ero, un ragazzo
svelto, aggressivo e arrogante
che va incontro alla notte.
Vedo in me mio padre
logorato dal male
e poi più niente.
*
A proposito di assenti – che sono quelli, poi, di cui non possiamo fare senza, in un al di là che è il giardino del nostro futuro. È cannibalismo zodiacale, etica del caos che in concomitanza con il libro di Simoncelli Marcos y Marcos pubblichi Con la mia sete intatta, libro che raduna “Tutte le poesie” di Ferruccio Benzoni, grande amico di SS, l’uomo che lo ha costretto alla poesia – e poi al silenzio.
*
Gli ultimi tre versi scritti da Simoncelli mi vengono addosso come una muta di cani. Vedo in me mio padre/ logorato dal male// e poi più niente. Tra la parola male e niente c’è il viso abbagliante di mio padre – la sua tomba è in un luogo perduto, tra boschi calcinati, nel costato del Lago Maggiore –, la misura del fallimento. Capire che ne ho fatto leggenda per dare giustizia alle mie meschinità sarebbe qualcosa – vivere sulle spalle dei morti è comodo. Non si riscattano i morti, occorre farsi accettare da loro – gli assenti, in ogni caso, siamo noi, nel sussurro del vivere. (d.b.)